Lo scambio

La vecchia più non parlava, nemmeno quando era necessario. Col tempo, aveva imparato a distinguere le cose importanti. Non glielo aveva insegnato nessuno, eppure adesso lei conosceva la potenza di un silenzio, e di quanto forte risuonasse l’eco di parole mai dette.

Non si curava più del suo aspetto, sebbene ci tenesse a presentarsi pulita. Le persone che avvicinava non dovevano avere nulla da dire, perché grande era la sua dignità.

Lei immagazzinava tutto, lo elaborava e poi taceva, annuendo appena con quel capo canuto e il corpo esile, traballante come fosse stendardo di una bandiera.

Eppure c’era un tempo in cui metteva bocca su tutto, ma non per questo la sua vita era stata più bella. Nel clamore della moltitudine, le voci si disperdono e nessuno ha ragione.

Lo aveva imparato a sue spese, la vecchia. E il prezzo era stato salato, costellato da tanta solitudine.

Le persone che con la sua arroganza aveva allontanato dal “nido”, sebbene talvolta ancora presenti, le aveva perse. Difficilmente è concesso riparare a una situazione trascinata per anni.

Così adesso lei taceva, ai bordi di quel sentiero assolato che percorreva giornalmente. E, a ogni passo, dentro di sé chiedeva perdono per essere stata tanto avventata, senza nemmeno ben sapere a chi.

Venticinque passi, dall’uscio alla strada. La sua piccola abitazione, immersa nel verde. E al limitare della soglia, una piccola seggiola con la seduta di vimini. Consumata dal tempo e mai riparata, vetusta come la sua padrona o l’idea che di lei si aveva.

«Ma perché tu non parli mai, vecchia?», le chiedevano i bambini che, andando a scuola, passavano proprio davanti alla sua casa.

E lei allora inclinava la testa, e offriva loro un sorriso sdentato.

«Ma sei proprio muta, vecchia?», e lo stupore che scorgeva la induceva ad alzarsi, per andare più vicino.

Puntualmente, però, quando la sua figura goffa raggiungeva il terminare del giardino, i bambini erano già scappati via.

Fa paura chi tace, lo sapeva bene la vecchia. Ma di questo non si rammaricava. Il silenzio richiede coraggio: non è per tutti.

Lei però ogni giorno ci provava, ad insegnarlo a quei bambini che avevano preso a canzonarla, e reputavano il suo incedere barcollante gioco ormai consolidato.

L’unica ragazzina che rimase ferma in attesa, sorridendo, e lasciò che la mano della vecchia sfiorasse la sua, forse non aveva tutti i geni al loro posto. Da qualche parte stava scritto che fosse nata con un cromosoma in più nelle cellule, ma l’abbondanza, in taluni casi, non dovrebbe certo impressionare.

Così, quando il pugno nodoso della vecchia si sciolse in quello tiepido della bambina, una caramella profumata lasciò nel palmo un po’ di zucchero, appiccicoso, che persistette per l’intera mattinata. Ma non importa; nemmeno queste sono le cose importanti.

Traboccava di gioia, invece, il cuore della vecchia, anche quando cadde malata e fu costretta a rimanere per due giorni a letto.

Il terzo giorno, quando il sole fece capolino in mezzo agli alberi, s’incamminò verso la sua sedia di paglia. Lo scorse di lontano quel piccolo foglio, bianco e pieno di grinze, fermato dal vento con un sasso pesante. E lì accanto, proprio su quella seduta consunta che si era rifiutata più volte di far rattoppare, un fiore ormai appassito.

“Sono passata ma tu non c’eri. Milena”.

Buffo come a volte le cose possano trasformarsi e ampliare i confini. Come due vite s’incrocino, e chi teneva nella mano una caramella si ritrovi con un fiore. Seppur appassito, ma pur sempre un fiore.

Prodigioso quanto un sorriso riconosca se stesso, al di là di ogni barriera.

E di quanto l’intesa non abbia bisogno di proferire parole.

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Discussioni

  1. “Le persone che con la sua arroganza aveva allontanato dal “nido”, sebbene talvolta ancora presenti, le aveva perse. Difficilmente è concesso riparare a una situazione trascinata per anni”
    tristemente vero…