L’imprevisto

Non è solo quello che ti succede adesso. È tutto. Tutto quello è stato prima.

Va tutto bene, tutto come dovrebbe sempre andare. Poi: accade. E, siccome si prevede tutto tranne gli imprevisti, vieni colto alla sprovvista.

È la famosa goccia che fa traboccare il vaso, quella che nei libri di scuola dà la spintarella necessaria allo scoppio di una guerra. Quella che fa traboccare la tensione superficiale nel bicchiere, e con il traboccare dell’acqua porta con se una catena di perle ammaccate, ingrigite; quasi sempre false. Ma tu non lo sai che lo sono, e fai un errore: le prendi per vere; te le passi fra le dita, le conti e riconti mentre ti portano a ricordi lontani che pensavi di non ricordare più. Brutti, falsi, grigiastri e ammaccati, come quelle perle. Pesano sulla tua testa come ogni vetta della più lunga catena montuosa.

Alla fine, con l’ultima perla falsa in mano, la testa piena e gli occhi lucidi, ti chiedi: perché?

E subito dopo: ne vale la pena?

Sembra un disastro; la descrizione di un’epidemia di peste, di un’invasione di cavallette, un’era glaciale proprio quando i granai sono quasi vuoti e sta per nascere un ottavo figlio.

Invece è solo la connessione che si è interrotta durante un esame, uno di quelli che si devono dare al computer perché ora siamo tutti bloccati dentro casa. Internet salta; l’esame non può continuare; smonti l’impalcatura di telecamere ben piazzate per far si che i professori vedessero che non stavi copiando; metti via tutto, libri, computer, la sedia girevole …

Ecco! Questo è il momento! Da qui parte la rabbia, lo sconforto, un po’ di sano e ingiusto odio per l’umanità e la sensazione, sempre più netta, di essere presi in giro. Perché sei bloccato in casa, a fare degli esami in più dopo una laurea che non ti ha portato a nulla, con ogni possibilità lavorativa che ti ha chiuso la porta davanti. Ma non è colpa di nessuno. Non è colpa tua, né del computer, se la connessione non funziona. Non è colpa di nessuno se il mondo sta subendo una pandemia. Non è colpa di nessuno se i concorsi erano già finiti quando ti sei laureato.

Non è colpa di nessuno; però sembra che l’universo oggi ce l’abbia proprio con te. E allora parte la prima domanda: perché?

Poi realizzi una cosa: non hai vie di fuga. Non puoi fare altro, se non stare lì dove sei e finire quello che hai cominciato, perché senza lavoro, senza macchina, senza null’altro che quegli esami in più da dare … puoi solo studiare. Ed ecco che scivola dietro la tua ombra la seconda domanda: ne vale la pena?

Io non sono un mago. Non sono un indovino, perché il futuro non lo puoi predire, e non sono il destino, perché a quello non ci credo. Sono una persona su sette miliardi, alla quale piace guardare gli altri vivere; guardarli compiere delle scelte; ascoltare le loro storie. E sono tutte meravigliosamente umane.

Bene, ti dirò quel che so, per quanto poco possa essere.

Un perché non lo ha mai trovato nessuno che non sia fedele in un qualche Dio. Ma, ahimè, temo di non esserlo. Allora qui sospenderemo il giudizio, poiché credo che ai perché della vita si possa rispondere solo in due modi: accettando l’azione arbitraria del caso; o aspettando di essere a un passo dal trapassare, nella speranza che qualcuno, prima di farci calpestare i giardini dell’Eden o le rive dell’Acheronte, ci illumini sul senso della vita.

Alla seconda domanda la risposta di solito è sì, ne vale la pena. Di cosa? Mah, solitamente di tutto. Per tutto non intendo “qualunque cosa”, che può spaziare dal darsi il collirio prima di andare a dormire al lanciarsi dal terrazzo con una tovaglia per vedere se gli scoiattoli volanti hanno ragione. Il mio “tutto” è solo quello che stai facendo. O che hai intenzione di fare. O quello che facevi quando, per un qualsiasi imprevisto, ti sei dovuto fermare e ti sei posto la fatidica domanda.

Il tutto è la vita, la cosa più semplice che non ci rendiamo mai conto di costruire, di fare, di possedere. È un tutto molto farlocco in realtà: non puoi davvero toccarlo, poiché una definizione di vita rifugge al sensibile. La nostra società consumista insegna perlopiù che quello che ti serve si compra, si tocca e si vede. Mi puoi dire che, però, la natura è vita: gli alberi producono l’ossigeno, l’erba cresce, i frutti maturano. Cavolo, questa certamente sarà vita! E poi gli uomini, gli animali, tutto ciò che respira, cammina, produce … ditemi se non è vita questa!

No. Questo è un tipo di vita. Usciamo dal piano del significante, per così dire, analizzando un momento il significato di vita. Non una vita qualsiasi, bada bene! Per stavolta ti è concesso essere egocentrico: la tua vita. Cosa significa? L’insieme delle attività che compi per passare da un giorno all’altro? No, non credo. Qual è la risposta? Non saprei. Per me è come un verità cartesiana, qualcosa che sta alla base di tutto e che conosci, perché … sì. Perché se non la conoscessi non potresti costruirci tutto il resto sopra.

E questo tutto, che sei tu, e soltanto tu, vale la candela?

Di solito, la risposta è sì.

Chi lo decide? Ma tu, chi altri? Sii egocentrico, ti ho detto! Anche l’egocentrismo implica delle responsabilità: fare di se stessi il centro del mondo significa trovare in se le risposte alle proprie domande, e le cause alle proprie conseguenze.

Bene, ora che ti sei allontanato da quella catena di perle marce, false e ingrigite, e sei tornato lucidamente a non pensare a inutili “perché” … accade invece un “ma”.

Il nostro “ma” sono tutte le altre vite. Eh sì, noi possiamo essere egocentrici, autoescludendoci dal resto delle vite, diciamo dal contesto. Ma gli altri? Ah, gli altri ci sono! E come nel vortice atomico, girano, cambiano direzione, si muovono … e si scontrano. Le vite degli altri per noi sono “imprevisti”. Sì, proprio come la connessione che è saltata durante l’esame! Incredibile, vero? Riuscire a collegare un guasto informatico a un ragionamento filosofeggiante. Meno incredibile se si pensa che dietro a entrambe le cose si nasconde l’essere umano.

Certo: noi siamo la causa di tutto! È così che funziona la Storia: l’intrecciarsi delle vite. Anche quella della Terra, del Sole … tutto ha una vita. E da questo intreccio, da questo scontro di atomi, temo che il nostro egocentrismo non ci salverà.

Torniamo fuori, davanti a tutti, in mezzo a tutti. Se la Storia è un continuo scontrarsi delle vite altrui … come possiamo trovare le risposte dentro di noi? A mia discolpa, non ho mai detto che avremmo trovato risposte oggettive. Perché, ce ne sono? Non che io sappia. Ma io non sono che un granello di polvere tra sette miliardi; sicuramente esisterà qualcuno che ne sa più di me. O no?

Arrivati a questo punto, consci di aver messo piede, senza chiedere il permesso a nessuno e senza che nessuno ce lo abbia chiesto, o che noi lo abbiamo voluto, in un vortice di più soggettività; consapevoli che può accadere qualunque cosa in qualunque momento, perché tutti i viventi si muovono e tutto può essere artefice di imprevisti; convinti dell’idea che ai “perché” non si trova risposta, a meno che essa non sia già avvenuta e si possa richiedere, gentilmente, agli archivi della memoria umana e non; dopo tutto questo, e una periodo estremamente lungo che mette a dura prova la memoria a breve termine … cosa ci resta?

Resti tu. Tu che leggi queste righe, di cui forse non hai capito nulla, e se ne hai colto il significato ti chiedo di rispiegarmelo appena hai un minuto libero.

Resti tu, che ora non hai più dei “perché” che tu non possa risolvere guardandoti dentro; e se lì non c’è soluzione, e nulla di ciò che è già accaduto assomiglia alla tua domanda … dovrai fartene una ragione e aspettare.

Resti tu che adesso hai dei “ma”, ovvero tutti gli altri. Tu che sei una vita tra le vite. Un Egocentrismo tra gli altri. Un imprevisto tra gli imprevisti. Ma se qualcuno si è dato la pena di gettare un ennesimo imprevisto nel mondo, ed esso, con il suo movimento, ha dato vita ad altrettanti imprevisti che hanno causato inattese reazioni; se in qualche modo questa mattina la linea di Eolo è saltata tra le nove e le dieci, e l’unico addetto disponibile stava correndo all’ospedale per far intubare il nipote negazionista, vittima di una pandemia generata all’infuori dal controllo umano; se proprio in quell’orario tu stavi svolgendo l’esame che non vedevi l’ora di toglierti dalle scatole; se la connessione salta, e nessuno può farci niente; se questo ti fa chiedere chi te lo ha fatto fare ad iscriverti a dei corsi singoli dopo la laurea, facendoti dubitare che ne valga la pena … ebbene sì. Ne vale la pena.

Ah, poi ci sono io. L’ennesimo imprevisto di questa giornata.

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Discussioni

  1. “Resti tu. Tu che leggi queste righe, di cui forse non hai capito nulla, e se ne hai colto il significato ti chiedo di rispiegarmelo appena hai un minuto libero.”
    Il significato della vita? Vivere e non sopravvivere. Facile a dirsi, difficile a farsi