L’Intruso

Ogni notte, Linda si svegliava in preda al panico. Aveva la sensazione di non essere più sola nella sua casa. Gli odori sembravano diversi, il silenzio era rotto da un respiro appena percettibile che non le apparteneva. Ma ogni volta che si alzava dal letto per controllare, non trovava traccia del suo presunto visitatore.

Anche durante il giorno, aveva sempre paura di uscire. Non voleva rischiare di essere sorpresa dall’uomo che si intrufolava nelle sue notti. Così trascorreva le giornate in solitudine, immersa nella sua fobia e nel timore costante.

Ma decise di affrontare i suoi timori e parlò con il portiere dell’edificio. Chiese se avesse notato qualcosa di strano o se ci fosse stato qualche tentativo di effrazione negli appartamenti circostanti. Ma il portiere le assicurò che tutto era tranquillo e che nessuno si era mai introdotto negli appartamenti.

La donna cominciò a pensare di essere impazzita. Forse aveva solo bisogno di una pausa dalla sua vita isolata e dalla sua ossessione per l’intruso che stava iniziando a considerare immaginario.

Decise così di andare a fare una passeggiata nei dintorni del quartiere, nella speranza di distrarsi un po’. Ma mentre camminava lungo le vie del quartiere, continuava a guardarsi intorno, convinta che qualcuno la seguisse da lontano.

Rientrata a casa esausta ma, finalmente, con la mente più tranquilla, si accorse che il vento aveva aperto la finestra della sua camera da letto. Un brivido di paura le attraversò la schiena, il suo cuore iniziò a battere all’impazzata. Si precipitò alla finestra per chiuderla, ma notò qualcosa di insolito sul davanzale: un portachiavi con un piccolo orsacchiotto attaccato.

Immediatamente chiamò il portiere e gli mostrò l’oggetto. Lui rimase perplesso, ribadendo che nessuno aveva accesso alla sua casa tranne lei. Ma qualcosa la fece, letteralmente, gelare: l’orsacchiotto sul portachiavi era lo stesso che il suo nuovo vicino aveva attaccato alle sue chiavi dell’appartamento.

La donna tornò in casa, terrorizzata. Ora aveva una prova tangibile delle sue paure. Decise di sigillare tutte le finestre e le porte, sperando di tenere lontano l’intruso. Ma ogni notte continuava a svegliarsi con la sensazione che qualcuno la stesse osservando nel buio.

La sua paura cresceva, alimentata dalla sua immaginazione. Iniziò a vedere segni del passaggio dell’intruso ovunque: una tazza spostata di un millimetro sul tavolo della cucina, una sedia che non era esattamente sotto il tavolo dove l’aveva lasciata. La mente tranquillizzava se stessa sostenendo che fossero solo paranoie, ma i suoi sensi rimanevano allertati.

Lasciò uno scritto sul comodino una notte, una richiesta, a suo modo inquietante, scritta con mano tremolante: “Chi sei? Perché vieni qui?” La mattina dopo il foglio era vuoto. Ma sentiva che qualcosa era cambiato. Provava, senza sapere esattamente il perché, un senso di familiarità sconosciuto.

Iniziò a prestare attenzione ai sogni, sperando di trovare qualche indizio su chi potesse essere il misterioso intruso. Sognava ombre che si muovevano lungo le pareti dell’appartamento, figure indistinte che sussurravano parole incomprensibili, ai margini della sua percezione. Sognava risate sommesse, passi lievi su tappeti spessi e il suono di un respiro ritmico e calmo vicino al suo orecchio.

Alla fine decise di trovare il coraggio e affrontare la paura. Pianificò di rimanere sveglia tutta la notte, seduta su una sedia nella penombra del salotto, armata solo della scopa e la determinazione di scoprire la verità.

La notte arrivò. Il ticchettio dell’orologio sul muro le ricordava l’avanzare delle ore. Le ombre sembravano danzare sulle pareti mentre la luce della luna entrava attraverso le finestre. Eppure, a parte il senso di paura che le scendeva lungo la schiena, non vide né sentì nulla fuori dall’ordinario.

Ma quando il primo barlume dell’alba iniziò a filtrare attraverso le tende, si girò di scatto per vedere un uomo in piedi nel corridoio. Vestiva un abito scuro e aveva gli occhi tristi ma gentili. Non sembrava pericoloso, ma era come se fosse perso.

“Chi sei?” chiese con voce tremante.

Con un movimento rapido, lui alzò la mano e la portò delicatamente verso il viso di lei. Il suo sguardo era intenso e penetrante, quasi magnetico. “Non ti farò del male”, bisbigliò con voce sinistra e minacciosa che contrastava fortemente con l’apparente calma del tono della voce. La donna si irrigidì istintivamente. Voleva fuggire. “Ma perché sei qui?”, balbettò terrorizzata.

Linda era paralizzata dalla paura mentre l’uomo continuava a fissarla con i suoi occhi scuri e profondi. Non riusciva a capire se fosse solo la sua paranoia o se ci fosse effettivamente qualcosa di sinistro in lui.

“Che vuoi da me?”, chiese Linda, cercando di nascondere il tremore nella sua voce.

L’uomo sorrise, ma il suo sorriso non raggiunse gli occhi. “Volevo solo controllare che stessi bene,” rispose calmo. “Ti ho vista sempre da sola, pensavo potessi aver bisogno di aiuto.”

Linda si sentì ancora più spaventata davanti alla risposta. Come poteva sapere che lei era sempre sola? E perché avrebbe avuto bisogno del suo aiuto?

“Lasciami in pace,” disse Linda con fermezza, cercando di non farsi intimidire dall’uomo.

Ma invece di andarsene come lei aveva sperato, l’uomo si avvicinò ancora di più. La sua presenza la faceva sentire sempre più piccola e vulnerabile.

Le sue parole erano pacate, ma la tensione nell’aria era palpabile. Il suo sguardo scuro non la lasciava, i suoi occhi affondavano nei suoi fino a raggiungere l’anima nascosta dietro le sue paure. Le sue spalle si curvarono sotto il peso di quello sguardo e sentì una stretta al cuore.

“Non ho intenzione di farti del male, Linda,” disse lui, con un sussurro. Lei si ritrasse istintivamente, cercando di mettere distanza tra lei e l’uomo misterioso. Tuttavia, sembrava che ogni passo indietro che faceva servisse solo a farlo avvicinare di più.

“Sai il mio nome,” balbettò Linda, sentendo una goccia di sudore scivolare lungo la sua tempia. La pelle le formicolava.

“Sì, Linda,” rispose lui con voce sommessa. “E non solo il tuo nome.”

Il cuore di Linda pulsava forte nelle orecchie mentre guardava l’uomo intensamente. Eppure non riusciva a distogliere lo sguardo dai suoi occhi scuri. In qualche modo sapeva che non stava mentendo.

Raccolse tutto il coraggio rimasto e riuscì a tirare fuori delle parole con la sua voce tremante. “Che cosa…che cosa vuoi?”, chiese. L’uomo sospirò pesantemente. “Voglio dirti la verità, Linda,” rispose lui. “La verità che ti meriti di conoscere.” Gli occhi dell’uomo si addolcirono, ma Linda non poteva fare a meno di sentire quel brivido associato alla paura.

“Che verità?”, chiese lei con voce incerta, cercando di capire cosa potesse mai volerle dire quell’uomo che sembrava conoscerla meglio di chiunque altro.

L’uomo respirò profondamente, come se si stesse preparando a tuffarsi in un abisso. “Sei più forte di quanto tu creda,” disse con fermezza. “Non sei sola in questo mondo. E io…io voglio aiutarti.”

Linda rimase senza parole, guardando l’uomo con occhi sgranati. Non riusciva a crederci. Quest’uomo che aveva sempre considerato un intruso, un estraneo…stava offrendole un aiuto?

Poi ritornò con la mente sulle parole da lui pronunciate. Le aveva già sentite da qualche parte, ma non riusciva a ricordare quando e dove. Non era sufficientemente lucida.

Linda si guardò intorno, cercando di raccogliere i suoi pensieri. L’uomo continuava a guardarla con intensità, come se potesse leggere in profondità la sua anima. Ma chi era? E perché stava provando una strana sensazione di fiducia nei suoi confronti nonostante il suo aspetto che le incuteva timore?

“Chi sei tu?” chiese, nuovamente, Linda. La sua voce sempre più tremante.

L’uomo sorrise gentilmente. “Il mio nome è Robert,” rispose lui.

Robert…il nome le suonava familiare, ma non riusciva ancora a ricordare dove l’avesse sentito.

“Ero solo un fanciullo. Non ricordi quante volte hai illuso il mio piccolo cuore di ragazzino? Quante volte tu e le tue amiche mi avete preso in giro per il mio aspetto fisico più che insignificante?” Diventò incalzante. “E le volte in cui ti sono stato vicino, tra un pianto e l’altro?” Poi tirò fuori il portachiavi con l’orsacchiotto. “Me lo regalasti tu. Facendomi credere che sarebbe stato il nostro piccolo e segreto simbolo di un legame. Ma tu stavi giocando, solo un gioco era per te. E per le tue amiche” Ora Linda ricordava. “E sono stato anche da loro” aggiunse l’uomo, questa volta con un piccolo sorriso di soddisfazione. Dopo tanti anni, nel cuore della notte, nella sua casa, un passato tradito e dimenticato era tornato, tra il buio e le ombre, a chiedere conto.

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Discussioni

  1. Un racconto che mi ha fatto venire i brividi. Ho pensato a tutto, naturalmente, fuorché al suo vero significato che sei riuscito a celare fino al colpo di scena o al senso di colpa. Che sembra un gioco di parole, ma non lo è. Molto piaciuto.

    1. I finali aperti, come in questo caso, lasciano spazio al lettore. In questo modo è la fantasia di chi legge che va oltre il limite del racconto breve. In più, quando si tratta di racconti un po’ thriller, lo stesso finale aperto consente di non trovare quella risposta definitiva. E, di conseguenza, il racconto medesimo diventa ancora più “thriller”. Poi non sempre si riesce ad ottenere tale risultato.

  2. “Oh, brush back your hair,
    and let me get to know your flesh…”
    Bellissimo racconto il tuo, che mi ha ricordato una delle canzoni più belle che la mitica band inglese degli anni ’70 (quella con Peter Gabriel) scrisse nel suo periodo migliore. Mi permetto di aggiungere il link al testo. Nulla a che vedere con la trama, per carità. È stata solo un’ispirazione, che mi ha portato a questo collegamento ed a suggerire questa canzone come colonna sonora finale.
    Davvero ben scritto, mi è piaciuto tanto.

    1. Ho ascoltato il brano dei Genesis e ho provato a immaginare uno sceneggiato (di quelli anni 70, in bianco e nero, sul filone giallo-mistero). Sicuramente una sigla di grande effetto. Non conoscevo il brano (pur avendo avuto il vinile in questione, colpevolmente mai ascoltato). Mi fa piacere (e significa che l’effetto “giallo” può essere, in qualche modo, riuscito) che lo scritto ti abbia portato a un collegamento con un brano prog.

  3. Un racconto che scorre bene, con una tensione crescente, lasciando intuire il peggio. Il finale aperto, non del tutto scontato, non mi dispiace affatto. Preferisco tenermi il dubbio di un’ improbabile rinuncia all’ estrema vendetta.

    1. Non è detto che la rinuncia all’estremo sia improbabile. La “vendetta” può essersi consumata anche solo spaventando Linda (e le amiche). Magari non è estrema…ma sempre di vendetta si tratta, soprattutto se avviene nel sonno, quando si è più vulnerabili.

    1. Giallo, thriller psicologico e horror sono tre elementi che, se si fondono, possono alzare l’asticella della tensione a livelli oltre soglia. Quelli della serie “ti faccio sudare le sette camicie mentre leggi”. Non so se sia accaduto in questo caso, ma il fatto che tu abbia intravisto, nel racconto (anche solo a sprazzi), queste tre caratteristiche, mi fa piacere. Tra l’altro (almeno per me), non è facile scrivere un racconto di mistero, giallo o thriller…considerando che mi trovo più a mio agio con la distopia e quel che ne deriva.