
L’invito domenicale
Serie: Anatomia sepolcrale di un sogno
- Episodio 1: L’arrivo e le altezze
- Episodio 2: Il coltello e i ricordi
- Episodio 3: Nel cuore della notte
- Episodio 4: Ombre rosse
- Episodio 5: Le parole nel buio
- Episodio 6: Il temporale
- Episodio 7: La visione
- Episodio 8: La rivista di poesia ermetica
- Episodio 9: La finestra dell’albergo
- Episodio 10: Il solletico dell’assassino
- Episodio 1: La prima accoglienza
- Episodio 2: Ingresso in camera
- Episodio 3: Prima di cena
- Episodio 4: Inizio della cena
- Episodio 5: L’arrivo a Praga
- Episodio 6: Vita con Edo
- Episodio 7: Delle carte utili e inutili
- Episodio 8: Col respiro spezzato
- Episodio 9: Primi mutamenti
- Episodio 10: Incontro con il direttore
- Episodio 1: L’invito domenicale
- Episodio 2: La sentenza
- Episodio 3: Riverberi dal pranzo
- Episodio 4: Il sonno di Edo e la telefonata
- Episodio 5: Dalla parte di Gustav
STAGIONE 1
STAGIONE 2
STAGIONE 3
«Ero imbarazzato, non sapevo come iniziare. Sarebbe stato ingiusto che io gli impedissi di visionare il mio materiale, ma al momento non mi sentivo pronto a lasciarlo nelle sue mani. Facendomi forza e con un filo di voce, incoraggiato dal suo viso paterno che attendeva una mia risposta, gli dissi: «Direttore, mi creda, non è per mancanza di fiducia nei suoi confronti né di disinteresse per la sua rivista, ma i miei appunti dovranno restare con me, mi dispiace. Sono come la mia aria.»
Il direttore mi ascoltò con attenzione. Poi, allungando le mani sulle mie braccia, mi fece: «Lei è un vero poeta ragazzo, e allora è giusto che rimanga un poeta puro, senza compromessi e condizionamenti. Sarà come lei vorrà . Ci risentiremo, ma non so dirle quando. La prossima settimana sarà lunga e impegnativa, non credo di poter trovare uno spazio per accoglierla. Semmai ancora la successiva. Vorrà dire che nel numero del prossimo mese non ci sarà più tempo di inserirla, nemmeno qualche suo frammento o appunto, come le piace definire le sue prove. Per cui, adesso, su due piedi, non saprei come venirle incontro, capisce?»
«Edo, allora, si fece forza e chiese al direttore se i miei scritti lo avevano colpito, vedendolo piuttosto concentrato.»
«Probabilmente sì, altrimenti non starei qui a parlarne. Avrei da subito esternato il mio disinteresse e la seduta sarebbe già sciolta. Ma devo aggiungere, per una questione di onestà , che la mia lettura richiede tempo, al fine di consentirmi una visione accurata, mio caro Edo, che certo non può avvenire qui, nel bar di una stazione ferroviaria. Ci trasferiremo a casa mia. Il ragazzo attenderà nell’anticamera. Io accenderò il lume azzurro sul mio tavolo e declamerò uno per uno i suoi versi, per valutarne l’effetto a distanza, il loro sapore, come la loro forza e intensità drammatica e sonora. Se riconoscerò gli stessi impulsi che ho saggiato stamane, intendo quel certo gusto o lieve iridescenza e inquietudine, allora sarà un buon segnale di conferma. Ma adesso, signori, devo proprio andare. Ci sentiamo tra qualche giorno. Spero entro domenica, quando avrò più chiaro il quadro degli impegni delle prossime settimane. Vi chiamerò io» disse il direttore. Poi si alzò e sparì in un baleno, portandosi dietro la mia cartellina. Non avevo parole, amici. Sembrava una beffa, una congiura. La sua trovata violenta, fuori dal comune, mi spiazzò. Non ebbi nemmeno la forza di gridare o di corrergli dietro per recuperare i miei scritti, quando Edo, balzando dalla sedia, esultò: «L’ho sempre detto che il direttore è un genio! Lo è nella sua essenza più profonda, ragazzo. E ce lo ha dimostrato, come vedi!» tirandomi per un braccio e facendomi alzare insieme a lui. Lo seguivo come un figlioccio ebete, un fratello minore, o forse il nipote della sua sorella maggiore, frastornato, ma convinto, di quanto fosse speciale la persona del direttore della rivista di poesia fantomatica, e non più ermetica. Geniale e poeta, senza buttare giù una sola riga. Bella la vita, mi dicevo, ringhiando e desiderando di essere un giorno come lui…»
«E poi?» disse l’avvocato.
«Oh, quante cose che sono successe. Sarebbe meraviglioso dirle tutte, ma sono costretto a operare una sintesi.»
«Ti prego, Stanislao, tutto il tempo che desideri. Che cosa è successo alle tue poesiole? Le hai più recuperate?» gli chiese Gustav, con una grande foga di sapere e la bocca piena di alici.
«Dunque, da quel giorno io ed Edo non parlavamo di altro. Eravamo quasi sempre in cucina, svegli fino a tardi, seduti a tavola, davanti ai piatti sporchi a parlare di poesia e di riviste e di libri, sillogi e recensori. A me pesavano molto quei colloqui monotematici. Volevo solo scrivere una poesiola sul campanello della ferrovia, intanto, ma non mi veniva, forse perché ci pensavo troppo e di conseguenza il suo tintinnio mi aveva abbandonato. Una sera, sul tardi, Edo recuperò della carta da pacchi, tracciandovi sopra dei segni, senza dirmi cosa stesse scrivendo – nemmeno io glielo chiesi, per una questione di discrezione. Quando suonarono al telefono, lui si fiondò a rispondere lasciando il foglio davanti al suo posto vuoto, dove mi accorsi che più che segni astratti, come credevo, i suoi erano dei versi in piena regola. Quando chiuse la porta, pensai a una telefonata segreta. Dopo qualche secondo sentii la sua porta riaprirsi: piombò di nuovo in cucina, con un altro viso, un’altra voce, altri occhi: «Domani, domenica, siamo invitati a pranzo dal direttore! Non è fantastico? Una cosa mai successa, a quanto mi risulta con nessuno dei collaboratori e poeti della sua rivista, che non hanno mai avuto accesso alla sua abitazione, compreso me. E poi, non ho finito, tieniti forte: il direttore mi ha anticipato che i tuoi versi sono pura dinamite, credimi, e non esagero. Non buoni, interessanti o pubblicabili, come qualche volta ha detto a me e a diversi altri collaboratori di un livello normale o medio, o medio-alto, ma dinamite significa che lo hai steso, Stain! Che cosa fai? Perché questa faccia? Non ti sembra vero? Ti capisco. Posso garantirti che nei tuoi panni avrei reagito allo stesso modo. Sono emozioni forti, che non ti danno il tempo di realizzare, riflettere o difenderti. Le ho già provate e posso prevedere l’effetto che faranno alla tua particolare sensibilità . Ma mi raccomando, massima eleganza, discrezione e umiltà . Non vorrei che il direttore possa pentirsi della sua decisione, per qualche aspetto umano più o meno vacillante della tua persona possa emergere e contrastare con la straordinarietà della tua arte poetica. Ha parlato proprio in questi termini dei tuoi versi, oltre che definirli dinamite pura, capisci? Non sei felice? Allora? Dimmi qualcosa, Stanislao. Anche una sola parola, un pensiero su cosa rappresenti per te questo evento: le tue emozioni, sensazioni, considerazioni» mi disse Edo, continuando a profondere nel buio della cucina il suo entusiasmo per la telefonata del direttore e per il suo invito a pranzo domenicale, senza lasciarmi parlare, nonostante mi invitasse a farlo con la sua invadenza, sfigurata di pazzia.»
Serie: Anatomia sepolcrale di un sogno
- Episodio 1: La prima accoglienza
- Episodio 2: Ingresso in camera
- Episodio 3: Prima di cena
- Episodio 4: Inizio della cena
- Episodio 5: L’arrivo a Praga
- Episodio 6: Vita con Edo
- Episodio 7: Delle carte utili e inutili
- Episodio 8: Col respiro spezzato
- Episodio 9: Primi mutamenti
- Episodio 10: Incontro con il direttore
Caro Luigi. Sai che ogni volta c’è qualcosa che mi spiazza, credo non sia mai successo il contrario. In ogni singolo episodio! E, naturalmente, mi piace condividerlo perché poi, dalle tue risposte ho sempre un riscontro interessante e illuminante.
Ciò che qui mi spiazza è il ‘rumore’ che ho sentito, o meglio il frastuono. Mi spiego. In questo episodio c’è un continuo vociare, ma su livelli diversi.
Quello di Edo è un vero e proprio vociare che diventa quasi assordante, sicuramente fastidioso. Inoltre, cosa che meno ho tollerato, è che, la sua voce è accompagnata da gesti, sopra tutti lo strattonare continuamente il povero ragazzo.
Quello del Direttore è un parlare pacato, dopo essersi messo in ascolto dei versi e averli fatti propri. Non so bene dove questo suo parlare porterà , ma il mio istinto mi dice a niente di buono. Tuttavia, la sua è una voce piacevole e che infonde sicurezza.
Il Poeta ragazzo, invece, non ha voce. Lui non parla, ma ‘sente’ dentro e teme per la sua perdita. Se ci mettiamo bene in ascolto, questo suo sentire lo possiamo fare nostro.
Questa volta più che mai aspetto la prossima narrazione. Come sempre, bravissimo.
Ciao, Cristiana. È molto interessante, quanto invitante, questa tua analisi della polifonia dell’episodio, che è la stessa che mi attraversa durante la formazione delle situazioni, quando i personaggi più che segni sono frutto di suoni, di sussurri, a volte dell’alternanza di grida e di bisbiglii. Il tono e la timbrica della cena in camera d’albergo, si sdoppia e in parte si deflagra nella dimensione più aperta e ricca di interferenze del bar della stazione, dove alla configurazione oggettiva del fatto semplice, elementare, legato alla scorsa sbrigativa degli appunti sparsi di un giovane poeta, si alternano le sue risonanze più intime, il rapporto con i ricordi, con i dolori del passato, dal passaggio in ombra di Margot alla maschera di cera di una madre dal ghigno agghiacciante. Nei ricordi del poeta la madre ha sempre un viso, un grido, un suono metallico. La sua compagna scomparsa è sempre un po’ in filigrana, un tocco leggero di matita su di un foglio bianco nell’ora di ornato, ma è sempre senza voce, senza aria, senza un filo di trucco o di rimorso.
Lo spiazzamento che avverti è lo stesso che mi risuona di continuo, sia nelle voci che si interrogano, e ogni tanto si incantano e si confondono, prima di eclissarsi per qualche istante, che nelle funzioni simboliche delle varie figure in gioco, che concertano un mistero ancora più grande e più profondo dei resoconti poetici di Stain, ma che solo grazie a lui avrà modo di dipanarsi e di mettere poi a tacere, quanto meno a sedare, il groviglio di stimoli e di impulsi di questa singolare commedia dell’assurdo.
Senza anticiparti troppo, posso dirti che vi sarà una zona del progetto dove i suoni, i rumori che hai percepito, diventeranno lo sfondo, quasi un personaggio parallelo, accompagnando lo sviluppo simultaneo degli avvenimenti in corso, che tra qualche episodio vivranno un cambio brusco di punto di vista narrante, quindi di rotta, di sonorità e di traiettoria.
Un grazie per le tue stimolanti riflessioni. A presto e buona scrittura.
Come già detto da Arianna, l’immagine del lume azzurro ha colpito molto anche me. Hai reso benissimo quel tipo di rituale che rende l’atto del leggere, per chi lo ama davvero, una cosa quasi “sacra”.
Forse proprio per questo il “furto” inaspettato dei pezzi mi ha spiazzata, ho molto faticato ha trovato del genio, come Edo lo definisce, in quel gesto.
Sul finale invece mi ha messa in allarme, di nuovo, il nervosismo e l’insistenza di Edo nei confronti di Stain. Era già emerso nel capitolo precedente, come se a tutti gli effetti Edo ormai abbia instaurato un rapporto paragonabile appunto a quello tra genitore e figlio. È come se Stain stesse diventando l’occasione per colmare un vuoto che Edo sente e sentiva già prima, al punto di non cogliere piu i confini che li separano. Ma forse è solo una mia sensazione.
Ciao, Dea. I commenti agli episodi aprono sempre nuovi fronti, traiettorie diverse, imprevedibili, che fa sempre bene riattraversare a una certa distanza dalla stesura e con una diversa consapevolezza. Come nel caso del passaggio del lume azzurro, che ho riletto più volte, per comprendere dove fosse l’elemento che evocasse queste suggestioni e risonanze così singolari. Eppure è una disposizione elementare, senza troppi ornamenti, forzature. Ho pensato anche al tempo futuro dell’accensione, come erogatore di una soglia di impossibilità o di irrealtà del momento che si descrive come immanente, pulsante in una dimensione non ancora tangibile o certificabile. Credo che da questo piccolo spunto, si delinei tutto il comportamento della serie, con i suoi versanti: il costante grado ipotetico che si frappone tra le intenzioni, le situazioni, le configurazioni introspettive dei personaggi in gioco, che sono sempre filtrati da un grado di possibile irrealtà , dalla presenza seduttiva di un fattore sovversivo di correzione che potrebbe spostarli dalla loro postazione verso territori ancora più ignoti e impenetrabili degli attuali. È proprio quello che tu hai colto in Edo e in Stain, nell’evoluzione del loro rapporto, che vive una progressione sempre più complessa, ossessiva, tortuosa, da entrambe le prospettive, e che interesserà simultaneamente tutte le arcate dimensionali del racconto, in più livelli di tempo, di intensità e di realtà , prima di convergere in un “unicum”, fonte erogatrice e sovvertitrice del tutto, da cui ogni equilibrio-squilibrio, avrà vissuto la sua genesi, il travaglio invisibile del suo mistero. Ancora un grazie per la tua preziosa attenzione.
P.S.
Condivido con te che il gesto sconsiderato del direttore della rivista non abbia proprio nulla di geniale. È solo banale, frutto di un rapporto con la poesia fatto di dominio, sopraffazione, esercizio disfunzionale di piccole astuzie, sotterfugi e ingiustizie.
“Io accenderò il lume azzurro sul mio tavolo e declamerò uno per uno i suoi versi, per valutarne l’effetto a distanza, il loro sapore, come la loro forza e intensità drammatica e sonora”: ho amato questo rituale! Dopo averlo letto, mi è rimasto in mente per tutto il tempo: fino alla conclusione dell’episodio non riuscivo a pensare ad altro. Complimenti, questa è una delle immagini che rimangono scolpite in mente.
Grazie, Arianna. Hai colto un momento di grande intimità luministica, dove ho concentrato le risonanze della poesia nell’ambiente, ma anche nell’immaginario della voce narrante, come se durante il suo resoconto ai suoi amici, il poeta le facesse proprie, espandendole anche nella camera d’albergo in cui si trovano. Mi fa davvero piacere che tu abbia colto questo piccolo squarcio a cui tengo molto, essendo insieme delicato e misterioso. Un saluto e a presto.