Scale

Serie: L'INCIDENTE


    STAGIONE 1

  • Episodio 1: Neve
  • Episodio 2: Stelle
  • Episodio 3: Soldi
  • Episodio 4: Scale
  • Episodio 5: Casa
  • Episodio 6: Strada

“Sembra che se li stia spendendo bene,” disse il sorvegliante.

Nel video, dopo il bacio, colui che un tempo era stato il migliore amico, e ora voleva soltanto vedere morto, si era ormai staccato dalla donna. Al settimo cielo, guardava le stelle. Allungava tutte e due le mani e saltava per toccarle. Strappava fiori dal suolo e li gettava in aria, i fiori per un attimo sembravano stelle poi ricadevano a terra da dove erano venuti, ma senza più radici, quindi morti. In questo modo strano dimostrava la sua gioia. Poi si mise a saltellare, e tra un salto e l’altro, il sorvegliante premette un bottone, e nel video, sotto ai piedi del ragazzo, si aprì un buco nell’erba, e il ragazzo scomparve, cadendoci dentro. Sul monitor l’immagine cambiò e si vide il ragazzo, dopo la caduta, in una stanza chiusa, senza finestre, una specie di cella.

Dal buco sopra di lui, gli ricaddero addosso i vestiti, e le scarpe. Poi il buco sopra di lui si richiuse, e fu di nuovo silenzio.

“Eccolo qui. Ha finito di saltare,” disse il sorvegliante, col sorriso soddisfatto di chi ha fatto il proprio dovere.

“Dove si trova?”

“Proprio qui sotto, nel magazzino. Ora la domanda è: che cosa ne facciamo?”

“Non si potrebbe ucciderlo?” chiese il ragazzo con voce innocente e per nulla espressiva, come se avesse domandato il sale.

“Ucciderlo? Un po’ estremo, come gesto, non trovi? A parte che sarebbe una pessima pubblicità per l’azienda. Dobbiamo solo farci restituire i soldi, così puoi saldare il conto. Mando uno dei miei uomini a perquisirlo.”

Il ragazzo fece uno sforzo per conservare l’espressione innocente, ma dentro di sé ebbe un sussulto. Se fossero andati ad interrogare l’ex-amico, non solo non gli avrebbero trovato addosso i soldi, ma sarebbe bastato un rapido controllo alle telecamere di sicurezza per capire che non era mai stato al centro commerciale quella notte. E lui si sarebbe trovato nei guai. Doveva pensare velocemente. Dopo qualche secondo di silenzio (troppi? E se si fossero accorti della sua esitazione? E se l’avessero trovata sospetta?), disse:

“No, un momento. Non lo fate. Non mi interessa riavere i soldi. Lo perdono. Lasciatelo libero.”

“Ma come? Non volevi ucciderlo, solo un attimo fa?” chiese il sorvegliante, con un’aria che sembrava sorpresa. “Qui comunque non è questione di perdonare. Non ci siamo capiti. A te non interesserà riavere i soldi, ma a noi interessa che tu paghi quello che hai comprato. Dopodiché, certo che lo lasciamo libero. Vi lasciamo liberi tutti e due. Non siamo rapitori, siamo imprenditori.”

“Vado io a riprenderli,” disse il ragazzo dopo un’altra paura troppo lunga. “In fondo sono i miei soldi.”

“E’ un viaggio inutile.”

“Così controllo quanti ne ha già spesi.” Si sentiva le mani sudate.

“Se proprio ci tieni. Andiamo.”

Uscirono dall’ufficio della sicurezza.

“Posso andare da solo?”

“Non sai la strada.”

Si aprì una porta e si ritrovarono sotto l’immensa cupola di vetro del centro commerciale. Ormai la notte era quasi finita. Non si vedeva ancora il sole, ma la sua luce andava spegnendo quella delle stelle. Il centro commerciale era vuoto, gli acquirenti se ne erano tutti andati. Faceva impressione, un luogo immenso e pensato per il commercio, dove il commercio non c’era. Sembrava un animale senza l’anima. Metteva un peso sul cuore, grande come il posto stesso.

Le casse laggiù in fondo, senza più file ammassate davanti, erano ben visibili. Due addetti alla contabilità andavano dall’una all’altra per raccogliere gli incassi. Dentro il vano cavo degli scaffali di merce, i commessi sedevano esausti, approfittando della pausa per fumarsi una sigaretta. Il fumo, senza via d’uscita, annebbiava le pareti di plexiglas, soffocandoli a poco a poco.

“Si va per di qua,” disse il sorvegliante, indicando al ragazzo una scala che scendeva da basso.

“D’accordo, ho capito,” disse il ragazzo, “Lei vada pure, la raggiungo subito. Ci vediamo giù.” Poi, vedendo lo sguardo perplesso del sorvegliante, aggiunse: “Io devo andare un attimo a controllare una cosa.”

“Adesso non c’è tempo, andrai dopo.”

“Faccio subito. Vada pure, ho detto,” rispose il ragazzo, e si incamminò verso una delle casse, la più lontana dagli addetti che ritiravano l’incasso. Il sorvegliante continuava a fissarlo, da lontano.

“Ci vediamo giù,” disse il ragazzo. “Non c’è bisogno che mi aspetti.” Ma il sorvegliante non si muoveva.

Il ragazzo, cercando di non farsi vedere, ai avvicinò ad una delle casse aperte e afferrò una manciata di banconote. Ne conteneva così tante, che il cassetto non restava chiuso. Se li mise in tasca e tornò dal sorvegliante, che lo guardava esterrefatto.

“Adesso possiamo andare,” disse il ragazzo.

“Che cosa hai fatto?” chiese il sorvegliante, scendendo le scale.

“Niente. Ho solo controllato una cosa.” Dalla tasca dei pantaloni gli spuntavano sei o sette banconote.

“E quelle cosa sono?”

“Eh? Cosa? Queste? Niente. Un fazzoletto colorato che mi hanno regalato.”

“Hai rubato dei soldi da una delle casse.”

Il ragazzo sentiva il cuore esplodergli nel petto, per la seconda volta quella sera. La prima era stata per amore. Adesso era solo paura. Ancora non lo sapeva, ma nel giro di poche ore aveva provato le due emozioni umane fondamentali, quelle che fanno battere il cuore, i due poli estremi in mezzo ai quali si dibatte quella fragile barchetta scossa dalle onde degli eventi che è la vita.

Scese le scale, seguito dal sorvegliante, ed insieme entrarono nella piccola cella dove si trovava rinchiuso l’amico (ora che anche lui ha paura come me, che non è più felice per qualcosa che mi ha rubato, ora che gli ho fatto male come lui me ne ha fatto, possiamo essere di nuovo amici, pensava guardandolo).

“Mi hai sentito?” udì all’improvviso la voce del sorvegliante sopra di lui. “Hai rubato i soldi da una delle casse. Ti hanno visto tutti.”

“Soldi? Macché soldi. E’ lui il ladro, mica io.” Poi si rivolse all’amico. “Ti abbiamo beccato. Ridammi quello che mi hai preso.”

Il sorvegliante osservava la scena, senza parole.

“Cosa fai, non rispondi?” esclamò il ragazzo. “Vieni qua, ridammi il maltolto.” E prese a frugarlo dappertutto.

Poi, davanti agli occhi esterrefatti sia del sorvegliante, sia del suo amico, prese i soldi dalla propria tasca per infilarli nei pantaloni dell’altro. In quel momento sentì qualcosa di duro colpirlo alla testa, e cadde svenuto, e tutto attorno gli si fece il buio.

“Dove siamo?”

“Non lo so.”

“Voglio uscire da qui.”

“Perché non lo gridi. Magari ti sentono.”

“Sembra una prigione, ma io non ho fatto niente.”

“Questo lo dici tu.”

“Cosa darei per poter tornare a casa.”

“Cosa daresti?”

“Il ricordo di esserne uscito.”

Di nuovo un colpo in testa, questa volta a entrambi, e di nuovo il buio.

Serie: L'INCIDENTE


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Discussioni

  1. Ciao Riccardo, questo episodio è il ritratto di come l’uomo possa cadere nel lato oscuro (non della forza??) dell’anima umana, e di come i due ragazzi possano perdere una sorta di innocenza con cui hanno vissuto sino a conoscere le derive della nostra società. È una vera e propria grande rappresentazione o allegoria, dall’innocenza alla tentazione, sino al tradimento e al peccato. Altro episodio scorrevole, dalle sfumature surreali e ironico. Sono davvero curioso di come andrà a finire. Un saluto, alla prossima!

    1. Grazie!
      Altra lettura accurata e profonda, come sempre.
      Sono felice che il racconto sia riuscito ad interessarti fino al quinto episodio.
      Ci siamo quasi…

  2. Ciao Riccardo, in questo episodio ho potuto percepire l’allegoria Biblica de “le donne sono la causa di tutti i mali”. Per andare poi nel faceto, ho ritrovato le atmosfere di qualche episodio addietro e paragonato i poveri impiegati del grande magazzino ai lavoratori di Amazon 😀

    1. Non lo sono, te lo assicuro… C’è spazio ancora per qualche piccolo svelamento prima della (imminente) fine.

      Grazie per il commento, e la lettura!