
Liberi tutti
La luce squallida del neon rimarca impietosa i solchi sul suo volto.
Nell’angusta stanzetta, nessuno dei mobili ha visto tracce di legno, benché evocato dall’ipocrisia di un laminato di infima qualità. Lui lo nota, è stato un falegname e le sue mani hanno assaporato le fibre naturali, essenze levigate, superfici calde che donano un piacere che solo i polpastrelli sanno riscuotere, liberando in cambio endorfine.
Cosa ci faccio qui? Si chiede Libero, ma non la pronuncia quella domanda, per non turbare la sua sensibilità. Non la conosce, di lei non sa nulla, ma i suoi occhi l’hanno aiutato a capire.
Se ne sta seduto sul letto. Sulla coperta infeltrita, le sue mani callose s’impigliano e si rende conto che non sono mani fatte per toccare quel corpo.
È in piedi di fronte a lui. Si è spogliata, ci ha messo poco, ché non aveva molto indosso, e adesso lui non riesce ad alzare lo sguardo. Ha catturato la figura di quel corpo nudo per un istante, e si è sentito un ladro.
Vorrebbe dirle che è bella, perché lo è davvero; perché lei non pensasse che ciò che ha innanzi non gli piace, ma non ci riesce. Ha chiuso gli occhi, ma continua a vedere l’immagine rubata: si sofferma sull’addome, modellato come nessuno scultore è mai riuscito, nel centro vi ha riconosciuto un nodo di larice, seducente, è sicuro che quella pelle sia più setosa di quanto la carta abrasiva più sottile sia mai riuscita render liscia qualsiasi essenza. Ma le sue mani non osano muoversi, gli occhi serrati e il capo chino.
Silenziosa, gli si avvicina.
Lui lo capisce perché l’aria che inspira adesso reca il suo profumo. È la sua pelle, e un sapone neutro: gli piace, e non pensa che sia un’esigenza dettata da un protocollo del mestiere; lei gli sbottona la camicia, ma quando la sua mano ne apre i lembi e delicata sfiora il petto, il falegname la ferma.
«Per favore…» sussurra.
Con un gesto che spera sia cortese, la invita a prendere posto sull’altro lato del letto, poi si alza e recupera dal frigobar due boccette di cordiale. Quando riprende posto accanto a lei, le porge la mignon alla quale ha tolto il tappo e le propone un brindisi, toccandola con la sua.
Vi è una strana atmosfera in quella stanza, i due sul letto uno accanto all’altra, le spalle poggiate alla testiera, sorseggiano quel liquore che raschia forte la gola, ma infonde calore e un po’ di coraggio.
«Come ti chiami?» le chiede.
«Регина» risponde. Nel suo italiano si percepisce un accento, ma è brava, riflette lui, pensando a quanto tempo impiegherebbe lui, a imparare la sua lingua.
«Non ho mai parlato con una “Regina”, come devo rivolgermi a voi: Vostra Grazia, Sua Altezza…?»
«Oh… no, non tu, mio caro» risponde lei, stando al gioco con sussiego simulato, alza le spalle «e tu come ti chiami, mio Cavaliere?»
«Libero»
«Che bel nome» dice Regina «e lo sei davvero?»
«Temo di no mia Regina, forse non lo sono mai stato.»
«È un peccato, io credevo…»
«Che tutte le persone, qui, lo fossero?»
«Avrei sperato… sì che fosse così, che poteste fare quello che desiderate.»
«Oh, mia bellissima Regina, non è proprio così, e non sono sicuro di saperti spiegare il perché, o come funzioni davvero questo mondo; ma una cosa che desidero so di poterla avere, ora: per questo momento noi lo saremo liberi.» Raccoglie da terra la camiciola della ragazza e gliela porge, poi aggiunge: «vorrei che anche tu, sia pure per una volta, ti sentissi a tuo agio, fossi libera di fare come ti pare».
Lei lo guardava stranita; posa la camicia sul letto. «Lo sono, a mio agio, grazie. E sto bene così, se a te fa piacere…» risponde. Nessuno mai si premurava di sapere come stesse, ancor meno di cosa volesse fare. E non aveva in mente solo i suoi clienti, ma piuttosto chi a casa l’aveva tradita e venduta per quattro soldi, anzi che proteggerla con amore.
«Parlami di te, del posto da dove vieni, quali sono i tuoi desideri…» dice Libero, accomodandosi il cuscino dietro la schiena.
«La nostra zuppa si chiama boršč, ci sono affezionata perché la faceva mia madre, quando c’era ancora e io ero una bambina, lei ci metteva la salsiccia anziché il lardo perché a me il lardo non piaceva, e la serviva con i pampušky, che sarebbero dei piccoli panini bianchi fritti, insaporiti con l’aglio».
«È quasi l’alba e mi hai fatto venire fame…» le dice Libero, intento a scrutare il suo volto senza riuscire a decifrarlo, ma per un istante vi coglie dolcezza, una commozione che bussa al suo cuore «vorresti tornare indietro, tornare nel tuo paese?»
«Non lo so, non lo so più. La mia terra è bellissima: campi a perdita d’occhio e dolci colline verdi… ma non è facile viverci, i soldi finiscono nelle spese militari e quelli che avanzano spariscono tra la corruzione e le ruberie degli oligarchi… forse, vorrei solo tornare indietro col tempo, per trovare un modo… una via di uscita differente.»
«Mi dispiace, mia Regina, davvero.»
«Non fa niente, mio Cavaliere. Sei stato gentile. Ora però è tardi, e io devo andare.»
Regina si alza dal letto, in una giravolta dona a Libero un’ultima cartolina, allarga le braccia con un sorriso, e si riveste.
Uscendo dalla stanza del motel, dimentica il suo compenso; il denaro che Libero entrando aveva messo sul comodino.
Avete messo Mi Piace5 apprezzamentiPubblicato in Narrativa
Vorrei dire che la gentilezza delle parole che hai usato in questo bellissimo racconto, mi sorprende. In realtà, non mi sorprende affatto, piuttosto mi commuove.
Esistono molteplici forme di rapporto fra le persone, ma il rispetto deve sempre stare alla base di ogni relazione, anche se essa è fugace e passeggera.
Hai scelto una stanza e due personaggi, nulla più di questo e poche, misurate parole scambiate fra di loro. Non c’è azione, la narrazione si basa su sguardi e dialoghi. Sembrerebbe poco e invece in questo racconto c’è moltissimo e si sente. Davvero bello. Complimenti.
Sono lusingato, Cristiana e spero di non gasarmi troppo dopo il tuo commento. Pure lieto di vedere che, a furia di lavorarci, qualche esperimento possa ingranare. Grazie di cuore
È una storia malinconica e dolce, l’ho letta con piacere.
Grazie per il tuo tempo, Melania
Commovente, e un pochino triste… ad ogni modo, bravissimo.
Grazie Nicola per avere letto e per l’attenzione.
“«Libero»«Che bel nome» dice Regina «e lo sei davvero?»”
Bellissimo questo passaggio. Sono riuscito a sentire lei che pronunciava la domanda.
Parole dolci e ben scritte, grazie Paolo
Grazie Roberto!
Non mi ricordo chi l’ha detto, che chi ti tocca davvero lo fa con l’anima e non con il corpo. Questo racconto mi ha fatto pensare a queste parole. Due mondi distanti che hanno in comune la stessa solitudine e quella parola libertà, che non appartiene a nessuno dei due. Riescono a creare un mondo dove la libertà esiste e il resto scompare. Tutto questo senza toccarsi. Wow.
Grazie davvero per l’attenzione, sto facendo esperimenti (o esercizi) tentando di metterci dentro qualcosina che conduca da qualche parte… e poi cercare di capire se si possa sviluppare, lavorrci sopra. Quindi sono grato per qualsiasi commento.
Hai sfiorato alcuni temi importanti che rendono coinvolgente questa breve storia di “toccata e fuga”, senza neppure un vero contatto se non quello del vetro con il brindisi. L’incontro peró sembra intenso, tra due persone che si ammirano a vicenda. Lui la bellezza della donna e lei la condizione di libertà che l’uomo rappresenta anche nel nome. Due persone che hanno vite molto diverse e separate. Due strade che forse non convergeranno mai. Lui che paga e poi si ritrae sembra nascondere qualcosa; oppure non osa, come se le sue mani ruvide potessero sciupare la pelle setosa di lei. In tutti i casi, anche per ció che non é del tutto evidente, é un racconto che cattura.
Grazie Maria Luisa per l’attenzione. L’idea, forse sviluppata malamente, era quella di mostrare come ciò che di negativo è culturalmente interiorizzato negli individui, richiede grandi sforzi e piccoli passi per essere superato. Libero rappresenta la controparte che, ancor oggi, da un senso alla pratica della tratta di esseri umani (senza voler sminuire minimamente la responsabilità criminale di chi perpetra tali nefandezze). Ciò che decide di fare è un primo piccolo passo, una presa di coscenza, indispensabile per cambiare punto di vista.
Ciao Paolo. Ho trovato molto bello l’accostamento tra il corpo della ragazza, la levigatezza della sua pelle e… il legno, la materia che il protagonista conosce perfettamente, il suo lavoro, la sua vita.
Grazie Antonio per aver letto