L’età della vergogna

Io ho 22 anni. Li ho compiuti a novembre, ho festeggiato, e poi ad un certo punto mi sono caduti tutti addosso, di colpo, senza preavviso. È nata dentro di me una sensazione che non avevo mai provato prima d’ora e che non sembra voler andarsene via. Non so bene come descriverla, diventa sempre più frequente, arriva di soppiatto e mi colpisce, resto senza fiato, piango, vado nel panico e sopratutto mi vergogno.

Mi vergogno tantissimo come non mi vergognavo da anni, mi vergogno di me stessa. Avete presente quando da piccoli vi fanno fare la recita a scuola e voi proprio non ve la sentite di fare quel passetto avanti e recitare la vostra parte? Ecco io è proprio questo quello che provo adesso. Tutto ritorna.

Non mi era mai successo prima d’ora di soffermarmi sul chi sono, cosa sto facendo, cosa sto costruendo e dove voglio arrivare. Da quando mi sono diplomata sono passati 4 anni e io in questi 4 anni concretamente non ho costruito niente. Ho lavorato, mi sono resa indipendente, ma questo non conta quando lo racconti alla gente. Loro vogliono sapere di più, loro pretendono di più. Com’è possibile che una ragazza così brava a scuola non abbia proseguito con gli studi? Com’è possibile che una ragazza così buona non sia ancora riuscita a combinare un bel niente? Mai avrei pensato che sarei diventata una di quelle persone che teme le domande personali degli sconosciuti, eppure eccomi qua. Una grande caduta di stile.

Allora è dal giorno del mio compleanno che sembro sbloccare automaticamente un’insicurezza al mese. Mi sento nella terra di mezzo, se guardo davanti a me vedo solo nebbia. O meglio, vedo un pezzo di strada, rovinato, e poi nebbia, nient’altro. Non riesco a vedere un futuro per me perché non l’ho mai programmato, non c’è mai stato. Io lo sapevo già al quinto anno del liceo che prima o poi mi sarei ritrovata in questa situazione. Vedevo i miei compagni determinati e sicuri delle loro scelte, io invece non ci credevo in quello che avevo scelto, e se ne accorgevano anche i miei professori, mentre lo raccontavo in realtà mentivo a loro e a me stessa. Nessuno ti prepara a quello che c’è dopo, nessuno t’insegna, tutti pretendono che tu sappia già fare tutto, e se così non è, verrai schiacciato da un sistema che è più forte di te.

Ero la ragazzina che si metteva a piangere per il cinque e mezzo alla verifica di matematica, che restava a casa anche il sabato e la domenica pur di studiare tutto alla perfezione. Non so se mia mamma fosse fiera di me all’epoca, io facevo tutto per darle soddisfazione e questo non è cambiato. Forse è proprio quello il pensiero che mi fa stare più male, l’idea di non essere più un orgoglio per mia mamma e per i miei nonni. Lo vedo nei loro occhi, nelle parole velate e sussurrate. La me di una volta non c’è più e non riescono ad accettarlo, si fanno andare bene quella che c’è ora ma lo sanno dentro di loro che così non va bene, così non posso andare avanti, così sto rovinando tutto. Arriverà il giorno in cui la speranza non avrà più vita, perché solo quella adesso resta, la speranza che prima o poi questo, non so nemmeno come definirlo, finisca. Non so dove sia finita quella ragazzina, mi piacerebbe guardarmi allo specchio e rivederla, ma ormai non c’è più. Al posto suo c’è una ragazza, che sotto certi aspetti è più forte, ma che è ancora troppo debole per affrontare a pieno la vita.

Ultimamente mi piace molto definirmi ‘un vaso di pandora colmo di problemi’ o più semplicemente mi sento un casino vivente, sotto ogni punto di vista. Per questo motivo non biasimo chi sceglie di abbandonarmi, di mettermi da parte, di preferire altro a me. Non biasimo chi ha perso interesse, chi mi lascia nella mia confusione e mi ha già dichiarata persa. Chi guardandomi negli occhi ha avuto il coraggio di dirmi che con me ci avrebbe passato una notte, ma di sicuro non tutta la vita. È divertente perché quando racconto questa storia restano tutti sbalorditi dalla leggerezza con cui ricordo determinate frasi, non capiscono che nessuno si permetterebbe mai di rivolgersi a me in quel modo se io in fondo sentissi di valere qualcosa. E adesso proprio il mio valore non lo percepisco più, è andato, lontano da me e non so più come ritrovarlo. Tu, se ne avessi la possibilità, preferiresti passeggiare in un prato fiorito o in un campo arido? Prenderesti una strada già asfaltata o una completamente rovinata? Nessuno sceglierebbe la seconda opzione. Nessuno sceglierebbe me.

Ho 22 anni e mi sembra che la mia vita sia già finita, vedo la mia sentenza di morte, vedo già la fine di tutto. È troppo tardi, è tutto finito. Che cosa ho fatto in tutto questo tempo? Dove sono stata? Perché nessuno mi ha aiutata? Perché nessuno mi ha fermata dal rovinarmi con le mie stesse mani? Troppe domande che arrivano tutte insieme e nessuna risposta.

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Discussioni

  1. Wow. Hai descritto alla perfezione quel senso di vuoto, paura e smarrimento quando ti trovi in un veicolo cieco della tua vita. Incastrata in qualcosa senza sbocco e non sai come uscirne per svariati motivi. Curioso che mi sia trovato in questa situazione quando avevo la tua età, un paio d’anni fa. Sorprendentemente è molto comune nella nostra generazione, così ho notato. La strada per uscirne non è facile, e ognuno deve trovare la propria via d’uscita dal vicolo cieco, qualcuno torna indietro e tenta un’altra strada, si rimette in gioco, altri sfondano quel muro perché hanno la testa più dura e sono certo che dietro al muro ci sia la strada giusta. Non importa quale sia la via d’uscita scelta, ti posso assicurare che un giorno la troverai.

  2. Ansia. Si chiama ansia, vorrei dire alla prot, che l’ha descritta così bene ma non sa darle una definizione. O almeno, io l’ho vista così. Come disse Baz Lurhmann nel monologo finale di Big Kahuna: “Le persone più interessanti che conoscono a 40 anni ancora non sanno chi sono…” E’ possibile che la protagonista stia vivendo quella fase socratiana del “So di nulla sapere”, le auguro di continuare così perchè questo le permetterà di andare avanti e non fermarsi mai. Guarda, se hai due minuti leggitelo il monologo di Big Kahuna.

  3. Ciao, un’altra intensa “confessione ” di pancia, sentita e scritta in maniera lineare. Ma sei tu quella di cui parli?
    Se così ti è sfuggita la capacità di raccontare e raccontarsi che dimostrano questo tue narrazioni. Ad ogni modo nessuno nasce imparato, per fortuna aggiungo, altrimenti che senso avrebbe vivere la vita senza curiosità e stupore della non esperienza?
    La strada di ognuno di noi si traccia negli anni ed è fatta di numerosi errori e nuove partenze. Chi sa già cosa fare e chi sa già chi è si specchia dentro percorsi predefiniti, spesso da altri. Lo scoprire se stessi e ciò che desideriamo è un viaggio di forza e creatività. Un saluto.

  4. Mi ricollego al bellissimo riferimento musicale di @sergiosimioni a un gruppo, i Pink Floyd, di cui ho la discografia al completo, e libri, e articoli. Attenzione, non lo dico per parlare “di me”. Questo gruppo ha accompagnato gli anni, difficili, dell’adolescenza, per poi andare oltre e ritrovarmi, a distanza di decenni, a pensarci ancora, ascoltarli. La musica e le parole sono le stesse, il mio amore per esse invariato. Ma io vedo tutto con occhi differenti.
    Per rimanere in tema, Comes a time, dice un celebre cantautore d’oltreoceano. Verrà un tempo. Ventidue anni non sono molti. Neanche trenta o cinquanta. Verrà un giorno in cui ci renderemo conto di sapere molto, e quello che non sapremo lo accetteremo di buon grado. Credo accadrà quando non lo attenderemo più.

    1. ti ringrazio per il commento, anche io come te ho la musica al mio fianco, se non ci fosse la mia cantante preferita ad accompagnare e dare colore le mie giornate non so come farei.

  5. “Nessuno ti prepara a quello che c’è dopo, nessuno t’insegna, tutti pretendono che tu sappia già fare tutto,”
    “No one told you when to run, you missed the staring gun…” questo racconto, ed in particolare questa frase, mi ha fatto venire in mente “Time” dei Pink Floys (non so se la conosci, nel caso, te la consiglio), nella quale il protagonista si rende conto ad un certo punto del tempo che gli è trascorso addosso, senza che lui realizzasse davvero qualcosa.
    Credo che sensazioni di questo tipo non siano poi così rare, anzi. Soprattutto in questi ultimi anni, con tutte le incertezze che stiamo vivendo (non mi riferisco solo alla pandemia, ma al mercato del lavoro, ai cambiamenti climatici, etc) avere dei piani ben definiti sia un miracolo. Ed anche chi ce li ha, spesso comunque se li vede cancellati ed è costretto a rivederli.
    Interessanti le domande finali. Perchè alla fine, tutti abbiamo bisogno di qualcuno. Abbiamo però biosgno anche di noi stessi. Il cambiamento, la crescita, è un processo personale, che a volte spaventa e vorremmo poter delegare totalmente agli altri. Ma anche se è personale, aiuta (anzi, spesso serve proprio) una “spinta” esterna che inneschi il processo.

    1. prego! anzi, grazie a te per questo racconto davvero intenso e che stimola la riflessione. Ne approfitto per correggere un refuso: Pink Floyd, non Floys.. vergogna, vergogna a me!!! XD