Lei

Mi piace essere lei, quella che gli altri vedono quando mi guardano.

Solo lei, in terza persona: “io” nemmeno per sogno, non sono mica matta.

Alla fine, non è altro che  una questione  di abitudine e di allenamento. 

Col tempo sono diventata lei fin nelle cose più ordinarie: lei va a fare la spesa solo in certi negozi, lei porta sempre scarpe col tacco alto, lei non arriva mai tardi al lavoro. 

Tutto si risolve in una faccenda di “sempre” e “mai”, basta non dimenticarselo.

Non è proprio come nascondersi, ma gli somiglia.

A  essere onesti, bisogna riconoscere che all’inizio ci furono alcune difficoltà.. 

Per dirne una, capitava spesso che dovessero rivolgerle due volte la stessa domanda prima che rispondesse, quasi parlassero a un’altra. Ma non c’era voluto molto per aggiungere questo dettaglio alla sua personalità e adesso la sua distrazione è diventata un luogo comune: «Lei, figurati, ha sempre la testa fra le nuvole!»

L’importante è continuare a essere distratta sempre, in ogni circostanza, anche quando non lo è affatto, e devo dire che in questo è davvero grande.

Ha sviluppato delle capacità che a raccontarle non ci si crede.

Come per il fumo: fumare le piace eccome, ma solo in camera sua e da sola, perché fumare è un gesto intimo che non va esibito in pubblico. E poi è un vizio e si sa che lei non ha vizi.

E ormai ha imparato a comprare le sigarette di nascosto anche da se stessa. Non so come fa, ma ci riesce benissimo, perché ogni volta il tabaccaio le chiede: «Elena, ma da quando in qua fumi?» e ogni volta lei risponde senza battere ciglio che sono per suo padre: perché lei non fuma, lo sanno tutti, lei per prima.

E non beve, va in palestra tre volte alla settimana e mangia carne solo la domenica, quando pranza da sua sorella Sonia.

Ed è qui che dà il meglio, perché Sonia è di due anni più grande e ovviamente la conosce fin da piccola. Ciononostante, Sonia è orfana e lei no: lei parla dei genitori al presente, come se fossero vivi, e racconta del diabete del padre e della sciatica della mamma. Perché tanto si sa che lei è così, è un po’ strana.

Solo Augusto, il marito di Sonia, non ci vede chiaro e una volta le ha detto serio serio: «Elena, ogni bel gioco dura poco, e questo non è nemmeno un bel gioco. Perché fai così?»

Al che lei è impallidita, le è venuta la nausea ed è corsa in bagno a vomitare.

Al ritorno ha detto: «Lo sapevo che la carne mi fa male» e l’ha chiusa lì. Lei non ne vuole sapere nulla di qualcuno che non sia lei, e lo sanno tutti che lei ha i genitori e che vive con loro.

Per lo meno, lo sanno tutti coloro che frequenta fuori dalla famiglia: e lei frequenta quasi solo estranei o amici per modo di dire, che poi sono quelli che quando la guardano vedono lei, non qualcun altro.

E col tempo ha sviluppato una specie di inconsapevole sesto senso per tutto ciò che riguarda le situazioni dalle quali è meglio tenersi alla larga.

Evita determinate zone della città, non prende la metropolitana e gira sempre da sola in macchina o tutt’al più con Marisa, alla quale di lei non importa nulla e che perciò non fa domande e non è pericolosa.

All’ora dell’aperitivo fa quattro passi fino a un bar lì vicino dove incontra sempre le stesse persone, Marisa compresa, che la conoscono solo da quando lei è diventata lei. Ordina un ginger analcolico e chiacchiera di questo e di quest’altro, delle scarpe col tacco, della palestra, della dieta vegetariana e di quel tale che per attaccare discorso le ha offerto una mentina.

Si fa delle gran risate, anche troppo grandi veramente, ma tanto lo sanno tutti che lei è fatta così e che in compagnia si diverte come una pazza.

Per tutto il giorno lavora a casa, al computer, da sola: corregge bozze dalla mattina alla sera, sebbene nel suo piccolo giro sia notorio che ha un incarico da dirigente in un ministero. E lei stessa ne è convinta, perché lei è solo quella che gli altri vedono quando la guardano, e mentre fuma e beve e batte sui tasti nella sua monocamera è come se non ci fosse,  mentre il mondo le gira attorno senza toccarla.

Corregge una doppia consonante, elimina una parola di troppo, mette un punto alla fine di una frase.

Ormai ha imparato alla perfezione quel lavoro, tanto che può farlo mentre pensa ad altro, non le serve sapere dov’è e chi è.

Per questo mi piace tanto essere lei: strana, distratta e incantevole per tutti tranne che per Augusto. Ma me ne farò una ragione. E non andrò più a pranzo da Sonia nemmeno morta: non sono mica matta, io.

Avete messo Mi Piace3 apprezzamentiPubblicato in Narrativa

Discussioni

  1. Questo è un bel pezzo. Credo che tu abbia articolato in modo sapiente una sorta di biografia disegnata da chi è al limite con un patologico disturbo di personalità e che pure sta un po’ in ciascuno di noi quando vorremmo avere connotazioni differenti, o forse semplicemente compiacere le attese di chi ci vede dall’esterno. Una lettura piacevole e stimolante, grazie.
    Ps. avevo visto la notifica di un altro tuo scritto (Arnauld e Albertine), ma non lo trovo più…

    1. Grazie a te, Paolo. Sì, è un disturbo di personalità che aiuta a sopravvivere. Come si fa a non compiacere chi è necessario compiacere per non rimanere da soli?
      L’altro racconto l’ho ritirato perché mi sono resa conto che a puntate non avrebbe funzionato. Grazie ancora della tua attenzione.

  2. Ciao Francesca! Questo racconto è una di quelle perla che ogni tanto si trovano in giro per EO👏🏻 Mi piace la tematica (l’identità è un’altra delle mie ossessioni); mi intriga l’idea di parlare di sé in terza persona, perchè crea un mascheramento, un mistero che richiama l’attenzione del lettore; e mi piace lo stile: narrativo, cerebrale, nevroticamente pacato.

  3. Eh già, il nostro io è sempre in lotta tra quello che si è, quello che si è costretti a essere e quello che si vorrebbe essere. Lei ha scelto di essere ciò che desidera, a dispetto di tutto e di tutti… e ci vuole coraggio.

  4. “Lei” mi ricorda tanto una mia vecchia amica: mentiva sulla sua età (diceva di avere tipo 10 anni in meno) e io la osservavo mentre recitava quella parte con disinvoltura. Devo farti i complimenti, ancora una volta: amo il modo in cui scrivi, leggere le tue storie è un piacere.

    1. Grazie, M. Luisa.Conosco Zelig, uno film che occupa forse un posto a sè nella filmografia di Allen. In questo frammento volevo rappresentare un fenomeno di “falso sé”: la protagonista finge di essere se stessa, mentre invece è un altra ma non sa di esserlo.