L’ultimo spettacolo (episodio 6 di ‘L’Incidente’)
Fuori dal tendone, il sole era ormai prossimo all’orizzonte.
Una palla rossa e gigantesca, proprio al centro del cielo, come se temesse, altrimenti, di non essere abbastanza visibile.
Se ne stavano tutti immobili, nel piazzale delle roulotte. Guardavano in silenzio, come se questo fosse il primo tramonto delle loro vite, e si stessero chiedendo se il sole sarebbe mai tornato a sorgere.
Facce angustiate, sbalordite. Primitivi, al primo tramonto dell’umanità.
Mi venne d’improvviso una gran rabbia, una rabbia pulita, come una corrente d’aria in una stanza chiusa da troppo tempo. La morte di Zazà, la scomparsa di Buster, la voglia che avevo di afferrare Ariel per le mani, trascinarla dentro la pista di sabbia, in una danza sfrenata, crollarle esausto tra le braccia, e solo allora dirle, con l’ultimo po’ di fiato che mi restava Io ti amo, mai niente è stato per me quello che sei tu…
Tutto questo mi uscì di bocca in un grido.
“Morte a Moby Dick! Morte alla dannata Balena Bianca! Giurate!”
Come mi vennero fuori quelle parole, tra tutte quelle che avrei potuto scegliere per incitarli, proprio non lo so. Ma funzionò.
Si svegliarono tutti, come un solo uomo, cominciarono a correre dietro alle loro vite, che preparavano lo spettacolo, come ogni giorno. Dimentichi del tramonto ormai prossimo e certo, liberi dal suo invalidante incantesimo.
La piazzola era piena di voci, ora, e di confusione.
Mi voltai per tornare al tendone, alle mie funi, al trapezio.
Sulla soglia, c’era Ariel.
“Zazà è morto.”
“Ho sentito.”
“Voglio parlarti.”
Ci fermammo ai bordi della pista.
“Ariel…”
“Non devi dire niente.”
“Lo so. È che voglio farlo. Non so perché non te l’ho detto prima, ma ora… Non so, ho bisogno di parlare…”
Si voltò a guardarmi, un’espressione indefinibile sotto il bianco del viso.
“Ti ascolto.”
“Non sono bravo in queste cose, ma ti amo, dal primo momento che ti ho vista, sei la cosa in assoluto più bella che mi sia capitata in tutta la mia vita, capisci, e la sola cosa che desidero è di stare con te per sempre. Ecco, ora lo sai.”
Bravo. Metà un bambino di terza elementare, metà corteggiatore del Diciannovesimo Secolo. Centro della terra, arrivo!
“Lo so da quando hai aperto gli occhi e mi hai guardato. Nessuno mi ha mai guardata così.”
Guardava la pista, con le mani piccole affondate nel pantaloni larghi del costume. Da non credere, il desiderio che mi dava, con le sue scarpe enormi e la parrucca rossa a cespuglio.
“Hai paura di morire?”
Mi parve una domanda strana, non mi ero mai sentito così vivo. Non sapendo cosa rispondere, restai zitto.
“Dicono che sia come saltare tanto in alto che non si riesce più a tornare indietro…”
“È come volare, allora” commentai.
“Lo spettacolo è tra poche ore. A proposito, ti amo anch’io.”
E saltellò via, tutta colore, lungo la pista, per poi sparire dietro il tendone.
Quando la gente cominciò a scivolare attraverso l’apertura, le prime ombre cominciavano ad allungarsi sulla piazzola.
Mi sembrò che il buio avesse già ingoiato molte delle tende e delle roulotte.
Quando rientrai, la gente assisteva, in anomalo silenzio, allo sketch di Ariel e del direttore, che ora sembrava più strano che mai.
Si muovevano attorno alla barella improvvisata e al suo occupante, aggiustando tubi e cannule di gomma colorata che lo bucavano da tutte le parti, per poi collegarsi, assurdamente, ad un vecchio aspirapolvere, al posto dei macchinari ospedalieri.
Ad un certo punto, il direttore Adelaidi, perfettamente a suo agio nei panni del medico, si rivolse ad Ariel:
“È andato. Non c’è altro da fare.”
Ariel sussultò vistosamente, poi cadde a sedere sulla pista. Ma la gente non rise. Seguivano la scena con occhi attenti, rapiti, in assoluto silenzio.
Quel silenzio ad Ariel non sarebbe piaciuto affatto. Lei amava sentirli ridere.
“Dottore, aspetti… Magari possiamo tentare…”
“No” tagliò corto lui, togliendosi la mascherina. “È finita. Ora del decesso: 22.12.”
Improvvisamente, il pubblico scoppiò a ridere.
Battevano le mani, alcuni erano caduti per terra, si tenevano i fianchi e rotolavano di qua e di là, come se fossero nel salotto di casa, anziché sulle gradinate di un circo.
Stupefatto, guardavo l’amore della mia vita uscire di scena dopo un rapido giro di pista, fatto di inchini e sberleffi. Anch’io ridevo come un matto, sebbene lo sketch fosse, la cosa meno divertente che avessi mai visto… Ma non potevo farci niente, esplodevo di allegria.
Ariel abbandonò la pista e mi venne incontro saltellando. Mi abbracciò e mi baciò con trasporto, poi mi guardò per un momento intensamente, come lei sola sapeva guardarmi.
“Tocca a te, amore mio!” mi bisbigliò all’orecchio. “Vola!”
Entrai nella pista, leggero e felice come non mi ero ancora mai sentito, e mi arrampicai per la scaletta di corda.
Lassù, l’aria era immobile, come nei sogni.
Il pubblico, quindici metri sotto, tratteneva il fiato.
Eseguii i numeri più difficili, mettendoci tutta l’arte. Alla fine, mi lanciarono il trapezio, per l’ultimo numero.
Io volteggiai, staccai le mani dal sostegno e gli andai incontro, sicuro.
Mentre volavo, vidi la faccia di Ariel rivolta all’insù, verso di me. Struccata, per la prima volta da quando la conoscevo.
Era ancora più bella di quanto avessi immaginato, e, per guardarla, mancai il trapezio di buoni cinque centimetri.
Le mie mani si chiusero sul nulla.
Le precipitai incontro, felice che fosse tutto così bello – bello che mi scoppia il cuore, bello come volare, bello come…..
Vola via, pensò assurdamente Anna, coprendo il viso del giovane steso sul lettino.
“Infermiera, pensa lei a sistemare tutto, qui?”
“Sì, dottore. Buona notte.”
Finì di rincalzare le coperte del letto, dove il ragazzo aveva dormito negli ultimi tre mesi.
Come sempre, quando si spegneva uno dei pazienti della rianimazione, si chiese come fossero stati, per lui, quegli ultimi mesi.
Si era accorto di ciò che stava accadendo?
Il dottor Adelaidi pensava di no, che gli impulsi che arrivano al cervello si limitano al semplice sistema nervoso periferico. Solo riflessi condizionati, niente emozioni, pensieri, sentimenti.
Pedro, l’infermiere anziano, che stava lì dentro da più di trent’anni, diceva invece di essere sicuro che qualcosa restava sospeso, in attesa di decidere se rientrare nel corpo oppure no.
Stavolta le era parso davvero di avvertire qualcosa. Una specie di corrente, vicino a lui. Un’emozione.
Come se cercasse di comunicare… Scosse la testa, con un lieve sorriso.
Difficile diventare tanto intimi di qualcuno senza sapere che voce abbia, come sia il suo sorriso.
Finì di rassettare la stanza, poi si preparò a smontare dal turno.
Dal fondo del viale, le veniva incontro un uomo con un leone.
Sbalordita e timorosa, Anna scantonò; e nel farlo attirò l’attenzione dell’uomo.
Alzò la mano, in un gesto di saluto.
I suoi vestiti colorati erano troppo larghi. Le misero addosso una strana allegria. Da vicino, il leone pareva un bestione del tutto innocuo.
“Lo porta in giro così, senza guinzaglio?” chiese.
“Zazà è buonissimo, stia tranquilla… Non ama sentirsi legato” spiegò lui, come se fosse la cosa più naturale del mondo. “Lei lavora qui?”
Indicava l’ospedale con la testa, perché teneva entrambe le mani affondate nelle tasche. Anna accennò di sì.
“Sto cercando una persona. Un amico.”
“In quale reparto è ricoverato?”
“Speravo me lo dicesse lei. Si chiama Gringo.”
“Non saprei… Che cosa gli è successo?”
“È caduto dal trapezio.”
“Lei lavora in un circo?”
Il giovane assunse di colpo un’espressione triste.
“Ci lavoravamo, io e Zazà. Ma adesso…”
Si strinse nelle spalle, come per dire che era acqua passata. Poi la sua faccia tornò ad illuminarsi.
“Ha mai lavorato in un circo?”
Anna si mise a ridere. “Un circo! Ma che dice!”
“È un posto incredibile!” fece lui, con aria sognante. Allargò le braccia, come per stringerci dentro tutto il mondo. “Pieno di poesia, di speranza… Ognuno può essere felice, non importa cosa è successo prima… Si prende un nuovo nome, e via!”
Batté le mani, e Anna si mise a ridere. Non ci poteva fare niente, quel tipo le metteva una grande allegria.
“Lei potrebbe essere uno splendido clown” continuò lui. Poi, visto che era arrossita, insistette. “No, sul serio! Aspetti un momento…”
Presa dalla tasca una scatoletta di bianco per il viso e cominciò a truccarla, poi, con una matita nera e un po’ di rossetto, completò l’opera.
Anna si sentiva stranamente a suo agio.
“Allora? Come sto?” chiese, cercando attorno qualcosa in cui specchiarsi.
Ma lui la fissava con la bocca spalancata, senza rispondere, così si diresse verso lo specchietto di un’auto per guardarsi.
“Ariel.”
Buster aveva un’espressione sconfitta, tristissima, sul volto di nuovo sorridente.
Accanto a lui, Zazà cominciava già a perdere consistenza. Sembrava un disegno su una tovaglia, sbiadito dai troppo lavaggi. Ruggì, ma il rumore arrivò come da lontano.
Anche Buster svaniva, lentamente, si sbiadiva, a cominciare dal suo sorriso triste.
“Ariel, che ne sarà di noi? Che ne sarà del Circo Vandelli?”
Avrebbe tanto voluto confortarlo in qualche modo, ma stava svanendo anche lei.
(A mio padre.)
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Carissima Sara, mi ci è voluto un po’ per ritornare finalmente sulla tua opera, ma il tempo che è trascorso è servito ad accumulare la giusta quantità di brividi necessari ad accompagnare la lettura. Si sono fatti sentire piano piano inizialmente, poi sempre più prepotenti, sino ad esplodere in un milione di spilli che mi hanno rivoltato la pelle. Grazie, era da tanto che non mi succedeva.
prego roberto. sono felice di averti… bucato? sì, credo, di esserne felice… XD XD
“Lassù, l’aria era immobile, come nei sogni”
Altro inchino
“Dicono che sia come saltare tanto in alto che non si riesce più a tornare indietro…”
inchino
“Centro della terra, arrivo!”
😂 👏
Brava Sara, un circo che come un cerchio di emozioni chiude il tendone. Credo che questo ultimo sia l’episodio più intimo, poetico e sognante. Mi sono emozionata. Bravissima
grazie cristiana 🙂 mi fai sentire come se ci fosse una buona ragione per alzarmi la mattina 🙂
Scoprire che lo scorso episodio non era l’ultimo mi ha rallegrato, perciò sono giunto qui ed è la fine di questo breve ma intenso viaggio. Un bellissimo finale, un po’ triste, che si ricollega all’inizio della storia, chiudendo il cerchio, aggrappandosi al trapezio. 🙂
aggrappandosi al trapezio… sì, proprio. o forse mancandolo. l’unico modo di volare davvero.
grazie della tua costanza.
Bello, molto bello. Per me non è triste, perché inizia con una fine e non poteva che tornare a quella. Ma i tre mesi di felicità sono tutti regalati. Che importanza ha il piano di esistenza nel quale si sono svolti?
Come ti dicevo, mi risuona tanto. Avevo una mezza idea, prima di leggere il tuo racconto, di continuare in un modo simile una mia miniserie. Ma ora mi tocca seguire la strada alternativa!
Complimenti. Uno sviluppo perfetto per una bella storia.
grazie giancarlo. penso esattamente la stessa cosa e tutta l’atmosfera del racconto era intesa proprio ad offrire a gringo l’esperienza della verità che aveva scelto di trascurare fino alla fine. alla fine era come avevi intuito? e aspetto comunque la tua versione…
Ciao sara, ti ricordi il mio commento precedente? Sentivo il beep beep del monitor cardiaco ed il periodico pulsare del macchinario per la ventilazione forzata. La mia intuizione era che gringo stesse, sul suo piano di realtà originario, in bilico fra la vita e la morte, in coma farmacologico, mentre su un diverso piano stesse sperimentando quella bellissima vita in cui si innamorava. Chiamalo piano onirico, o diverso piano di esistenza.
La mia versione non arriverà mai, almeno con questo finale. Ho comunque una storia diversa per la stessa serie, quindi uscirà ma non andrà come la tua. Odio arrivare secondo 😀
la aspetto ugualmente 🙂 e mi aspetto anche un avviso speciale, dato che è diversissima, una roba tipo campanaccio della mucca “dengdeng guarda che è questo!” XD
Ciao Sara, mi chiedevi un avviso speciale, ma ho notato che la storia la stai già seguendo, visto che ti è piaciuto “Nina”. DengDengDeng… la prossima puntata è di fine stagione. Non si svela tutto ma qualcosa sì… E grazie infinite per avermi letto!
Un finale triste, malinconico.
Mi è dispiaciuto davvero che alla fine il protagonista abbia perso tutto proprio quando aveva trovato almeno una cosa.
Però è stata una storia davvero molto bella!
sì, è quello che si dice un finale mimetico. cioè, rispecchia ciò che accade molto spesso nella realtà 🙂 ma penso che dipenda da come si decide di guardare ciò che accade. mi spiego: la morte è perdere la vita? oppure questo è soltanto uno dei suoi lati, e, come è stato per gringo, la sua vicinanza può permetterci di ascoltare veramente la nostra vita fino in fondo? di darle, anche se soltanto in un atto immaginativo finale, la dignità che le abbiamo tolto quando la pensavamo infinita?
quesiti per i filosofi 🙂
ok. le faremo sapere XD anche se non sono brava a commentare le cose degli altri. neanche le mie, a dirla tutta… una volta era diverso, forse perchè si era di persona, e c’era la birra… eh sì. ma appena ho un attimo mi metto a rileggere tutto con calma. grazie per il dengdeng 😉