
L’interno 8
Serie: IL TRENO DELLE ANIME
- Episodio 1: Il piano – 1
- Episodio 2: Il piano – 2
- Episodio 3: Sabato 29 marzo
- Episodio 4: L’incontro con la madre
- Episodio 5: Il processo e il carcere
- Episodio 6: Mario
- Episodio 7: Lo scarafaggio
- Episodio 8: La proposta
- Episodio 9: La prova
- Episodio 10: Il concerto
- Episodio 1: Il sogno
- Episodio 2: Sara
- Episodio 3: Il Santo Graal
- Episodio 4: Michele
- Episodio 5: Il professore
- Episodio 6: L’incontro con Gigi
- Episodio 7: L’inquisitore
- Episodio 8: La rabbia di Nico
- Episodio 9: La lupa
- Episodio 10: Gorka
- Episodio 1: Marie
- Episodio 2: La chiromante
- Episodio 3: La pergamena
- Episodio 4: L’ultima notte
- Episodio 5: Tonio
- Episodio 6: L’epilogo della storia di Nico e la storia di Manuel
- Episodio 7: Alex
- Episodio 8: Conchiglie e sassolini
- Episodio 9: La roulette russa
- Episodio 10: Il racconto della vecchia signora
- Episodio 1: Katia
- Episodio 2: In viaggio verso l’Italia
- Episodio 3: Il Cavaliere senza Croce
- Episodio 4: Rien ne va plus
- Episodio 5: Il padre di Manuel
- Episodio 6: La tempesta
- Episodio 7: L’alfabeto colorato
- Episodio 8: Quattordici anni dopo
- Episodio 9: L’interno 8
STAGIONE 1
STAGIONE 2
STAGIONE 3
STAGIONE 4
«Forza, Alex, appoggiati a me, usciamo.»
Il figlio non rispose e neanche si voltò. Manuel lo tirò su di forza e cinse la vita del ragazzo con un braccio.
«Alex, dammi la mano… metti il braccio intorno al mio collo… non avere paura, non ti faccio cadere.»
Scesero piano le scale. Manuel si teneva al corrimano e, arrivato in strada, fece salire il figlio in auto, gli allacciò la cintura e si diresse verso l’ospedale.
Una volta arrivato, spiegò tutta la situazione al medico del pronto soccorso. Poi, un infermiere fece sedere Alex su una sedia a rotelle e disse a Manuel di restare nella sala d’attesa. Lui seguì con lo sguardo l’infermiere che spingeva la carrozzina lungo il corridoio, per poi vederlo sparire dietro l’angolo.
Aspettò per più di due ore. In quel lasso di tempo ripensò alla confessione del figlio sulla sua paura e si chiedeva cosa lo rendesse così fragile: forse aveva subito un trauma di cui lui non era a conoscenza? Finalmente arrivò un medico.
«Prego, venga con me.»
Manuel si alzò con tutta la fretta che l’ansia gli dava e lo seguì. Il medico lo condusse nel suo studio e lo fece accomodare.
«Abbiamo fatto tutti gli accertamenti possibili e, a parte un’evidente stanchezza e debolezza dovute a una cattiva nutrizione, suo figlio è sano. Non ha assunto nessuna sostanza tossica e non ha lesioni di nessun tipo.»
«E allora a cosa è dovuto questo suo strano comportamento?»
«Questo al momento non siamo ancora in grado di dirlo. Potrebbero essere episodi di sonnambulismo, ma per esserne certi dobbiamo trattenerlo per qualche giorno.»
Manuel decise di raccontare in quali circostanze aveva conosciuto e poi adottato il figlio, ma il medico non diede alcun parere.
Erano quasi le tre del pomeriggio. Manuel vagava per la città, non aveva voglia di niente; avrebbe voluto Katia accanto a sé, ma non voleva ancora dirle delle condizioni di Alex. Sperava che tutto sarebbe rientrato entro pochi giorni. Aveva scritto un messaggio alla moglie dal cellulare di Alex, fingendosi il figlio, ed era riuscito a ingannarla.
Sul Lungopo c’era poca gente a passeggiare, tirava vento e il tempo era mutato. Manuel guardò la collina: aveva ormai i colori caldi dell’autunno e la basilica in alto, e le altre casette sembravano un pastore con il suo gregge. Come avrebbe voluto anche lui qualcuno che lo guidasse con il bastone, senza mai alzarlo. Risalì la collina. C’era una piccola chiesa che non aveva mai visto e, stranamente, per quell’ora era aperta. Lui entrò. Si sedette nell’ultima fila. Il sacerdote celebrava la messa. Manuel si guardò intorno: non c’era nessuno.
Finita la messa, il celebrante, invece di pronunciare la frase “Andate in pace”, fece segno con le mani a Manuel di avvicinarsi.
«Vieni, da solo non troverai la pace.»
Manuel obbedì e si avvicinò al prete: era il pescatore. Non credeva ai suoi occhi. Forse si stava sbagliando, ma non aveva il coraggio di chiedere.
«Perché mi guardi? Ti sei incantato?»
«No… è che, Padre, mi scusi, ma lei non era un pescatore?»
«Lo sono ancora. Una cosa non esclude l’altra. La chiesa non ha mai proibito a un prete di pescare… anzi.»
«Sì, ha ragione, ma non mi aspettavo di trovarla qui dopo tanto tempo. Sa che non è cambiato per niente?»
«Cosa potevo cambiare? I miei capelli erano e sono bianchi e le rughe, poi, ci pensa la barba a nasconderle.»
Il prete sorrideva divertito.
«Come stanno Katia e Alex?»
Manuel non rispose e abbassò il capo.
«Che succede, Manuel?»
«Mio figlio sta molto male… a mia moglie non ho detto niente… non voglio farla preoccupare… Forse qualcuno mi sta presentando un conto molto salato… in fondo avrebbe ragione, ma farlo attraverso Alex è meschino.»
«Lui non è meschino, Manuel.»
«Non sto parlando di Dio, padre.»
«Lo so, stai parlando del tuo amico.»
Manuel guardò il prete con meraviglia.
«Non stupirti: l’ho capito dal tuo interesse per la storia del cavaliere. Se il tuo amico ti presenterà il conto, sarai felice di pagarlo. Ricordi? Tanti anni fa ti dissi: “Forse un giorno vi rincontrerete e camminerete uno accanto all’altro.”»
«Sì, ricordo. Ma sarebbe difficile riconoscerci. Io le parole le ho scritte, ma lui le avrà lette?»
«Sì, le ha lette e riscritte… Adesso vai da Alex, ti starà aspettando.»
Manuel uscì, scese la collina, salì in auto e, ripensando all’incontro avuto, si rese conto di aver parlato in quella chiesa come se fosse un altro. Al sacerdote che gli chiese se ricordava una frase ascoltata molti anni prima, lui aveva risposto di sì, ma adesso si rendeva conto che quelle parole non appartenevano ai ricordi della sua vita.
Si recò in ospedale. Alex dormiva. I medici dissero che era l’effetto dei tranquillanti e gli consigliarono di andare a riposarsi, ma lui restò accanto al figlio oltre l’orario delle visite, fino a quando un infermiere lo invitò a uscire; solo allora Manuel baciò Alex sulla fronte e, anche se a malincuore, andò via.
Ritornò a casa e, mentre apriva la porta, alzò gli occhi sulla targhetta con il numero 8 in orizzontale.

«Hai sentito? Dicono che non sei meschino e allora perché Alex sta così male? È una coincidenza? Non ci credo.»
Nel frigo trovò quattro birre: ne bevve una, poi un’altra e un’altra ancora. Alla quarta non si reggeva più in piedi, barcollava, ma continuava a girare in quella casa come un cane che fiuta; poi si fermò in una delle camere. Era rimasto tutto identico a tanti anni prima: gli stessi mobili, gli stessi quadri e, in un angolo, c’era ancora una vecchia tastiera. Si appoggiò al muro, con una mano in tasca e la bottiglia nell’altra, e fissò uno dei due letti che c’erano nella stanza.
L’immagine nitida di quei due bambini apparve di nuovo. Adesso erano un po’ più grandicelli: un bambino più piccolo era a letto e piangeva, l’altro, più grande, seduto di fronte a lui a gambe incrociate, sullo stesso letto, gli parlava.
*****
«Come stai?»
«Ho mal di pancia, il dottore ha detto che ho l’appendicicche, stasera mi portano all’ospedale. Quelli che portano all’ospedale muoiono.»
«Non piangere, che non muori. Ma quante cicche hai mangiato che adesso sono appese?»
«Non lo so. So solo che muoio.»
«Non muori. Mio nonno dice che i gatti hanno 7 vite e io ho detto al mio gatto di dartene una… tanto lui ne ha altre 6.»
«Sì, ma poi divento un gatto.»
«Ma nooo, fidati… al massimo, invece che piangere, farai: miao, miao.»
«Mi prendi sempre in giro… poi il gatto non me la dà una vita.»
«E io gliele tolgo tutte e sette, se non fa quello che gli ho detto.»
«No, non devi fargli male, promettilo.»
«Va beneee. Però tu non muori: fidati.»
«Ma io mi fido di te… ma adesso voglio alzarmi, sono stufo di stare a letto.»
«No, devi stare a letto per guarire.»
«No, io mi alzo.»
«Fai il bravo. Se resti a letto, ti faccio un regalo: ho visto un bel giocattolo.»
«Cosa?»
«È una sorpresa.»
«Ma non hai soldi.»
«Sì, invece, ho i soldini che mi ha dato mio nonno.»
Il bambino uscì e poco dopo ritornò con una scatola quasi più grande di lui.
«Apri.»
«Uauuu, un pianinooo, grazieee. Come hai fatto a sapere che mi piaceva?»
«Per forza, sono tuo amico.»
*****
Poi entrarono due uomini: uno più giovane e l’altro più vecchio. Il più giovane prese il bambino malato in braccio per portarlo via, mentre l’altro, più vecchio, accostò a sé il bambino più grande. Il piccolo ammalato, prima di uscire, sfiorò con la mano il viso dell’amico che, a testa bassa, cercava di nascondere le lacrime.
Manuel si era seduto sul pavimento e piangeva.
«Ti ricordi le ultime parole che ti ho detto? ‘Che il Diavolo ti porti’…»
Cominciò a ridere istericamente.
«E invece il cornuto è passato da me per un patto. Io ho accettato e, quando volevo stringergli la mano, si è ritratto con disgusto. Faccio schifo pure al Diavolo. Ah, disse pure che un giorno sarebbe passato a riscuotere… forse è arrivato il momento.»
Lasciò cadere la bottiglia e si addormentò sul pavimento.
Passarono due giorni, ma i medici non riuscivano ancora a fare una diagnosi. Manuel firmò per il rilascio del figlio, deciso a provare anche all’estero per una cura.
Una volta a casa, Manuel preparò una cena leggera, mise tutto su un vassoio e lo portò nella camera di Alex. Il figlio era seduto in mezzo al letto con lo sguardo perso nel vuoto.
Manuel cercava di invogliarlo a mangiare.
«Alex, forza, mangiamo qualcosa.»
«Papà, non ho fame… non ce la faccio.»
Manuel rise e abbassò lo sguardo.
«Dai, fai uno sforzo… vuoi che ti imbocchi?»
«Hai ragione… domani non posso permettermi di non avere forze…»
«Perché non puoi permetterti di non avere forze domani?»
«Cosa, papà? Io non ho detto niente.»
«Sì… forse ho capito male. Alex, ti dispiace se stanotte dormo qui con te? Sai, non mi va di dormire da solo… così possiamo anche parlare un po’.»
«Te lo stavo chiedendo io, papà… ti prego… resta.»
Manuel rimase nella camera del ragazzo anche per vedere cosa sarebbe successo durante la notte.
Era quasi l’alba, fingeva di dormire e osservava il figlio che si era svegliato. Alex si alzò e iniziò a vestirsi come se dovesse uscire; chiuse la zip del giubbino e si coprì la testa e il viso con il cappuccio. Portò una sedia davanti all’armadio, ci salì sopra e dall’ultimo scaffale del mobile prese un vecchio plaid arrotolato, pieno di polvere. Lo fece cadere sul suo letto, scese dalla sedia e lo srotolò. Era come se cercasse qualcosa, ma nel plaid non c’era niente. Poi si avvicinò allo specchio, alzò il braccio, lo tese e con la mano indicò la sua immagine riflessa. Manuel era angosciato, piangeva sommessamente e non riusciva a capire che significato avessero quei gesti. Si alzò e si accostò ad Alex, guardò i suoi occhi, ma non li riconobbe. Come poteva un genitore accettare la pazzia del proprio figlio? Vedere un’espressione assente su un viso così giovane era terribile. Intanto, Alex si era rimesso a letto e, finalmente, fu vinto dal sonno. Il padre lo vegliava, ma infine, stremato, anche lui si assopì.
Il sole era già alto sull’orizzonte quando Manuel si svegliò; fu un raggio di sole a destarlo, caldo e leggero, come una carezza che sfiorava il suo viso. Il primo pensiero fu quello di guardare Alex, che dormiva ancora, ma poco dopo si svegliò anche lui.
«Buongiorno, giovanotto, come ti senti oggi?»
Alex si guardò un attimo intorno, poi fissò il padre e rispose.
«Confuso, papà… confuso… è come se avessi dei ricordi e delle sensazioni a metà.»
«Cerca di spiegarmi.»
«Adesso ho nella mente una musica che non ho mai sentito… come un suono di un carillon e non riesco a cacciarlo via.»
«Ma questo succede a tutti; forse l’hai sentita da qualche parte; tu in quel momento eri distratto, ma la musica è passata come messaggio subliminale e adesso ti ritorna alla mente.»
«No, no, non è così, sono sicuro di non averla mai sentita.»
«Prova a canticchiarla.»
«Non ne sono capace, papà.»
Poi guardò la vecchia tastiera.
«Provo a suonarla.»
«Stai imparando a suonare? Perché non lo hai detto?»
«Mi prendi sempre in giro? Forse non ricordi che mentre tu giocavi con le tartarughe ninja io già strimpellavo.»
«Ma che stai dicendo?»
Alex aveva sul viso un sorriso beffardo che non era il suo.
Manuel guardò il figlio alzarsi, raggiungere la tastiera e accennare le prime note: un brivido lo scosse, chiuse gli occhi e ingoiò l’angoscia. Si affrettò a interromperlo.
«Va bene, va bene, basta così… la conosco… è una musica di quasi quarant’anni fa. Non pensarci più… non si può sempre trovare una spiegazione a tutto, Alex.»
«Sì, hai ragione, papà.»
Serie: IL TRENO DELLE ANIME
- Episodio 1: Katia
- Episodio 2: In viaggio verso l’Italia
- Episodio 3: Il Cavaliere senza Croce
- Episodio 4: Rien ne va plus
- Episodio 5: Il padre di Manuel
- Episodio 6: La tempesta
- Episodio 7: L’alfabeto colorato
- Episodio 8: Quattordici anni dopo
- Episodio 9: L’interno 8
L’amore di Alex verso Manuel è commovente, e da lì si capisce quanto questo ragazzo abbia un animo buono, anche se a volte cede ancora a quei pensieri che lo voglio “cattivo”. Sul finale, quello strano comportamento nel bambino mi ha fatto pensare a una specie di episodio di “possessione”, ma buona. Come se ci fosse un latro spirito oltre a quello di Alex.
Grazie per il tuo graditissimo commento, Irene!🙏🙂
Ciao Concetta, ci hai regalato un episodio ricco di mistero e emozioni. Letto fino alla fine con la speranza che non finisse prima che qualche interrogativo trovasse risposta. Bravaaaa 👏
Grazie per il tuo bellissimo commento,Tiziana❤️❤️❤️
Letto d’un fiato. La relazione padre-figlio stringe lo stomaco: Manuel impotente e dolcissimo, Alex come attraversato da un’altra memoria. Bellissimi i segni: l’8 sdraiato, il pescatore-prete, il plaid vuoto, la melodia da carillon che riemerge dalla tastiera. Senti colpa, destino e qualcosa di più grande che bussa: voglio sapere dove porta quella musica.
Grazie per il bellissimo commento, Lino🙏
Ciao Concetta, succedono un po’ di cose in questo episodio e, forse mi sono perso io qualcosa in precedenza, ma non sono riuscito raccapezzarmi. Ad esempio: l’appartamento con l’otto rovesciato, dove Alex era andato a stare coi suoi amici, che sembra tornare poi alla mente di Manuel come se ci avesse già vissuto lui… o nel passaggio con il ricordo dei due bambini… riminiscenze di Manuel? Mentre ho trovato un buon riscontro con il “prete-pescatore” che chiarisce, in qualche modo, come Manuel sia lui stesso il cavaliere. Abbi pazienza e perdonami se qui ho un po’ perso il filo.
L’otto rovesciato diventa il simbolo dell’infinito e della continuità, come sai. Non ti sei perso, Paolo (o forse non ti sei perso niente 😂), e neanche io; semplicemente, ci sono 38 capitoli prima di questo di oggi e gli indizi sono lì. Per quanto riguarda Manuel, è stato il “Cavaliere senza croce” e ha ricordi di una vita precedente, ma, come hai intuito, i due bambini e l’interno 8 appartengono al passato di Manuel in questa vita. Grazie infinite per il commento, Paolo🙂