
L’inverno di Dio
Serie: Il buco nero
- Episodio 1: La scomparsa
- Episodio 2: L’uccellino del cucù
- Episodio 3: La partenza
- Episodio 4: L’inverno di Dio
- Episodio 5: Gli echi nella tempesta
- Episodio 6: L’incontro perduto
- Episodio 7: Voci dal vuoto
- Episodio 8: La bambola morta
- Episodio 9: L’uomo dal cappotto grigio
- Episodio 10: Adele e Guglielmo
STAGIONE 1
Tutto taceva, come in un giorno qualsiasi della sua vita, o di quelli di festa trascorsi insieme, dove non accadeva niente, nessuno ci cercava, ci invitava fuori, a cena o a passeggio, portandomi a pensare che le sue abitudini innate mi stessero contagiando in modo irreversibile. Persino il mio telefono, in alcuni periodi, taceva quanto il suo. Se non ero io a propormi, a organizzare e a farmi vivo, sarebbe taciuto per mesi, nonostante avessi creduto di essere io a contaminare con la varietà di iniziative e di interessi il grigiore solitario della sua esistenza, mentre cominciava ad accadere la cosa inversa, mi dicevo, cominciando a salire di corsa le sue scale semibuie, e controllando di continuo la tasca del cappotto dove avevo riposto il suo telefono spento. Non avevo altra scelta che affrontare la realtà delle cose e giocare a carte scoperte con la sua famiglia. Nello stesso tempo dubitavo che Elvira, trovandosi al mio posto, avrebbe dichiarato con la massima trasparenza le dinamiche di una mia sparizione, ma al momento era inutile congetturare sull’unica persona assente, che non avrebbe avuto diritto di parola o di perdono, se la sua scomparsa fosse stata frutto di un suo disegno, come temevo.
La porta della loro casa era socchiusa. Dall’interno, intravidi una lucina da sagrestia irradiarsi dalla feritoia e stracciare una parte di tenebra del pianerottolo, compresa la mia sagoma minacciosa. Avevo l’affanno. Rallentai, accorgendomi di un’ombra instabile, rapida, che andò a dilatarsi e poi a infrangersi sulla parete dell’ingresso, quando la porta si aprì del tutto e mi comparve Arianna, la sorella. Aveva il viso strano, assonnato, ma alquanto contenta di rivedermi, così mi sembrò.
«Hai fatto giusto in tempo, Ottavio. Meno male. Temevo che non riuscissi a raggiungerci» mi fece, quando dai finestroni si avvertivano le sferzate di vento sempre più fitte e incalzanti. Era cominciata la tempesta di neve, ormai. Entrato in casa me l’abbracciai, come per cercare un riparo nella sua minutezza e qualcosa di caro e di Elvira, seppure d’ accatto – forse il terrore delle sue ossa al mio arrivo, il profumo della neve, una matita infilata nei capelli. Poi abbassò gli occhi. La trovai serena, nonostante la trama illusoria del mio affetto. Non mi domandò di Elvira. Come se tutto fosse normale. Sapeva di mandarini, me ne accorsi durante l’abbraccio, quando posai il mio naso sul suo cardigan, all’altezza della spalla, domandandole in sottovoce dei suoi genitori. «Stanno riposando» mi disse. «Vieni in cucina che ti preparo qualcosa.» E così ci rifugiammo lì.
Mi preparò una cioccolata. La guardavo di spalle, armeggiare come una bambina tra le sue cose stregate. Mi disse che la sera, dopo le sei, mancava spesso la luce e che suo padre aveva procurato alcune confezioni di candele. «Con la tempesta di neve il guasto potrebbe prolungarsi. Di solito dura un paio di ore. Ma stasera sarà diverso. Hanno detto alla radio che la perturbazione durerà più a lungo rispetto alle altre volte e risentirà di un comportamento atmosferico anomalo, è questo il termine utilizzato.»
Le chiesi, a quel punto, se potevo pernottare da loro, nel caso le strade fossero state impraticabili. «Certo che puoi, Ottavio. Non devi nemmeno chiederlo, lo sai.»
Intanto lei organizzava con calma le tazze, lo zucchero, i cucchiaini, senza mai girarsi nella mia direzione. Quando mi alzai e mi disposi accanto alla finestra, si avvicinò improvvisamente a me.
«Non lo faceva da tanto, così. Prima o poi doveva arrivare» mi disse. Rimasi in silenzio, a guardare la neve densa del pomeriggio che imbiancava lentamente le strade, le case, i lampioni, restando accanto a lei, pensando a sua sorella, a dove potesse essere finita e se nel luogo in cui si trovasse avesse modo di ripararsi, di prendere calore, gridare aiuto. Non ricordavo quale cappotto indossasse, poco prima di svanire. Se avesse portato con sé il cappello, i guanti, la sua sciarpa rosa.
Io e Arianna ci sedemmo e ci guardammo negli occhi, attraverso il fumo triste delle tazze, come succedeva con Elvira. Ogni tanto uno sguardo rapido alla tempesta.
«A me piace tantissimo quando fa così. La pioggia mi dà un effetto simile» mi disse «ma una tempesta di neve va ancora più in fondo. Più tardi ci spostiamo di là, nel tinello. Abbiamo acceso il camino. Era da ieri che mio padre parlava dell’arrivo della tempesta. Mia madre insisteva sulla luce, sul fatto che era andata via per più sere, quasi sempre alla stessa ora, e che con la tempesta, secondo lei, poteva mancare per molte ore. Mio padre è sceso a comprare nuove candele solo per mamma, altrimenti ne avrebbe fatto a meno. L’idea della tempesta e delle case al buio le mette paura. Le ricorda il terremoto di novembre, quando mancò la luce. Le case crollavano ed esplodevano le bombole a gas. È stato molto tempo fa, ma per lei è come se fosse successo soltanto ieri.»
Per districarmi dall’angoscia, mi complimentai con Arianna per la bontà della sua cioccolata.
«Con questo tempo era l’ideale. È così buona che aiuta a pensare» le feci, quando lei aggiunse:
«I pensieri migliori arrivano in pomeriggi come questo. Quando guardo fuori e vedo un solo colore, con l’impossibilità di poterlo trasformare, mi accorgo che è sempre lo sfondo di uno stesso inverno ad avere l’ultima parola sulle nostre vite. L’inverno di Dio, dice papà. Il resto, intendo il resto che ci riguarda, diventa solo un’illusione» mi disse, senza guardarmi.
«Se ricordassi tutti i momenti attraverso i pensieri, ne rimarrei sepolto. Ma a Dio, a essere sincero, non ci penso mai, né col buono né col cattivo tempo. È troppo grande per entrare in un pensiero.»
«Ha un nome breve, di sole tre lettere. Come è possibile che non riesce ad entrare in un tuo pensiero?»
«Non lo so, non me lo sono mai chiesto.»
«Non sei rimasto così tanto da solo, quanto noi, e quindi il rapporto con il pensiero di Dio cambia. Quando parli con qualcuno non hai modo di pensare, ma solo di sopravvivere all’esperienza di Dio e dell’inverno, che alla fine è la sua voce. Il pensiero rimane sotto, in secondo piano, senza profondità di campo. Noi quattro parliamo poco, persino a tavola, giusto il minimo. Dedichiamo molta attenzione, invece, ad augurarci la buonanotte, come se ogni notte fosse l’ultima. Ma i nostri pensieri più profondi e solitari sono nitidi, come le giornate di aprile. Si posano nel vuoto come rondini, accanto al bicchiere di latte, a una forchetta sporca, al cestino del pane. Spesso sono terrificanti. Non solo i miei, ma anche i pensieri di mia madre e di mio padre. Lo stesso i pensieri di Elvira, prima che ti incontrasse.»
«Come fai a dire dei loro pensieri, intendo dei pensieri dei tuoi e dei pensieri di Elvira, se mi hai detto che vi parlate poco?»
«È vero. Non ci parliamo quasi mai. Nemmeno dei nostri pensieri, che quando sono terrificanti rimangono dentro, come pezzi di vetro – è un pensiero di Elvira questo. Gliel’ho appena rubato – ma ciascuno di noi riesce sempre a captare i pensieri dell’altro. Elvira è più telepatica di me. La notte mi legge nei sogni. A me non è mai successo di leggere nei suoi, nemmeno di sognare un sogno che lei abbia già fatto. Qualcuno dice che i gemelli provino situazioni simili, ma io e lei non siamo gemelle.»
«Quindi Elvira te ne parla?»
«Dei sogni sì, ma non dei pensieri. Quando invece ti ha conosciuto ed è tornata tardi, io ho avvertito quanto fossero cambiati nel profondo i suoi, di pensieri. A bassa voce di te mi ha descritto la bocca, il naso, gli occhi e i capelli straordinari di un corsaro. Eri il corsaro nero, come mi suggeriva col pensiero. Ti ha descritto come farebbe una scolara, che compitava col capo obliquo, per non fare ombra sul foglio di quaderno.»
«Sapresti dirmi a cosa sto pensando, adesso? Lo tengo fermo il pensiero. Cerca di prenderlo, che non lo sposto. Ci riesci?»
Arianna mi fissò con un’aria contrariata, poco prima di alzarsi e spostarsi accanto alla finestra.
La vidi spenta, a disagio, come se l’avessi ferita, o dileggiata con la sfida della telepatia, quando non era mia intenzione. Mi alzai. Osservandola di spalle, e da più vicino, mi accorsi di quanto la sua nuca somigliasse a quella di Elvira. Avrei voluto sfilare da solo il suo pensiero partendo proprio da quel punto lì, il più minuto e silenzioso, quasi immateriale.
«Se ti dicessi a cosa stai pensando, invece? Posso provarci? Non ti dispiace, vero?» le dissi, avvicinandomi con lentezza alla sua figura riflessa tra i vetri appannati e i turbini di neve. Non mi rispose, ma ero convinto che stesse pensando a sua sorella. Mi avvicinai alla sua spalla, poi al suo orecchio sinistro.
«La nuca bianca di Elvira… è a lei che stai pensando, vero?»
Arianna non si scompose al mio contatto, nemmeno al nome flebile della sorella. Mi disse che quando c’erano le tempeste di neve i suoi genitori rimanevano quasi l’intero giorno a letto, per alzarsi solo a tarda sera, col buio.
Era meglio attenderli, pensai. E così feci.
Serie: Il buco nero
- Episodio 1: La scomparsa
- Episodio 2: L’uccellino del cucù
- Episodio 3: La partenza
- Episodio 4: L’inverno di Dio
- Episodio 5: Gli echi nella tempesta
- Episodio 6: L’incontro perduto
- Episodio 7: Voci dal vuoto
- Episodio 8: La bambola morta
- Episodio 9: L’uomo dal cappotto grigio
- Episodio 10: Adele e Guglielmo
Ciao Luigi. Proseguo questo tuo ottimo racconto tenendo un regime di lettura misurato, perché ogni frase apre veramente un mondo. Labirinto è la parola giusta, un racconto frattale, in cui anche le sue componenti semantiche sono a loro volta labirintiche. Bellissimo👏🏻
Mi emoziona molto sentirti così dentro la natura del tessuto, la tendenza a saggiarlo e a esplorarlo per strati, senza fermarti all’apparenza delle superfici. La tua è una dinamica creativa profonda, quindi ugualmente labirintica, che consente alle tue percezioni, attraverso la matrice della narrazione, di creare nuove porte, respiri e affluenti simultanei, che potrebbero trovare strade inattese. E aggiungo che ciò che avviene attraverso la tua modalità esperienziale di lettura, cambierà inesorabilmente tutte le dinamiche e le dimensioni che interessano la storia, come un fattore costante e progressivo di correzione Ancora grazie per la qualità del tuo ascolto sensibile e propulsivo, quindi.
Di questo episodio ho particolarmente amato l’atmosfera onirica, sospesa, quasi in bilico. Un uomo e una donna, nella stessa stanza, non si guardano, non si ascoltano e nemmeno si rispondono. Ciascuno con il suo volo, il suo pensiero. Il tentativo di afferrare il pensiero altrui naufraga nel momento stesso in cui non si riesce a trattenere il proprio. Nella stanza aleggiano i sogni e le visioni, come concreti spiriti. È davvero molto particolare la tua scrittura, attraente, ci si sofferma e si impara.
Ti ringrazio davvero tanto per la tua dedizione e la tua estrema gentilezza nei confronti di questi miei studi narrativi, dove sto tentando di istradare una mia ricerca sulle regioni dell’assenza e dell’intimità, dove i personaggi si sfiorano e si interfacciano lungo il baratro di uno stesso mistero. Il tuo commento sembra davvero un’estensione naturale delle atmosfere che hai percepito e che hai subito evocate, come un ricamo di un centrotavola, lo spillo in una camicetta, la piega di una tenda scucita, dietro i vetri della cucina. È solo per dirti che hai colto l’essenza e l’invisibilità di questo mio tratto ombreggiato, dove ciascuna pulsazione si fa controluce e risonanza di una conversione verso un livello trasversale di realtà, dove la fiamma della vita è ancora al suo limite, quell’istante prima di spegnersi e di rivelarsi. Ancora grazie per questo dono di attenzione e di sensibilità, che mi emoziona e che mi insegna.
Ci sarà del torbido? Del paranormale? La curiosità sale!
Ciao, Giuseppe e grazie della tua visita. Mi sa entrambi. Mi piacerebbe se riuscissero a convivere nello stesso mistero. Li avverto degli elementi intriganti e potenzialmente seduttivi, anche se per ragioni diverse. Ci ragionerò con la dovuta attenzione. Una buona serata.
È interessante, nonché appagante, il modo con il titolo del capitolo trova la sua spiegazione durante la lettura. Anche qui, la spiegazione che ne viene data è molto suggestiva.
Il confronto tra i due personaggi è sviluppato bene e non svela molto sulla trama, com’è giusto che sia. L’elemento della telepatia è intrigante: sono curioso di capire come lo userai.
Su questo titolo ho ragionato molto. Ho valutato delle alternative, ma era importante che si coniugasse con il fattore nucleico dell’episodio, quanto meno con la fase del dialogo più feconda. Per cui a ogni stesura corrispondeva un titolo più o meno appropriato. Alla fine ho optato per “L’inverno di Dio” che è anche rappresentativo di questa progressiva ibernazione dei sentimenti e delle situazioni – atmosferiche e interiori – che si avvicendano nel labirinto del progetto. Sono davvero contento che tu lo abbia trovato appagante e ti ringrazio del tempo che hai dedicato a questa fase ancora delicatissima della serie.
Quindi quel qualcosa di strano potrebbe spiegarsi con la telepatia, magari è per questo che Arianna non chiede della sorella. La storia è interessante.
Sì, il piano della telepatia potrebbe essere un elemento diffuso a tutto il tessuto. Devo capire come svilupparlo. Di certo Arianna è stata piuttosto esplicita sul tipo di comunicazione che intesse con i suoi familiari silenziosi. È stranissimo che non abbia chiesto ancora della sorella. Mi piacerebbe non sciogliere subito questo enigma, e protrarlo quanto più possibile. Grazie del bel commento, su cui rifletterò ancora.