
LIVIA
Serie: Ritrovarsi...
- Episodio 1: L’Archivio
- Episodio 2: Nessuno in Ascolto
- Episodio 3: RI…CONOSCERSI
- Episodio 4: IN MEZZO AI VETRI
- Episodio 5: FILO SOTTILE
- Episodio 6: LA SCELTA
- Episodio 7: L’ORA DI FILOSOFIA
- Episodio 8: IL CASSETTO VIVO
- Episodio 9: LIVIA
STAGIONE 1
La finestra lasciava passare una luce grigia, senza forza. Il diario aperto sulla scrivania.
Sul foglio le ombre vibravano appena. Andrea allungò la mano, lo sfiorò con un dito, poi lo avvicinò. Il cuore gli dava uno strappo corto, come quando inciampi ma non cadi. Poi iniziò a leggere.
5 dicembre 1975 — sera
Caro Ludovico,
in cortile Lele ha accennato col mento a Teresa. Mi sfotteva, ma senza cattiveria: il sorriso di chi ti dà una spintarella e poi resta lì, ad aspettare che tu la prenda come un gioco. Ho voluto crederlo gelosia, ma non lo era. Solo curiosità, forse.
Ci siamo messi contro il muro, riparati dal vento. Lui ha tirato fuori l’accendino e me l’ha messo in mano come se mi appartenesse da sempre. Ho acceso una MS, ma dopo due tiri me l’ha strappata con naturalezza, come se fosse la cosa più normale del mondo. L’abbiamo finita in due, bocca a bocca attraverso il filtro: tabacco dolce, cartoncino un po’ umido, saliva mischiata senza che nessuno ci facesse caso. Le sue dita sfioravano le mie nel passaggio, fredde all’inizio, poi sempre più calde. La sua spalla contro la mia, ferma, presente. Non era un urto accidentale: restava lì, il tempo di un tiro.
Alla campanella gli ho restituito l’accendino, ma lui ha scosso la testa. «Tienilo. Tanto ne ho un altro.» Lo ha detto ridendo, ma senza leggerezza. Era più che un gesto da compagno: sembrava un lasciapassare, un segreto messo in tasca.
Per un attimo non ho avuto niente da difendere. Non me stesso, non quello che sento, non la paura. Solo il fumo che ci passava tra le mani e un calore che non dipendeva da me. Sì, sono stato bene. Respiravamo allo stesso ritmo. (Lo so che è stupido, ma ho tenuto il mozzicone. Mi pare di avere un pezzo di lui. Forse non vale niente, ma io ci credo.)
Hai ragione, Ludovico, con Teresa non devo giocare. Non se lo merita. Sento come se la stessi usando.
Domani, se la incontro, la saluto e basta. Promesso. A Lele non lo dico: gli farò credere che Teresa mi interessa ancora. Ma forse lo sa già, credo.
Mi si accende qualcosa quando Lele è vicino, non so cos’è; so che non passa. E so di avere paura.
Andrea chiuse un attimo gli occhi. Il foglio gli stava tra le dita, leggero ma duro da lasciare. Gli si piantò un pensiero netto: doveva smettere di barare col proprio corpo. Livia non era Milena; era il modo sbrigativo per sentirsi come gli altri. Abitudine, non scelta.
Riaprì gli occhi. Il presente gli era addosso.
Livia parlava. Parlava sempre.
Anche adesso, sul letto, mentre i suoi fianchi si muovevano in un ritmo che voleva sembrare naturale ma sapeva di esercizio, di abitudine. Cercava con il corpo quello che le parole non riuscivano a consegnare, e ogni frase che gli scivolava addosso aveva il peso di una moneta falsa.
La stanza era in penombra, sigillata. L’aria densa di deodorante, fumo vecchio e sudore fresco, gli riempiva la gola di spilli.
Era seduta sopra di lui, ginocchia piantate ai lati, movimenti lenti e calcolati. Ogni tanto si mordeva il labbro, ma più per abitudine che per vero desiderio.
Gli affondava le mani sotto la maglietta, tirandola su a metà, dita fredde che gli scivolavano sulla pelle calda come a cercare un interruttore.
Andrea fissava il soffitto, seguendo la crepa con gli occhi fino a sparire.
Il corpo di Livia sopra il suo non parlava: era solo peso. Pelle e ossa che schiacciavano, senza nessun segnale dentro. Solo carne posata, come se qualcuno l’avesse appoggiata lì e se ne fosse andato.
«Quella del corso d’arte,» disse Livia con un sorriso storto, «si crede figa solo perché ha due tette comprate su Vinted.»
Andrea fece una smorfia, lo sguardo fermo sulla stessa linea. Non rispose.
Lei si chinò all’orecchio, fiato tiepido che non scaldava.
«Se vuoi ti faccio una sega e la finiamo qui.»
Lui girò la testa verso di lei.
«Non mi viene manco duro. Non sei tu. Non sono io. È il gesto.»
Lei rise breve, ma senza gioia, con un lampo di fastidio negli occhi.
«Ma che dici? È che sei strano ultimamente.»
«No, è che non mi va. Punto.»
Il suo corpo si bloccò.
«Non ti va… di cosa?»
Andrea si tirò su sui gomiti.
«Di te. Di ‘sta roba. Di fare finta.»
Lei lo guardò come se gli fosse spuntata una faccia nuova.
«Oh, ma che cazzo ti prende? Dai, i miei rientrano tra mezz’ora.»
Andrea si mise a sedere del tutto, la maglietta che gli restava arrotolata sul petto.
«Ti rendi conto che sembriamo due conigli allupati che si montano solo per sfogarsi? Non mi basta più, Livia.»
Lei scoppiò in una risata corta, ma piena di disprezzo.
«Sì, vabbè… lo dici perché quando tocca a te duri meno di una canzone su TikTok. Il problema non sono io, Andre’, è che non ti regge manco l’ego.»
Andrea si piegò in avanti, lo sguardo che si faceva di ghiaccio.
«Sei vuota, Livia. Non solo di testa… ovunque. Io ci stavo solo per svuotarmi le palle. Ma parlare con te è come sniffare lo spray del cesso: finto, tossico e inutile.»
Livia strinse la mascella.
«Fottiti, Andrea.»
«Già fatto. Con te.»
Si alzò, recuperò la felpa dalla sedia.
Livia restò seduta sul letto, il fiato spezzato, le mani ancora sospese, come se non sapesse dove appoggiarle.
A casa entrò senza accendere le luci.
La porta si chiuse piano dietro di lui, un sigillo messo a forza. Nessuna voce dall’altra stanza, nessun rumore familiare: solo il ronzio dell’impianto elettrico, sottile, continuo.
Si buttò sul letto. L’odore di Livia era ancora lì, dolciastro e chimico. Non stava solo sulla pelle: lo sentiva piantato in testa. Più cercava di scacciarlo, più si fissava.
Accese la PlayStation. Lo schermo blu illuminò la stanza, ma lui restò fermo sul menu. Il controller immobile tra le mani sudate.
Provò a scorrere tra i nomi online. Niente che valesse la pena.
Non si sentiva né sollevato né pentito. Solo più vuoto. In testa martellava un suono che non apparteneva a nulla, come con le orecchie tappate.
Il pensiero di scriverle lo sfiorò — un “scusa”, o un “non era il momento” — ma aprire la chat avrebbe voluto dire rimettere piede in una stanza che non voleva più vedere.
Ogni volta che pensava a lei, però, gli veniva in mente un’altra faccia. Un sorriso breve, vero. Una domanda che non aveva saputo affrontare.
Spense la Play. Il blu si tagliò di colpo, e restò buio. Le cuffie gli scivolarono dalle mani e caddero a terra con un tonfo vuoto.
Restò a fissare la scrivania. Il diario era ancora lì, aperto. Il suo fiato sembrava restare tra le pagine, trattenuto da Marco.
Lo prese. Non era più solo carta: lo tirava dentro. Una promessa e una minaccia insieme.
Inspirò a fondo. Tornò alla pagina.
Serie: Ritrovarsi...
- Episodio 1: L’Archivio
- Episodio 2: Nessuno in Ascolto
- Episodio 3: RI…CONOSCERSI
- Episodio 4: IN MEZZO AI VETRI
- Episodio 5: FILO SOTTILE
- Episodio 6: LA SCELTA
- Episodio 7: L’ORA DI FILOSOFIA
- Episodio 8: IL CASSETTO VIVO
- Episodio 9: LIVIA
Mi piace moltissimo il modo in cui riesci a pensare e a porti nella testa di un ragazzo di quell’età vissuta oggi, così diversa da quella anche solo di 15 anni fa. Anche questo capitolo è magistrale.
Andrea vuole cambiare troppo in fretta senza capire gli altri e se stesso fino in fondo. Noi ci adattiamo agli altri, ma anche gli altri fanno lo stesso con noi. Forse Livia è più simile a lui di quanto creda, ma non ha il coraggio di Milena per mostrarlo. Grazie per questa bella lettura, Lino 👏
Un racconto che colpisce per la schiettezza dei dialoghi, soprattutto da parte di Andrea. Le sue parole contro Livia sono spietate. Per quanta finzione reciproca possa esserci stata, la sensazione di vuoto trasmessa da lei e la sua reazione difensiva, sorprende il cambiamento repentino, l’ atteggiamento sprezzante e il rifiuto, come se il tormento interiore di Andrea iniziasse a risolversi, nel provocare una rottura brusca, per un’affermazione più autentica della sua personalità. Come una atto di ribellione, dovuto, mi pare, almeno in parte, anche alle parole lette sul diario.