L’essere fragile
I
Aggiusto’ nervosamente il nodo della cravatta viola mentre saliva a passo svelto lo scalone di marmo che portava alla sala delle riunioni. Guardò l’orologio: era in ritardo di quaranta minuti rispetto all’orario programmato. C. se la prenderà molto come al solito, pensò, ma me ne fotto. L’ultima sua preoccupazione in quel momento erano i risentimenti personali dei suoi alleati di governo – davvero l’ultima delle sue preoccupazioni.
Il commesso in livrea lo salutò con un mezzo inchino del busto e gli spalancò la grande porta di noce fiammato. Diede un rapido sguardo intorno e constato’ che erano tutti già lì, come si aspettava. Prese posto e salutò con un lieve cenno del capo, nessuna traccia di sorriso sul suo volto. Alla buon’ora, fece C.
Nessuno sta giocando qui, fu la risposta secca. Se ho ritardato, ho avuto le mie buone ragioni.
Tu hai sempre le tue buone ragioni, replicò acido C. Caschi sempre in piedi, caro Presidente.
Fece finta di non aver sentito e tirò fuori dalla borsa una piccola cartella di documenti. Scusate se ho convocato questo gabinetto ristretto in tutta fretta ma ci sono sviluppi nuovi che dovevo immediatamente comunicarvi.
Il ministro S. domandò: Che genere di sviluppi?
Tossi’ e inforco’ gli occhiali, incominciando a sfogliare le carte. A *** vi sono nuovi contagi.
C. lo interruppe: Dove sta la novità? In tutto il paese ci sono contagi.
Alzò lo sguardo sopra le piccole lenti da presbite. Sai sempre come renderti irritante nei momenti meno opportuni, C. Tornò ad abbassare lo sguardo sui fogli. Ieri, stavo dicendo prima di essere interrotto, all’ospedale di *** sono arrivati nel giro di poche ore venti nuovi casi.
Nel mio collegio a *** ieri abbiamo avuto quasi cinquecento casi, e tu ci convochi in fretta e furia per venti casi a ***?
Il Presidente si tolse gli occhiali e li posò con studiata lentezza sul tavolo. Sono morti stanotte tutti e venti. Polmoni implosi. Fra il personale dell’ospedale è scoppiato il panico. Alcuni sono fuggiti. Da *** è partita immediatamente una task force di rinforzo, che ha già mandato un primo rapporto riservato. La situazione è più che preoccupante. Arrivano nuovi casi, in continuazione. Molti giungono già morti, gli altri muoiono in modo atroce pochissimo tempo dopo il ricovero, senza che nessuna delle terapie sperimentate in questi anni sortisca alcun effetto. Il Prof. T., che è a capo della unità di intervento e che voi tutti conoscete, riferisce di non avere mai visto niente di simile. Sono aggiornato in tempo reale sul mio cellulare personale. Con gesto di studiata teatralità trasse fuori il telefono dalla tasca interna della giacca e lesse. Nella stanza non si udiva volare una mosca. Due minuti fa: siamo a 43 morti. Si sollecita con massima urgenza cordone sanitario di emergenza su *** e su tutti i comuni limitrofi. Non sappiamo se sia troppo tardi. Non sappiamo se sarà sufficiente. Chiuse il telefono e si rivolse verso C. È chiaro adesso perché ho disturbato nel cuore della notte le signorie vostre?
Gli occhi di C. erano ridotti a due fessure. Tu vuoi fregarci, Presidente. Noi conosciamo le tue strategie della paura. Sono solo funzionali al tuo potere. Tu non saresti nessuno senza questo cazzo di nuova epidemia. Il tuo ridicolo governo sarebbe caduto da un pezzo se non fosse scoppiata. Ma non finirà come nel 2020, mio caro. Le persone sono diverse, le maggioranze sono diverse. La storia non si ripete. Noi non cadremo nel tuo giochetto. Il paese non può più permettersi nuovi lock down. Siamo sull’orlo della bancarotta finanziaria, vuoi capirlo o no?
Il Presidente aveva nascosto il volto fra le mani mentre l’altro parlava. Quando l’altro tacque, disse soltanto: Hai finito? Mettiamo ai voti? Girò lo sguardo intorno, su tutti i seduti al tavolo. Per alzata di mano. Favorevoli? Tutti alzarono la mano, meno C. Contrari? C. si alzò in piedi e fece per andare via. Sulla porta si volse indietro: siete una manica di pecore, disse, e tu uno stronzo, quindi scivolò fuori imprecando.
Serafico il Presidente si rivolse al Ministro Segretario. Chiamate il capo dell’Ufficio Stampa. Alle nove del mattino il Presidente terrà un discorso straordinario alla Nazione.
(Segue)
II
La luce fredda dei lampioni a led si rifletteva tremolante sull’asfalto lucido di pioggia. L’uomo con il cane attraversava la città deserta sotto il suo ombrello rovesciato dal vento, incurante del freddo e dell’acqua. Si fermò davanti alla vetrina di un negozio di elettrodomestici: una decina di televisori replicavano nella stessa posa l’immagine del premier, poteva osservare la sua bocca muoversi ma non poteva udire le parole. Sputo’ per terra e passò oltre. Sotto la tettoia di una fermata degli autobus tirò fuori dallo zaino una merendina confezionata, la aprì, ne divise mezza per sé e mezza per il cane. Quando ebbe finito, da una tasca del giaccone recupero’ il pettine e diede una sistemata ai capelli ed alla barba grondanti d’acqua, quindi riprese il suo cammino sotto la pioggia. Il rettilineo del corso si allungava in prospettiva perfetta tra le facciate parallele dei palazzi, le luci natalizie sospese ad intervalli regolari a formare una galleria sino allo sbocco luminoso della piazza in fondo. Non un auto passava, non un uomo. Egli era il solitario padrone di tutto, ma non ritraeva alcuna gioia da questo effimero possesso. Qualche finestra rimandava a lui ogni tanto l’immagine appena intuita di un albero decorato e acceso, l’intermittenza delle lucine che si accendevano e si spegnevano sui soffitti e sui vetri. Una ragazza in intimo rosso gli sorrideva da un tabellone pubblicitario: le si avvicinò e posò un bacio lieve sul suo pube. Benedetta tu fra le donne, biascico’ sottovoce, e benedetto il frutto del tuo grembo. Prosegui’ il suo percorso – aveva una meta, quella sera. La piazza lo accolse, enorme e luminosa, uno sperpero di luci inutili. Il grande monumento di marmo sorgeva, bianco ed incongruo, al centro del sipario del cielo notturno. Un modesto spicchio di luna, cereo, filtrava tra le nubi sottili. Avanzò per il vasto spazio scoperto, il cane lo seguiva senza recalcitrare. In alto oltre la cancellata chiusa, due soldati immobili sotto la pioggia vegliavano sul nulla. Si fermò sotto di loro ed urlò: Sentinella, a che punto è la notte? Sentinella, a che punto è la notte? Nessuno dei due soldati si mosse. Continuava a piovere, piano, con continuità. Il cane si mise a sedere al suo fianco. L’uomo chiuse l’ombrello rivoltato, non senza fatica, lo ripose con delicatezza per terra, quindi aprì la patta dei pantaloni e piscio’ sui gradini del monumento. Quando ebbe finito, richiuse la cerniera e si aggiusto’. Neanche stavolta i soldati ebbero un cenno di reazione. L’uomo si asciugò la faccia con il dorso della mano, raccolse l’ombrello da terra, lo riaprì ed andò via, volgendo loro le spalle. Il cane lo seguiva due passi indietro. Tutto deve morire, Tobi, tutto. Uomo e cane si persero nel labirinto delle piccole traverse laterali, in cerca di un riparo dove trascorrere la notte.
(Segue)
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