L’inaugurazione

Serie: Anatomia sepolcrale di un sogno


NELLA PUNTATA PRECEDENTE: Gustav ritorna in tribunale dove si accorge di non avere alcun tipo di funzione o incombenza. Allora raggiunge Lara nel suo ufficio. Convinto che i battiti della macchina da scrivere che riecheggiano dalla finestra aperta siano i suoi, si precipita sopra, ma nella sua stanza di lavoro Lara non c'è.

Osservai la sua macchina da scrivere Everest vintage, il posacenere di marmo con una sigaretta accesa sul bordo e un calice di Prosecco dal vetro appannato. Non riuscivo a capacitarmi, eppure era la sua stanza, la numero 36, ma di certo non fumava né beveva in servizio, la mia signora, non era  sfrontata e viziosa come la donnina notturna del poeta, che portava, per pura coincidenza, se non disgrazia, il suo stesso nome; e intanto mi ero posizionato dietro la  scrivania, a fissare il foglio infilato nella macchina, su cui era scritto in grassetto, ben centrato: Il poeta notturno. Appunti ermetici per un’inaugurazione. Nulla di più. Che cosa assurda, inverosimile. Aveva la forma di un titolo. Ma titolo di cosa? pensai. Dovevo capire dove diavolo fosse finita. Una macchina da scrivere riprese a battere dalla camera accanto. Stavolta bussai, prima di entrare. Una voce femminile mi fece «Avanti.» Così entrai, trovandomi di fronte, seduta alla sua scrivania, una signorina elegante, compita, dal viso minuto, un po’ malinconico. Portava uno chignon molto curato, una camicetta in organza, degli occhiali sottili da maestra. Quando le chiesi di mia moglie, la donna continuò a battere a macchina. Senza sollevare lo sguardo dal foglio mi disse che Lara era stata chiamata un’ora fa dalla redazione di una rivista letteraria che aveva sede in un albergo, dove si sarebbe tenuta un’importante inaugurazione. Non sapeva altro.

«Ma… quanto tempo fa?»

«Circa un’ora, giù di lì» mi fece.

«Come ha fatto ad andarsene in orario di servizio?»

«Ha chiesto un regolare permesso, che le è stato accordato. Per situazioni straordinarie i permessi li otteniamo senza difficoltà. Pensavo che lei fosse al corrente.»

«Al corrente di cosa, mi perdoni?»

«Del suo coinvolgimento. È stato, sopra ogni cosa, un suo desiderio che Lara entrasse in redazione, avvocato, a quanto lei mi ha riferito prima di andare. Sapesse quanto era emozionata. Non credo di averla mai vista così felice.»

Non seppi più cosa chiederle. Ero stravolto, incredulo. Mi avvicinai alla finestra, per guardare il giardino rischiarato dal sole, facendo fatica a realizzare ciò che era accaduto e continuava ad accadermi in modo irreversibile, contro ogni minimo criterio logico.

La donnona dei caffè venne ad affacciarsi nella stanza dove mi trovavo, la numero 37, come se già sapesse di trovarmi lì. Mi comunicò a gran voce che sua figlia stava per raggiungerla in macchina e che se gradivo un passaggio mi avrebbero accompagnato senza alcun problema – ma io avevo solo voglia di camminare. Scesi insieme a lei, ancora frastornato. Prima di congedarmi, la macchina della figlia aveva già accostato nella sua attesa, accanto al cancello d’ingresso.

«Le chiedo scusa per prima, signora. Non vorrei si fosse dispiaciuta per averla lasciata da sola, nel suo cucinino. Ero convinto fosse mia moglie a battere a macchina, ma purtroppo non era così…»

«Ma quanti problemi, avvocato. Che cosa va a pensare! Dispiaciuta per cosa, poi? Fossero tutti come lei. Venga con me, piuttosto, che le presento la mia Marisa. È quella bambola dai capelli lunghi, nella Simca rosa shocking. Mi sa che la sta già squadrando, e penserà: chissà chi è quel signore elegante e distinto che si accompagna alla mia vecchia balena? Sono certa che adesso le starà già calcolando la misura del bischero – è possibile quanto umano, d’altra parte. Eccomi pronta, tesoro, sto arrivando. Avanti, avvocato, non si faccia pregare, a quest’ora il caldo aumenta. Ci dia la gioia di averla ancora con noi per un tratto di strada.»

«Ma io avrei preferito fare due passi, signora. Non deve preoccuparsi» e intanto la ragazza era scesa dall’auto e ci veniva incontro.

«Ecco, guardi che gioiellino. Tutta opera mia, avvocato. Marisa, ti presento l’avvocato Gustav. Avvocato: Marisa, mia figlia» quando strinsi con disagio la mano di Marisa. Una mano gelida, come il suo volto antipatico, funesto. Una creatura dell’orrore, che nemmeno degnò di uno sguardo sua madre, la quale continuava a parlare e a tessere i suoi elogi, costringendomi, mio malgrado, a salire a bordo con loro. Per tutto il tragitto ci avvolse un silenzio di stupefazione, da parte mia di disgusto. La macchina era tutta lercia. All’interno cartacce, briciole di biscotti e un odore dolciastro di chewing-gum – un porcile molto simile a quello della mia Renault Mégane durante i nostri week-end.

«Dove vuole che la lasci?» fu l’unica volta che Marisa mi parlò. Per il resto del tragitto rimase muta. Sua madre si era appisolata. Era stravaccata dietro – non aveva voluto saperne di mettersi davanti, insistendo perché mi sedessi io. Dissi alla figlia che non avevo preferenze, ma che nei pressi dell’albergo del poeta, a via San Filippo Neri, poteva andar bene. In meno di quindici minuti mi portò a destinazione. Prima di scendere, ringraziandola per il passaggio e complimentandomi di persona per la miscela del caffè, le raccomandai di non svegliare sua madre e di salutarmela con affetto. Le lasciai con un filo di malinconia, osservando a lungo i fari giallini della Simca rosa che si allontanavano con le loro sagome, quando dalla finestra del terzo piano dell’albergo riecheggiò il ticchettio familiare della macchina da scrivere. Possibile che mia moglie fosse già a lavoro nella camera del poeta? Me lo sentivo che era già qui, e intanto entrai come un colpo di fucile – la porta a vetri dell’albergo era aperta.

All’interno un gruppo ben assortito di persone eleganti, tutte in abito scuro, che si apprestavano a seguire un cameriere in livrea. «Da questa parte, signori. Gli aperitivi saranno serviti in sala Picasso» disse loro con grazia, facendogli strada.

«Di cosa si tratta?» domandai a un uomo basso e miope, uno degli ultimi della fila.

«Stiamo andando all’inaugurazione della nuova rivista di poesia ermetica, fondata dal poeta Stanislao Lopez. Siamo tutti assai curiosi del suo progetto di rinnovamento. Anche lei poeta?»

«No, sono un avvocato. Avvocato Gustav, spiacente. Non appartengo al mondo poetico, ma a quello legale» gli dissi, con una certa alterigia, mentre proseguivamo nella breve processione verso la sala Picasso, come parte di un unico flusso che non aveva pensieri, sentimenti, volontà, ma solo direzioni cristallizzate, forse inesorabili.

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Discussioni

  1. Si ha la sensazione di camminare accanto a Gustav, senza sapere bene dove ti stia portando. Ogni personaggio che incontra sembra nascondere qualcosa, e questo rende impossibile smettere di leggere.

    1. Ciao, Lino. La tua sensazione mi rincuora davvero tanto. Ciascun passaggio di questa storia è sempre un giacimento di riflessi, di compromessi tra un livello oggettivo dello stato dei fatti e un flusso incontrollabile soggettivo che conduce – o trasluce – il susseguirsi caotico delle azioni, a volte in un caleidoscopio, in altre nello specchio fermo di un lago, della vasca di una vecchia fontana. La condizione magnetica che hai sperimentato nella lettura è un’informazione preziosa, di cui ti ringrazio. È in buona parte lo stesso magnetismo che accompagna il processo di stesura, con i suoi traumi, abbagli, illusioni o falsi arrembaggi. Ogni episodio è un nuovo velo che si frappone al precedente, così ogni figura di luce che compare e scompare lungo l’arcata drammatica di beatitudini, terrori ciechi e dissolvenze. Ma esiste sempre la possibilità del colpo di vento che solleverà l’ultimo velo della serie. È forse l’unica certezza rimasta. Un saluto e ancora grazie del tuo commento.

    1. Ciao, Rocco. Ti ringrazio molto per la tua analisi e i tuoi interessanti, quanto pregevoli, accostamenti. Questo continuo sfiorarsi, talvolta alternarsi, di livelli dimensionali contrapposti, rappresenta la cifra caratteristica della serie. Dai prossimi episodi accadrà un’importante accelerazione delle situazioni e degli eventi, che marcheranno sempre di più la nebbiosità e l’impermanenza di questo limbo impenetrabile, dove è impiantato il teatro della serie, il suo reale epicentro, la sua genesi. Un saluto e buona scrittura.