“L’onore degli italiani”

Serie: Ettore Fieramosca


— Troppi soldati, ci sono troppi soldati — disse Brancaleone, — non mi piace.

Fieramosca annuì, con l’aiuto di un servo finì di indossare l’armatura a piastre. Intorno a lui gli altri cavalieri erano già in sella.

— C’è puzza di imbroglio — continuò Brancaleone, guardandolo di sottecchi. — Non mi fido di questi spagnoli.

— Il Gran Capitano è uomo di parola, stai tranquillo.

— Perché quelle picche davanti alla porta della città? E quel drappello vicino al pozzo?

Fieramosca non aggiunse altro, ma dopo una breve occhiata in giro si rese conto che Brancaleone aveva ragione. Troppi soldati. Persino sulle mura, sui bastioni e sui camminamenti e neppure lui sapeva il motivo.

— Andiamo — disse, issandosi in sella. — Voialtri siete pronti?

Per tutta risposta, i cavalli corazzati si mossero nello spiazzo di terra battuta e qualcuno degli uomini iniziò a fischiare.

— Tutti in fila — ordinò Fieramosca. — Dobbiamo uscire da Barletta come veri cavalieri.

— Ma io sono un frate! — protestò Ludovico da Rieti.

Scoppiarono delle risate che Fieramosca zittì, sollevando la lancia da giostra in alto e arrestando subito la colonna.

— Guardate, guardatevi intorno… guardate le case, guardate la città. Il popolo di Barletta è venuto a salutarci — disse, in tono solenne.

— E allora? — chiese Fanfulla da Lodi.

— Vogliono la nostra vittoria. Non deludiamoli comportandoci come dei briganti.

Fanfulla tacque un momento soppesando quelle parole. In effetti c’era tanta gente, soltanto adesso se ne accorgeva, ad alcune centinaia di passi. Davanti agli edifici, sui davanzali delle finestre, sui terrazzi, davanti alle botteghe, alle bettole, in strada e nella piazza adiacente. Agitavano le mani, li fissavano quasi in silenzio. Contadini, popolani, vagabondi, bambini, prostitute ¬– persino qualche prete e qualche suora nei pressi della Cattedrale – che loro avevano difeso dai francesi, perché non c’era gusto a stare sempre dalla parte del più forte.

— Viva il popolo di Barletta! — gridò d’istinto, sollevando la lancia in alto, — viva gli italiani!

Gli altri cavalieri lo imitarono sotto un freddo sole di febbraio, mentre la brezza leggera rendeva frizzante l’aria del mattino. Per qualche istante regnò la confusione più assoluta, perché il popolo rispose con entusiasmo. Quel popolo cencioso e straccione, abbruttito dalla fame e dal lungo assedio inneggiava ora a gran voce al Conte Ettore Fieramosca e ai suoi eroici compagni, che si sarebbero battuti per l’onore dell’Italia. E tiravano in ballo pure i Santi e Giuseppe e Maria e Gesù e il papa, perfino il re. I soldati spagnoli dovettero faticare per contenere l’euforia, qualcuno ricorse anche alla minaccia della spada pur di tenere a freno gli animi.

— Muoviamoci — sentenziò Fieramosca, — il momento è giunto.

La colonna si rimise in marcia ma dopo pochi passi si fermò di nuovo, a causa dell’arrivo del Gran Capitano Gonzalo Pedro di Guadarrama, reggente di Napoli e governatore della città di Barletta. Il nobiluomo indossava un elegante farsetto di seta nero con delle vistose maniche abbottonato fino al collo, e dei pantaloni di lana altrettanto neri secondo la moda spagnola. Neri aveva anche gli occhi, la barba, i baffi e i capelli che teneva corti sempre in ossequio alla moda del suo Paese. Montava un superbo andaluso ed era accompagnato da due luogotenenti, anch’essi a cavallo, e da una dozzina di soldati a piedi armati di scudo e lancia. Si avvicinò a Fieramosca e dopo aver sollevato la mano destra sopra la testa impose il silenzio.

— All’alba mi è arrivato un dispaccio molto importante: i rinforzi che attendevo da Taranto fra poco saranno qui. Con quelli attaccherò i francesi in campo aperto e li sconfiggerò.

— Non capisco il senso delle vostre parole, Eccellenza — rispose Fieramosca.

— Non ci sarà nessuna sfida, torneo o sciocchezza simile.

— Come dite?

— Mi avete sentito, non ho tempo da perdere. C’è una guerra da vincere e saremo noi spagnoli a vendicare il vostro cosiddetto “onore”.

— Questo non è possibile, Eccellenza.

I cavalieri, specialmente quelli più vicini, iniziarono a protestare, ma Fieramosca li zittì in modo perentorio. La brezza smise di soffiare, l’aria divenne di colpo immobile. Il cavallo arabo di Brancaleone emise un nitrito simile a un lamento, mentre da qualche parte dei cani iniziarono ad abbaiare. Tutti erano in attesa, immersi in un silenzio che pareva piombo.

— Gran Capitano di Guadarrama — riprese Fieramosca — noi siamo soldati di ventura è vero, ma questa volta non combatteremo per denaro perché, come avete appena detto, c’è in ballo il nostro onore…

— Onore? Quale onore? — lo interruppe bruscamente il nobiluomo, — c’era del sarcasmo nelle mie parole ma voi, Fieramosca, non avete voluto coglierlo. Siete in tredici, come stabilito, ma non rappresentate che voi stessi. Il vostro gusto per le bravate, per le millanterie, il vostro orgoglio personale… che senso ha combattere? Per cosa?

— Per l’Italia.

— E dove sarebbe questa Italia?

— Cavalieri — urlò Fieramosca, — dite al Gran Capitano il vostro nome e la vostra provenienza!

— Romanello da Forlì.

— Riccio da Parma.

— Fanfulla da Lodi.

— Giovenale da Roma…

— Adesso basta! — tuonò il Gran Capitano — adesso basta!

— Questa è l’Italia, Eccellenza, il popolo che la Signoria Vostra governa, la terra che calpesta, l’aria che respira… e per essa noi ci batteremo anche contro i vostri soldati se non ci aprirete la porta — lo minacciò Fieramosca.

— Siete davvero testardo, ma vi proibisco di uscire dalla città. I giorni di tregua stipulati coi francesi per organizzare questa impresa sono serviti allo scopo e questo è tutto.

— Fatevi da parte, Eccellenza…

— ¡El pueblo! El pueblo! — si sentì gridare.

I barlettani erano arrivati a pochi passi da loro, quando una scarica di archibugi sparata in aria dalle mura li fece arrestare. Avevano appena ricominciato a gridare, ma soprattutto erano riusciti a far retrocedere i soldati che ormai si trovavano molto vicini al Gran Capitano e allo stesso Fieramosca. La maggior parte era disarmata, ma qualcuno teneva nelle mani un coltello o un bastone. Comparvero persino delle asce e alcune pistole. Spariti i bambini e le donne, almeno nelle prime file, restavano soltanto gli uomini i cui volti esprimevano adesso un pericoloso rancore. Il Gran Capitano fu colto alla sprovvista, ma riuscì a non darlo a vedere. Ordinò con voce stentorea ai barlettani di fermarsi, minacciando terribili punizioni per chi avesse osato disubbidirgli. Poi, dopo aver premuto una mano sul collo del suo cavallo per impedirgli di impennare, tornò indietro e prese a parlottare coi suoi luogotenenti. Fra poco, nonostante i soldati presenti fossero già abbastanza, sarebbero arrivati i rinforzi, perché i colpi di archibugio producevano un fracasso troppo forte per non essere notato. Tuttavia la domanda che lo angustiava era un’altra, e riguardava la convenienza di usare la forza in quella specifica occasione. Era la mossa giusta? E come avrebbe reagito quella gente, da tempo avvezza alla battaglia, che oltretutto si era sempre dimostrata fedele alla corona di Sua Maestà, il Cattolicissimo re di Spagna Ferdinando II, perfino nei momenti più drammatici dello scontro con il nemico?

— Lo dicevo io che questi spagnoli erano dei traditori — disse Brancaleone, avvicinandosi a Fieramosca.

— Smettila di frignare! — lo rimproverò il condottiero, toccandosi la barba ispida. Neanche lui, come la maggior parte dei suoi, indossava l’elmo che era legato alla sella vicino allo scudo.

— Gli uomini sono nervosi — protestò Brancaleone, guardando i soldati che avevano formato un cerchio di protezione intorno al Gran Capitano e ai due luogotenenti.

— Pure loro.

— E se non ci fanno passare?

— Combatteremo.

— I barlettani ci aiuteranno?

— Speriamo di non averne bisogno, questa gente ha sofferto fin troppo.

Fu in quell’istante che Capoccio da Spinazzola si accostò col suo cavallo bianco per conoscere gli ordini. Non aveva più la lancia, ma in compenso teneva nella destra una mazza ferrata.

— Mettila via! — lo ammonì Fieramosca.

— Sono pronto a qualsiasi evenienza.

— Mettila via — ripeté Fieramosca, — non provochiamoli!

— Si Deus pro nobis, quis contra nos?

— Quegli archibugi e quelle balestre lassù — Fieramosca lo guardò di sbieco, indicando le mura e i bastioni, — e quei cannoni laggiù.

— Che stiamo aspettando? — chiese Brancaleone.

— Un miracolo — rispose il condottiero, osservando il cielo, — audentes Fortuna iuvat… giusto?

Un ragazzo smilzo e zoppo si avvicinò al cavallo di Salomone da Sutera, ma un soldato lo ricacciò indietro con un calcio. A quel punto il cavaliere smontò a terra, afferrò la spada e affrontò lo spagnolo. Fieramosca, però, fu il più veloce a scendere da cavallo e riuscì pure a impedire l’intervento degli altri fanti, mulinando minacciosamente la lancia davanti ai loro occhi e invitandoli a non compiere delle sciocchezze proprio sotto il naso del popolo. Quindi cercò di far ragionare il compagno. Ma Salomone non aveva affatto voglia di ragionare, tanto aveva i nervi a fior di pelle, e ci volle l’intervento di Corollario da Napoli e di Romanello da Forlì per convincerlo a più miti consigli. Il siciliano rimontò in sella con lo sguardo carico d’odio e con un vistoso taglio sulla guancia sinistra. La tensione era alle stelle, poteva accadere l’irreparabile da un momento all’altro e Salomone non faceva nulla per evitarlo.

— Appena torno ti ammazzo! — gridava allo spagnolo, — appena torno regoliamo i conti!

Trambusto alle loro spalle. Improvviso. Grida, confusione, imprecazioni e nuovi colpi di archibugio. Fieramosca e i cavalieri si voltarono, videro l’arrivo dei rinforzi spagnoli.

Serie: Ettore Fieramosca


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Discussioni

  1. ” Questa è l’Italia, Eccellenza, il popolo che la Signoria Vostra governa, la terra che calpesta, l’aria che respira… e per essa noi ci batteremo anche contro i vostri soldati se non ci aprirete la porta — lo minacciò Fieramosca.”
    ❤️ Fin da bambino, da quando ho conosciuto la storia (ampiamente romanzata) col film di bud spencer, e poi da ragazzino, con “La storia d’italia a fumetti” di Enzo Biagi, la disfida di Barletta mi ha sempre affascinato. E questo passaggio è bellissmo. Forì, Parma, Lodi, Roma… l’Italia non era ancora una, ma già esisteva ❤️