Leland

Serie: Il dipinto sul muro


NELLA PUNTATA PRECEDENTE: I ragazzi, con un aiuto inaspettato, riescono a uscire dai sotterranei del Castello.

Mia madre, che sembrava essere la meno propensa all’acquisto della casa, si rivelò la più propositiva una volta che andammo a viverci. Senza essere invadente, una qualità che le ho sempre riconosciuto, ci diede un aiuto fondamentale e non intendo solo un aiuto economico, per quanto anche quello fosse stato importante. Ci volle quasi un anno perché potessimo davvero dire di sentirci a casa nostra, tra mille problemi da risolvere, piccole e grandi questioni pratiche, serate di discussioni su aspetti più o meno importanti.

La vedevo finalmente felice, forse più per noi che per lei stessa, uno stato d’animo genuino, non forzato, che non illuminava il suo viso da quando mio padre era morto. La sua felicità si rispecchiava nella nostra. Sofia ed Eleonora si erano ambientate in pochissimi giorni alla nuova situazione. Per quanto potesse sembrare strano, ero io ad avere qualche difficoltà in tal senso. Ma fu necessaria solo qualche settimana in più.

Vi dicevo che la ristrutturazione non aveva stravolto l’aspetto originale del castello. Voglio darvi solo qualche nota, perché alla fine di questa riunione andrete tutti insieme a osservare con i vostri occhi e anche chi non è mai entrato potrà rendersene conto di persona. E sinceramente spero che non vi piaccia.

Io verrò con voi.

La facciata dell’edificio è visibile dal piazzale che ospita anche, alla sinistra rispetto al castello, una torre molto più vecchia e, sulla destra, una costruzione addossata al castello stesso, che altro non è che la vecchia scuola di cui vi ho raccontato e che ha subito un analogo processo di ristrutturazione. Sul lato opposto del piazzale, la chiesa principale del paese ha la facciata rivolta verso il centro abitato, per cui da qui vediamo la parte posteriore. Durante le funzioni domenicali il piazzale, che di norma ospita non più di una decina di automobili, si trasforma in un parcheggio. Ma è un evento che si verifica solo una volta alla settimana, a parte qualche festività comandata e qualche funerale, quindi non crea eccessivo disturbo.

Dal cancello principale si accede a un immenso cortile, unica zona condivisa dalle unità abitative, chiuso di fronte e ai lati dalle tre ali dell’edificio dove si aprono i rispettivi portoni di ingresso alle dimore private.

Varcando la porta dell’ala centrale, si viene accolti da un ampio vestibolo che mette subito in evidenza l’importanza dell’abitazione. Difficile far comprendere in poche parole la magnificenza di quel luogo. Lo vedrete, ma voglio anticiparvi, a costo di rovinarvi la sorpresa, che ho arredato quel luogo con un pianoforte a coda e una dozzina di sedie di pregio oltre ad altri pezzi scelti con cura. Una piccola sala da concerto con un’acustica ottima.

Ai lati e di fronte all’ingresso alcune porte conducono alle varie zone dell’abitazione vera e propria. Non voglio annoiarvi con la descrizione delle varie camere al piano terra e al primo piano, ma non posso non descrivervi il salone principale a cui si accede dalla porta di fronte. Un ambiente con uno sviluppo verticale su due piani e con un’ampiezza da lasciare senza parole oltre che in debito di ossigeno. All’altezza del primo piano una balconata percorre l’intero perimetro, e il soffitto, a oltre sette metri di altezza, è impreziosito da un affresco restaurato in modo sublime. Inutile dire che è sempre stato l’ambiente più importante per me, oltre al giardino. Tanto che anche qui mi sono divertito nel tempo ad arredarlo con pezzi pregiati.

Il resto, come vi dicevo, lo scoprirete più tardi.

Voglio solo richiamare la vostra attenzione su un dettaglio, e per questo dobbiamo fare uno sforzo di immaginazione e tornare indietro nell’atrio.

Appena varcherete la porta di ingresso vi prego di guardare a sinistra, verso il fondo della sala, in basso. Vedrete, anche se non è così evidente, un dipinto realizzato direttamente sull’intonaco all’interno di una nicchia. Sì. È il dipinto che inquietò le mie due giovani amiche di un secolo fa. Ed è ancora lì. Il soggetto è un cane di grossa taglia, seduto, con lo sguardo fiero rivolto direttamente all’osservatore. Il dipinto è a grandezza naturale, per cui il muso dell’animale arriva più o meno alla parte superiore della coscia di un uomo in piedi. Se anche voi proverete una sensazione di disagio osservando l’animale non preoccupatevi. È normale. La stessa sensazione che provai quando lo vidi per la prima volta da ragazzo, lo stesso senso di disagio che ancora dopo molti anni mi coglie quando osservo quella raffigurazione, tanto che più volte ho pensato che sarebbe stato meglio coprire il dipinto con intonaco nuovo oppure chiudere del tutto la nicchia.

Quel pensiero non fu mai convertito in azione in parte a causa dei ricordi, ma soprattutto perché mia figlia, che sapeva essere convincente, appena scoperto il dipinto decise che quel cane le piaceva e che sarebbe diventato il suo cane e che se ne avessimo adottato un altro quello sarebbe comunque stato il primo. Giurò che l’avrebbe accudito e sarebbero diventati grandi amici.

Ricordo come mia moglie ed io ci guardammo, con un velo di preoccupazione.

«Sofia» le dissi un giorno mentre stava osservando il dipinto. «Io e la mamma abbiamo deciso di adottare un cane, o meglio due, così potranno farsi compagnia.»

«Sì, due cani grossi come Leland!» strillò come di solito faceva quando era in preda all’eccitazione. «Così anche lui avrà degli amici.»

«Chi è Leland?» le chiese mia moglie.

«Lui! Leland!» replicò a gran voce indicando il dipinto.

«Ma… è solo un disegno, Sofia. Non è un cane vero.» Mi accovacciai per guardarla negli occhi.

«No!» strillò ancora. «Lo trattano tutti male, ma Leland non è cattivo. È solo grosso e può fare paura se non lo conosci.»

Vidi i suoi occhi diventare lucidi. Guardai ancora mia moglie e fu sufficiente quello sguardo per decidere di non contraddirla. Ne avremmo parlato più avanti, con calma.

Ma non ne parlammo. Gli eventi drammatici dei giorni successivi ci diedero altro a cui pensare. Il cane, Leland, avrebbe continuato a fissarci indisturbato dalla sua nicchia.

Continua...

Serie: Il dipinto sul muro


Avete messo Mi Piace6 apprezzamentiPubblicato in Narrativa

Discussioni

  1. Il particolare che più mi colpisce è il fatto che tu abbia scelto come oggetto del mistero un cane. Solitamente uno si aspetta dame, bambole assassine, orfanelli incazzati…di un cane di solito ci si può fidare, non fa paura, eppure questo sta iniziando a inquietarmi. il finale poi non promette nulla di buono. Aspetto il seguito!

  2. Il mio interesse per questa tua serie cresce episodio dopo episodio: ricordo la prima storia che lessi dal tuo profilo ormai diverso tempo fa, e ho la netta sensazione che tu sia migliorato moltissimo: qui non ci sono sbavature, i periodi sono costruiti consapevolmente, e tutto l’episodio, seppur in gran parte descrittivo, riesce a mantenere alto il grado di coinvolgimento grazie al narratore che parla direttamente al lettore e allo stile peculiare di questa voce.
    Sì, mi piace davvero tanto come scrivi: non smettere mai, perché è sempre interessante leggerti 🙂

    1. Che dire, Gabriele… Mi dedico alla scrittura in modo abbastanza continuativo da un anno e spero di continuare a farlo, compatibilmente con i ritmi della vita quotidiana. Quindi un commento come il tuo non può che farmi un immenso piacere.
      Su questo racconto in effetti lo stile descrittivo è prevalente e questo mi crea un po’ di perplessità. Però continuo a provare e a sperimentare… vedremo dove andrò contro cosa andrò a cozzare! 🙂

  3. “Ho arredato quel luogo con un pianoforte a coda”
    Davvero unica questa abitazione, con un cane a muro e un pianoforte a coda anziché al contrario.
    ‘Sto cane che mi fissa non mi piace, passi il pianoforte come complemento d’arredo ma a quel cane a muro io avrei preferito un armadio a muro.
    La storia si fa sempre più intrigante, come intriganti sono i miei commenti sempre sul filo del rasoio. Leland, se ci sei batti un colpo, così non entro; io dei cani non mi fido. Della bravura di Antonio, a questo punto, direi che mi posso fidare.

    1. Grazie Fabius!
      Due cose. Il “cane a muro” esiste davvero, o almeno esisteva come dipinto nell’edificio che fa da ambientazione al racconto e che vidi molti anni fa. Adesso non so… Bello e affascinante.
      Il pianoforte come complemento di arredo, invece, è un fatto di cui sono venuto a conoscenza più di recente parlando con il responsabile di un centro specializzato in pianoforti. Mi ha detto di un cliente che ha acquistato uno Steinway solo per arredare casa… Accordato regolarmente ogni anno ma mai suonato. Per chi come me ama quello strumento è peggio che ricevere trenta frustate!
      Dimenticavo… ultima cosa: fidati dei cani! 🙂

      1. Forse, per vincere la paura dei cani che ho scritto la serie “Cancello automatizzato ” con Fido protagonista e anche un cane robotico.
        Uno Stenway a coda, per me che sono un pianista dilettante, è un sogno che non si realizzerà mai. D’altronde, chi ha milioni che gli avanzano ha fatto bene ad acquistarlo, è come investire in un quadro d’autore, lo guardi, lo ammiri e si rivaluta. In più, del quadto se hai ospiti, qualcuno non mancherà di suonarlo.

  4. Ho trovato molto ben costruita e nitida la descrizione dell’interno dell’ abitazione che ha sede nel Castello, quasi che tu l’abbia vista realmente o ti sia rifatto a un ambiente che già conosci. Inoltre, mi ha incuriosita il nome del cane. Ma è vero: nonostante sia una specie animale da tempo assoggettata all’uomo, il cane ha mantenuto in sé un aspetto inquietante, sotterraneo. Ad esempio, i cani randagi erano temuti, un tempo (oggi, almeno in occidente non ce ne sono quasi più.)
    Ne sapremo di più su questo Leland, naturalmente.

    1. Sì, la descrizione l’ho presa da ricordi di qualche anno fa… Quelle scene che crei semplicemente chiudendo gli occhi.
      Oggi in effetti consideriamo il cane come “animale di famiglia”, ma non sempre è stato così e non è così in alcune parti del mondo.
      Il nome Leland è una delle mie citazioni che spesso metto dentro ai racconti.
      Ciao Francesca. Grazie!

    1. Ciao Lino. Come dicevo a Francesca gli ambienti che descrivo risalgono a vecchi ricordi, non letterali ovviamente, ma molto vicini. E dipinto del cane esiste davvero, o meglio, esisteva… non so se sia ancora lì.