L’odore dei mandarini

Forse li avete intravisti anche voi, quello stesso inverno, eravamo sotto Natale. A volte insieme, con i cappotti troppo larghi, dello stesso modello e grado di usura, sempre ben chiusi fin sotto la gola. Si erano trasferiti all’improvviso, chissà da dove. Per qualcuno erano due nobili inglesi andati in rovina, mentre io e Adele li avevamo sentiti parlare nei pressi del loro portone, mentre rientravano da una sala corse, esprimendosi in un italiano perfetto. Lei faceva la maestra elementare. Lui rimaneva a casa, con le luci spente, anche quando fuori era scuro e pioveva. Qualche sera, di rado, lo vedevo uscire in bicicletta, all’imbrunire, come un fantasma. Aveva i capelli cortissimi di un marine, da cui spuntava l’orlatura di una nuca infantile, del colore della luna.

Occupavano l’appartamento al secondo piano di fronte alla nostra abitazione. Ogni mattina, il mio primo pensiero era guardare con attenzione nel buio della loro camera, immaginando di scorgere in segreto, sin dal movimento delle labbra o degli occhi, i loro migliori desideri per i programmi della giornata.

La mia amica Adele, su mia richiesta, aveva ottenuto diverse informazioni sul loro conto. A quanto pare la coppia era divorata dall’usura. Io non capivo a cosa alludesse con quell’espressione. Non avevo mai sentito pronunciare un termine simile riferito a delle persone, ma solo in relazione ai tessuti degli abiti o delle coperte, come dei rivestimenti dei divani e delle vecchie poltrone dei salotti. Rimasi alquanto perplessa dalle confidenze di Adele, la quale aggiunse alla sua versione il fatto che la donna non avesse nemmeno tutta la lingua.

«Ma tu sentila! E come lo sai?» le dissi.

«L’hanno vista da vicino, in chiesa, che masticava una candela accesa. Credo che siano disperati. Stanno morendo di fame. Sono arrivati qui per sfuggire a delle persone che gli volevano del male e che li perseguitavano. Non hanno più nulla, ormai. Gli hanno staccato il telefono e la luce – tra poco anche la testa, come hanno detto i più sfrontati. Tra l’altro… non credo che lei insegni più. Si avvia ogni mattina, alla stessa ora, verso una scuola elementare in cui non entra mai, perché nessuno del personale la conosce. Quando la vedono passare, gli scolari dalle finestre la deridono,  per quanto sia ridicola e minuta nel suo cappotto troppo grande, che le scende oltre i polpacci e che spesso la fa inciampare.»

Ritornata a casa, con il cuore sospeso nello sconforto, mi chiusi a chiave nella mia camera, nascondendomi dietro le tende, in attesa che uno dei due comparisse e smentisse, anche solo con un sorriso, col gesto di una mano che apre un mandarino o accende la luce, il quadro spaventoso illustratomi da Adele. Ma quella sera non comparve nessuno dei due. I vetri della loro finestra erano sporchi e non lasciavano trapelare quasi nulla al loro interno. Non sentii nemmeno il tintinnio della bicicletta dell’uomo allontanarsi al crepuscolo. Tutto sembrava fermo, inesistente, concluso.

Mi confidai col nonno, in un mattino di cattivo tempo. Gli chiesi se oltre all’usura dei cappotti troppo grandi ne esistesse un’altra, che divorava le persone troppo magre fino all’orlo dell’anima, dei sogni e dei desideri, per esempio.

«Chi ti ha detto queste sciocchezze?»

«Adele. Mi ha raccontato che la signora maestra e suo marito si stanno consumando come le candele che lei mangiucchia in chiesa – c’è qualcuno che l’avrebbe scoperta.»

«Sono certo che si sarà sbagliata. Avrà troppa immaginazione. Lasciala perdere, quella lì.»

«Non mi hai più detto dell’usura, però» e alla mia domanda nonno si rabbuiò, mentre dalla finestra di fronte ricompariva l’uomo nella sua canottiera giallastra, accingendosi a una rasatura esemplare a lume di candela. La sua magrezza era terrificante.

«Gli si vedono le ossa, poverino…» dissi al nonno.

«Dovremmo fare qualcosa. Semmai portare loro del pandoro» gli chiedevo, ma lui non mi rispondeva, mentre io osservavo l’uomo sfoltire la sua barba, che pareva più ispida e grigia del solito, anche se dorata dalla lucertola della fiamma.

Cominciò a piovere. Una pioggia livida, sottile, poi via via sempre più fitta, mentre chiedevo al nonno come fare per aiutarli.

«Non c’è nulla da fare. E poi non li conosciamo. Sono due estranei.»

«E se li invitassimo a pranzo o anche a cena, così da diventare loro amici, per esempio?»

«La tua amica potrebbe aver capito male, e se così fosse rischieremmo solo di umiliarli. Non mi sembra corretto e nemmeno prudente, trattandosi di sconosciuti» mi fece il nonno, con fare brusco, prima di uscire. Rimasta da sola, continuai a osservare la stessa scena, quando l’uomo si voltò nella mia direzione e mi sorrise. Io aprii una mano per salutarlo, col viso ancora assorto, incantato. Era da solo, col suo rasoio grondante di magie e di malincuori.

Quando il nonno ritornò nella mia camera, gli raccontai che l’uomo mi aveva appena sorriso, ma lui guardò fuori e mi disse che non c’era nessuno. La camera di fronte era al buio, avevo solo immaginato, secondo lui.

In cucina, in gran segreto, avevo già rimediato del pane fresco, delle olive greche, del salmone e due confezioni di sgombro grigliato. Aggiunsi delle candele, una fetta di pandoro e due mandarini. Scesi di corsa, nella controra, mentre il nonno riposava.

Il portone era aperto. Salii le scale, quando la polizia mortuaria già richiudeva la lampo dei teli sui loro corpi magrissimi, ben visibili dal punto dove mi ero appostata, con il mio pacchettino segreto ben stretto tra le braccia. Ricordo solo una mano fredda di donna sugli occhi, poi l’odore forte dei due mandarini, mischiati al gas cittadino – unica utenza ancora attiva, con cui avevano concluso il loro ultimo atto.

Ogni tanto, dopo molti anni, mi sembra ancora di intravederli lungo le mie stradine dell’oblio, o tra gli scaffali di alluminio dello studio commercialistico, da tempo impiantato nel loro appartamento: lui con la sua nuca da marine, in bicicletta, dentro un F24; lei col suo passo da formica, mentre si affanna a raggiungere la scuola elementare, una spillatrice, un cinema chiuso.

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Discussioni

  1. Un racconto splendido e una costruzione esemplare. Leggerlo è stato romanticamente triste, con quella malinconia che ti si mette addosso e le immagini che restano vivide dentro alla mente anche dopo la lettura.
    I personaggi pare quasi di vederli e quella bimba lascia il segno, esattamente come il colore arancio dei mandarini.
    Davvero bellissimo.

    1. Ciao, Cristiana. Non è facile rispondere a un commento così sentito e luminoso. Riuscire a raggiungere determinate tonalità nella sensibilità di una lettrice (nonché pregevole scrittrice) è sempre qualcosa di sorprendente e inatteso, una sorta di dono.
      In effetti è proprio nello spettro modulante del punto di vista, nel suo smarrimento, nella sua innocenza e chiave di ispirazione, che si disvela il sentimento di mistero che avvolge la storia. Ci sono degli istanti in cui lo sguardo di chi racconta si fonde con le due figure osservate, sempre in fase di dissolvenza, di costante svanimento, come se un po’ ne facesse parte e i loro tre destini si fondessero improvvisamente l’uno nell’altro, oltre il velame che si rapprende sui vetri della finestra, teatro di meraviglie e di malinconie.
      Credo che nell’immagine dei mandarini si evinca l’idea di un nutrimento parallelo, impalpabile, che accompagna i vari passaggi del racconto come un profumo sottile ma penetrante, che li racconta e li trasfigura, al di là dei rispettivi orizzonti, sortilegi e presentimenti.
      Ancora grazie e a presto.
      Luigi

      1. Osservare attraverso una finestra i ‘segreti’ delle vite altrui è da sempre uno dei principali vizi umani. Ne parla la cinematografia, ma ne parla anche la letteratura e, perché no? Lo insegna la quotidianità.
        Lo sguardo della tua bimba, però, è differente. È uno sguardo empatico e attento, direi preoccupato. Come dici tu, una sorta di fusione fra l’animo dell’osservatrice e di coloro che sono osservati.

    1. Ciao, Manuela. Ti ringrazio del tuo commento e della triade di aggettivi qualificativi che hai dedicato al mio racconto e che mi onorano profondamente, per quanto li avverta preziosi e ricercati.
      In merito alla sazietà, giochi mirabilmente in contrappunto rispetto al tema conduttore della privazione, fino alla consunzione delle percezioni e dei sentimenti dei personaggi, che tendono a sfigurarsi fino a confondersi con i componenti di arredo dello studio commercialistico di fronte, ma ancora ostinati in una loro tensione verso la vita, nonostante non sia stata quella che avrebbero immaginato.
      Il tutto, in fondo, ciò che non vediamo ma sentiamo dallo sguardo e dalla voce incalzante del punto di vista, è sempre concentrato in una cucina invisibile, semmai con un tavolo di marmo senza tovaglia e posate, perché la tavola non si apparecchia, nonostante vi sia ancora il gas per cucinare e qualche candela di avanzo per fare luce, poco prima della fine.
      Un saluto e a presto.
      Luigi

    1. Grazie davvero, Giuseppe. È proprio così: la voce narrante resta sempre nel bilico del dolore, come dell’incanto incompiuto verso il senso di straniamento e di perdita, lo stesso in cui avrà percepito le frequenze sottili di una coppia di coniugi del palazzo di fronte, intercettati dal loro abisso, nell’acme dell’incubo e della disperazione. È proprio lì la postazione estrema della piccola narratrice, poco lontana dall’immagine toccante e ispirata del tramonto che hai descritto nel tuo commento.
      Ancora grazie. Buona scrittura e a presto.
      Luigi

  2. Malinconico al punto giusto. La storia dei due fantasmi non ci viene raccontata e questo fa sì che ognuno di noi possa usare la propria immaginazione per crearla. Il punto di vista dagli occhi della ragazzina è molto credibile.

    1. Ciao, Antonio. Mi piace molto questo equilibrio della malinconia a cui alludi. È verissimo. Anche la malinconia va bilanciata, distribuita con la giusta parsimonia e sensibilità, con la stessa prudenza che si riserva agli avverbi, all’ aggettivazione, ai labirinti della punteggiatura, come ad alcuni moduli ricorrenti nell’officina di ogni scrittore. Cerco sempre di lasciare che l’elemento della malinconia resti un po’ sullo sfondo, in controluce; che sia indefinita, pur se presente, non troppo determinata, ma comunque percepibile nel suo sedimento. Spesso anche degli spostamenti minimi possono creare grosse problematiche alle atmosfere e alle risonanze di una storia, specie quando si ostentano alcune tensioni e intenzioni emotive dei personaggi più centrali e condizionanti.
      Allo stesso modo, la componente spettrale attraversa la struttura senza spingere troppo, restando in ascolto di ciò che non accade e che non sappiamo del tutto, senza intervenire o certificare il loro stato in vita – o in morte. Anche quando il nonno rientra nella camera della nipote e le dice che di fronte non c’è nessuno, potrebbe ricondurci al sorriso di un fantasma, per esempio, ma nel contempo non è escluso, né confermato, che l’uomo abbia finito di radersi e abbia spento la candela prima che il nonno arrivasse, o che la ragazzina che racconta sia sullo stesso livello di inesistenza della coppia suicida, soprattutto nel finale. È un po’ questa l’impostazione dell’ingranaggio: misteriosa, quanto aperta a tante letture trasversali.
      Ancora grazie della tua attenzione.
      Luigi

  3. Bello l’incipit, che convoca il lettore come testimone e, nello stesso tempo, sfoca l’immagine come in un ricordo lontano. Forse il riferimento alla “sala corse” potrebbe arricchire di in certo significato la parola “usura”. Consumati fino all’osso, direi, un uomo dall’incerto passato e strana maestra che non può nemmeno entrare a scuola, a cui manca un pezzo di lingua e mangia candele accese: e poi quelle ultime parole sospese: una spillatrice, un cinema chiuso. Ma prima di morire hanno mangiato i mandarini: questo mi ha colpito. Sono forse allusioni a qualcosa che devi ancora inserire in questo bel racconto, o forse va tutto bene così. Triste e vero, come le tante esistenze che ci circondano e di cui sappiamo ben poco.

    1. Ciao, Angelo. Molto belle e profonde le tue suggestioni. L’elemento portante della sospensione rappresenta la chiave di tutto il tessuto, dove ogni singolo dettaglio osservato, interiorizzato e poi espresso, potrebbe rappresentare altro da ciò che si immagina o che ci si illude di aver compreso, a partire dal tempo e dalla gestione speculare degli spazi diegetici, che si fronteggiano e si deformano come lenti. Lo stesso punto di vista è sempre a cavallo tra più dimensioni percettive e livelli di realtà, consegnandoci delle figure sempre vacillanti, spettrali, che in alcuni momenti si fondono con il sentimento d’innocenza dell’osservatrice e i vari gradienti della sua intimità.
      Per quanto riguarda i mandarini, resteranno anche loro elementi consustanziali di questa coltre nebbiosa, incerta, con il loro aroma festivo, penetrante, e il dubbio se quella loro fragranza provenga dal pacchetto che la ragazzina ha ben stretto nelle braccia, o da un angolo stregato della cucina degli orrori. In fondo, come hai ben delineato nel tuo commento, sono parte viva e pulsante dello stesso mistero.
      Ancora grazie della tua attenzione.
      Luigi

  4. Racconto intenso, con un’atmosfera triste e sospesa che arriva chiara a chi legge. Ho apprezzato i piccoli dettagli che rendono vivi i personaggi e le scene, come il cappotto che inciampa o la rasatura a lume di candela.

    A mio avviso, in alcuni passaggi il testo indugia un po’ su immagini e concetti che risultano già forti di per sé, e una lieve asciugatura potrebbe renderlo ancora più incisivo, senza togliergli nulla del suo tono delicato e malinconico. Nel complesso, una lettura che lascia il segno.

    1. Ciao, Mariano. Ti ringrazio molto del tuo commento e della tua lettura attenta e ispirata. Considero questo racconto ancora in una fase molto aperta, suscettibile di una serie di accorgimenti e asciugature, come accade a ogni prova prima della sua definitiva collocazione in un suo possibile assetto. Al momento è ancora in un suo laboratorio, in una sua fase di relativa quiescenza, che mi ha dato modo di poterlo condividere senza troppi rimorsi o sensi di colpa, ma non è escluso che possa riflettere su alcuni passaggi. C’è anche da dire, però, che il punto di vista femminile è di una ragazza molto giovane, in preda a continue astrazioni e contorsioni immaginifiche, che influenzano inevitabilmente, anche per una mia scelta stilistica, l’approccio ossessivo alla coppia dei dirimpettai, orientando la sua voce verso una narrativa più emotiva (ormai radicata nel mio mood di scrittura) e meno funzionale all’ortodossia di una narrazione distaccata, posata e oggettiva (vedi: la lucertola associata al guizzo della fiamma della candela, giusto come esempio).
      Un saluto cordiale e a presto
      Luigi

      1. Ciao Luigi, grazie a te per la risposta.
        Capisco bene la fase in cui si trova il racconto e apprezzo la scelta di condividerlo così, ancora in divenire. Interessante anche la precisazione sul punto di vista della narratrice, che in effetti dà al testo quel tono più immaginifico e ossessivo, lontano da una narrazione distaccata.
        Il mio era solo un piccolo spunto tecnico, sapendo quanto certi equilibri siano frutto di scelte stilistiche precise. Complimenti ancora per il lavoro e per averlo condiviso.