Lupo Solitario

Ruben Rambaldi vive al limite della fascia montuosa di Lupo Solitario. Nell’Archivio Centrale non v’è traccia di lui, come fosse apparso dal nulla o fosse qui da sempre, perlomeno da quando gli antichi colonizzarono questo bizzarro pianeta errante.

Il vecchio mi invita ad avvicinarmi ad un albero con un gesto del mento. Giriamo intorno al tronco, il lato opposto è una parete liscia, manca metà dell’albero. Appoggio il palmo di una mano sul legno piatto, è morbido.

«Come fa quest’albero a sopravvivere?»

Rambaldi mi dà una manata sulla spalla, a momenti perdo l’equilibrio. Mi fissa con le iridi indaco.

«Perché pensi che non possa sopravvivere?»

Faccio un altro giro intorno alla pianta, con la mano accarezzo il tronco, briciole di muschio cadono a terra, alzo lo sguardo verso la vetta, strizzo gli occhi. Le fronde ondeggiano pacifiche sospinte dalla brezza.

«Perché è impossibile, è mezzo albero!» Annuso l’aria come un segugio.

Rambaldi appoggia la schiena al tronco umido, chiude le palpebre, sospira.

«Hai ragione ragazzo, non potrebbe esistere mezzo albero. Tu non lo vedi ma è intero, solo che la sua metà non è qui, gira dall’altro capo del cerchio e in un altro tempo. Il punto è che non importa.»

«Non capisco. Signore.»

Con un braccio mi fa cenno di seguirlo.

«Vieni con me.»

Inforchiamo un sentiero che sale ripido da dietro la baita di Rambaldi. Lui non dà alcun segno di fatica, io boccheggio in cerca d’aria ad ogni passo, è allenato il vecchio soldato. Fortuna che non c’è il mio sergente maggiore: mi farebbe marciare per un mese quello stronzo. Ridacchio in silenzio.

«Ecco, siamo arrivati.»

Lo sguardo spazia su un altopiano erboso. La luce del giorno regolata dalla A.I. si va affievolendo, stelle sconosciute schizzano veloci sopra e ai lati della cupola che racchiude come un guscio l’atmosfera di Lupo Solitario.

Piego il busto e appoggio le mani sopra le ginocchia, alzo la testa, inalo dalle narici una boccata di ossigeno ed espiro con un rantolo dalla bocca spalancata.

«Bel posto.»

Rambaldi mi fa eco.

«Bel posto.»

Silenzio, come se quelle due parole bastassero a spiegare la vita, l’universo e tutto quanto. Ci rinuncio, non per nulla Rambaldi è famoso per le sue stramberie.

Il respiro torna regolare, mi rendo conto di non aver mai visto l’effetto del viaggio di Lupo Solitario da questa prospettiva: giù in valle è impossibile vedere le stelle schizzare. Voglio dire, tutti sappiamo che il nostro pianeta vaga da un tempo indefinito a zonzo per la galassia ma sembra che nessuno ci faccia caso o si chieda il perché.

Il vecchio apre lo zaino, tira fuori un palmare olografico.

Nell’aria il dito invisibile della A.I. del device traccia un cerchio con un puntino blu che gira intorno alla circonferenza.

«Signor Rambaldi, mi sta facendo paura.»

Sorride.

«Non c’è niente di cui avere paura. Lupo Solitario orbita intorno a un loop gravitazionale. È normale, solo che non te ne sei mai reso conto.»

Spalanco gli occhi, ancora non ho la risposta sul perché il mezzo albero sia…intero. Socchiudo le labbra per obiettare ma Rambaldi mi volta le spalle e imbocca a larghe falcate il sentiero verso valle.

«Ora basta, domattina avremo del lavoro da sbrigare.»

Rambaldi stocca la legna come nessun altro nell’universo. Separa i ciocchi in rapporto a lunghezza, diametro e, soprattutto, essenza. A parità di dimensioni soppesa un pezzo prima in una mano poi nell’altra, una sorta di test di consistenza. Se il ciocco è degno, viene assegnato al mucchio coerente così “la catasta non crolla neanche fosse alta tre metri”. Soppeso un ciocco prima in una mano poi nell’altra, avvicino le narici, inalo il profumo muschiato della corteccia.

«Signor Rambaldi, cosa ne dice di questo?»

Porgo il ceppo al vecchio che brontola qualcosa da sotto l’ala del logoro copricapo militare che chiama la stupida, senza sollevare la testa dal tronco sdraiato ai suoi piedi.

«Non hai ancora imparato?»

Accarezza l’albero con il palmo della mano due volte avanti e indietro.

«Questo devo aspettare a tagliarlo, non è abbastanza secco.»

Toglie il berretto militare afferrandolo con due dita per l’aletta sfilacciata, lo appoggia sul tronco e inarca la schiena con le mani sui fianchi.

Comincio a credere che stia parlando con la quercia, invece con un guizzo punta le iridi indaco su di me.

«Ragazzo prendi una decisione.»

«Sissignore.»

Do un’ultima occhiata al ciocco e lo lancio sui faggi medi.

Rambaldi segue la traiettoria con gli occhi. Un tonfo sordo arriva dal mucchio prescelto. Il vecchio si china, raccoglie la stupida e se la rimette in testa.

«Vai subito a recuperarlo e portalo qui.»

In un batter d’occhio sono di nuovo con il pezzo di faggio tra le mani, ad un passo da Rambaldi.

«Sei sicuro di aver fatto la scelta giusta? Guarda qua.»

Arriccia il naso, tamburella l’indice sopra una crepa nera che taglia in senso longitudinale il ciocco.

«Hai avuto tutto il tempo per analizzarlo e quando si è trattato di prendere una decisione hai agito senza osservare veramente. Sottovaluti i dettagli. Questa crepa è marcia. Spezza il ciocco in due, getta ciascuna metà sul proprio mucchio. Vedrai che ognuna guarirà la propria ferita in modo identico all’altra. Senza saperlo. Hai capito?»

Mi da due colpetti sul bicipite col dito nodoso come uno dei rami rimasti attaccati alla quercia. Annuisco senza fiatare anche se non ho capito una mazza della questione della ferita e soprattutto non riesco a trovare una relazione con l’albero a metà.

Con un gesto del mento Rambaldi mi invita ad avvicinarmi al tronco sdraiato a terra.

«Ti mostro una cosa.»

Ribalta il tronco, al lato opposto c’è una parete liscia, manca metà dell’albero.

«Hai capito ora?»

Mi fulmina con quelle iridi inquietanti.

«Rilassati, hai ragione ragazzo, non potrebbe esistere mezzo albero. Tu non lo vedi ma è intero, solo che la sua metà non è qui, gira dall’altro capo del cerchio e in un altro tempo.»

Ho paura di quello che sta per dire.

«Tu credi che esista qualcosa, o qualcuno, intero sullo stesso lato del cerchio, nello stesso tempo?»

Fa una lunga pausa.

«Il punto è…non importa.»

Avete messo Mi Piace3 apprezzamentiPubblicato in Sci-Fi

Discussioni

  1. Che viaggio! Un bel racconto, all’inizio un po’ contorto, poi piano piano mi sono fatto un’idea. Chissà se dall’altra parte del cerchio l’altra mia metà è della stessa opinione!

  2. Benvenuta Clara, arrivata come una meteora con una interessantissima fantastoria, tra l’altro, e non è proprio poco, scritta veramente bene. Il tuo albero a metà mi sta dando molti spunti di riflessione, non ci dormirò stanotte? Qui mi hai stesa: «Rilassati, hai ragione ragazzo, non potrebbe esistere mezzo albero. Tu non lo vedi ma è intero, solo che la sua metà non è qui, gira dall’altro capo del cerchio e in un altro tempo.» Bravissima!

    1. Adesso mi sento in colpa per la tua notte insonne 😉 Già, quel mezzo albero intero non ha fatto dormire neppure me per diverse notti, ero come in un…loop. Buone riflessioni! Grazie mille.

  3. Ottimo battesimo: scrivere fantascienza è tutt’altro che facile. Mi è piaciuto moltissimo l’omaggio a Rambaldi che fa da fulcro all’intero racconto: forse il mezzo albero non è che “un’effetto speciale” ma “il punto è che non importa”. Ci piace.

    1. Grazie Micol! Ehh si la fantascienza, quella che piace a me, cioè quella speculativa, le ucronie (non i mostri venuti dallo spazio…) è difficilissima, ma non riesco a farne a meno. Questo breve racconto si presta a molte interpretazioni ed è giusto che sia così, ‘aperto’ alla mente del lettore (dirò solo che ho preso spunto da alcuni concetti della Fisica).

  4. Certo Clara. Per le “paroline”” no, non mi riferivo al berretto, il cui termine gergale conosco senza dubbio.

    Resta comunque il mio solo un consiglio, da puro lettore. Mi sembra che a livello di scrittura tu di suggerimenti proprio non ne abbia bisogno.

    Con l’occasione, se posso, ti confido che sarei onorato di ricevere una tua lettura. Con tutti i consigli che ritieni necessari.

    Reputo che un buon suggerimento valga più di un “volemose bene”. Perdona la mia romanità ma ha il gran pregio di sfrondare qualsiasi discorso della retorica. O di fornirgliela, e alla grande.

    Ancora complimenti.

    1. Beh, c’è sempre bisogno di suggerimenti se si vuole migliorare ed io ne ho bisogno eccome!
      Per la lettura dei tuoi scritti, certo volentieri! Prossimi giorni ho intenzione di ambientarmi meglio qui.

  5. Ciao Clara, benvenuta. Bello e convincente questo tuo primo racconto pubblicato qui, spero che vorrai continuare. Mi è piaciuto sia come idea, sia come padronanza di linguaggio, sia come svolgimento….spiraliforme. La tecnica dello stoccaggio della legna, poi, l’ho davvero adorata. Brava !

    1. Ma grazie! Io spero di non tediarvi con la mia fissa per la Fantascienza 😉 Non mi sono ancora ambientata sulla piattaforma, inizierò anche a leggere un po’ di racconti. Amo in particolare i racconti brevi. Grazie ancora 🙂

  6. Non so chi tu sia. Come tu non sai chi sia io.
    Il punto è… non importa.

    Brava, brava. Cento volte brava. Convincente dimostrazione di scrittura bella, solida eppure elegante, sciorinata con padronanza di stile.

    Finalmente qualcuno che torna a scrivere racconti, senza nessuna ideologia da affibbiarci, senza alcuna dietrologia. La nostra passione deve essere quella di raccontare storie. Ed eccone una che sembra saltata fuori da un nulla quasi virtuale.

    Un nulla che sorprende.

    In merito al contenuto che dire, magnifico: fa riflettere. Tante tante considerazioni.

    Mi permetto un solo consiglio, con la massima umiltà: con una scrittura così bella eviterei quelle due/tre parole colorite. Non che io sia contrario a tutti i costi: ma qui non rendono, secondo me.

    Piaciuto moltissimo.

    1. Grazie mille! Beh sono solo una cresciuta a pane e Fantascienza e scrivo solo quella ahahah. Per quanto riguarda le parole colorite ti ringrazio molto per il suggerimento, hai ragione ( la ‘stupida’ però è un berretto militare …) . Grazie ancora