L’uscita

Serie: Il labirinto


NELLA PUNTATA PRECEDENTE: Di una follia

28. UNA SENTENZA

“Ognuno ha la sua verità – pensò Karl- l’amore permette di scoprirla”.

29. UN’ALTRA SENTENZA

“Una direzione vale l’altra –pensò ancora Karl- Tanto vale allora che prenda la mia”.

30. IL FIGLIO

«E tuo figlio?» gli chiese l’amico, ammiccando alla stanzetta in cui Karl ora viveva. Non approvava quell’eremitaggio che aveva cambiato in modo radicale la sua esistenza «Così fai pagare un prezzo anche a lui» concluse con tono di rimprovero. Karl lo guardò senza espressione: «Se un giorno mio figlio saprà scegliere» disse «sarà stato magari an-che per questo». Poi continuò: «O forse sarà un coniglio e avrà paura anche della sua ombra. Ma Vedi» e scosse impercettibilmente la testa «il futuro non è in mano nostra. Ci illudiamo se pensiamo di poterlo ipotecare. Verso un figlio abbiamo un unico dovere, quello di consegnargli i nostri sforzi e i no-stri errori, perché ne faccia quel che vuole».

31. IL COLLEGA

Il collega sedeva qualche poltrona più in là. Karl stava già prendendo posto, quando lo riconobbe. Scomodò allora un paio di spettatori e, senza dire una parola, gli si piazzò a fianco. Aveva la barba incolta e l’aria insonnolita, un aspetto casalingo che non gli conosceva, per quanto nello scollo del pullover spiccasse la cravatta. Sarà stato per il gusto che a volte lo prendeva di misurarsi con lui, così lontano dai suoi usi un po’ straccioni, sarà stato per questo che non era sgattaiolato in un’al-tra fila, ma gli si era seduto accanto. Quando quel-lo lo notò, fu un crepitare di saluti. Poi, mentre sul-lo schermo scorrevano gli spot pubblicitari, si affacciarono le prime avvisaglie di una conversazione. L’altro era più loquace. Karl era soddisfatto però della propria laconicità. Una strana tranquillità gli permetteva di scegliere tra la parola e il silenzio, con una sicurezza nuova. “Sto imparando a tacere”, si compiacque. Lo spettacolo intanto tar-dava a cominciare e i discorsi dell’altro si facevano più pressanti. Era lui l’ansioso che, per scongiura-re l’imbarazzo, dava fondo alle chiacchiere, ed era davvero sorprendente. «Cosa hai fatto quest’esta-te?» si sentì chiedere. “Cosa ho fatto quest’estate?”, si stupì Karl, incredulo che quello gli facesse una simile domanda in un cinema, un giorno d’inverno, dopo le centinaia d’ore, le matti-nate intere passate in ufficio spalla a spalla. «Cosa ho fatto quest’estate?» ripeté a voce alta in tono garbato. E si girò verso il collega. Gli occhi di lui erano dilatati dietro i grossi occhiali, le guance tira-te in un sorriso artefatto, tutto il viso deformato da un’espressione che non aveva alcun nesso con le sue parole.

32. LA LETTERA

Scrisse, infine, ma sotto il torchio di impulsi incontrollati, come quello di tornare e ritornare sulle righe a ingrossare i gambi delle l o le zampette delle a. Finché non decise di essere più forte delle sue ossessioni e di uscire allo scoperto. Traversò allora uno ad uno gli ostacoli invisibili che gli si paravano davanti e arrivò alla fine senza altri indugi. Ripiegò il foglio, lo mise in busta e lo spedì.

Lei lo lesse. Molto ci vide. Non però la mano che era andata dritta per la sua strada, saltando le trappole che essa stessa aveva seminato. Non la prova più ardua di cui lui era stato capace, testimoniata non da ciò che era nella lettera, ma da quello che mancava.

33. IL VIAGGIO

Aveva creduto che lei appartenesse al silenzio dei monti. Da molti chilometri il treno percorreva invece una terra piatta dalle tinte scialbe, dove il succedersi di capannoni e case rivelava una diffusa operosità. Il primo mattino stendeva sui boschi una foschia luminosa e uno sfaldarsi di nubi scopriva lembi di cielo biancastro. L’orologio indicava che la città era vicina.

34. L’EPILOGO

S’era ritirato in un angolo della sala: lei in pista a ballare ad occhi chiusi e lui a osservarla da lontano, senza il coraggio di gettarsi nella mischia. A casa, poi, la cerchia degli amici, lei libera e leggera nelle risa, a suo agio con tutti e lui che provava a starle dietro, balbettando monosillabi insulsi. Fin-ché, finita la serata, non era arrivata la sentenza, quando era stato invitato a sistemarsi altrove per la notte.

Era stata quella fine inesorabile a dargli la forza il giorno dopo, allorché era tornato alla carica e, so-lido e sicuro, l’aveva presa tra le braccia. «Sei di-verso da ieri» aveva detto lei stupita. Tanto da farlo dubitare che la sua fosse stata davvero una sconfitta.

35. IL RITORNO

Lo stesso tragitto in senso inverso. Il treno attraversava nuovamente i villaggi e le campagne di due giorni prima. Ma ogni sussulto di rotaia, adesso, lo allontanava da lei, dalla sua prova. Allora non ci furono più dubbi. Stavolta non c’era da giostrare tra mezze verità, stavolta era evidente. Chiaro il volo tentato e chiara la caduta e la desolazione intorno a lui, che si allargava come un cerchio.

36. LA CONGIUNZIONE

Karl tornò alla sua stanza, al suo lavoro, alle cose di sempre. Eppure qualcosa era cambiato. Lui per primo non sapeva spiegare come fosse accaduto. Era come, però, se nessun vicolo fosse più cieco. Non poteva più abbandonarsi allo sconforto, senza vedere in fondo al tunnel una luce. Nella dispera-zione più profonda riconosceva la voce spezzata della speranza, nella pena della solitudine il volto perduto dell’amore e nel più squallido abbandono la bellezza impallidita che altrove lo aveva abba-gliato.

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Discussioni

  1. “«Sei di-verso da ieri» aveva detto lei stupita. Tanto da farlo dubitare che la sua fosse stata davvero una sconfitta”
    … e forse non lo era stata, una sconfitta. Ma c’è chi si deve sentire sconfitto. Comunque vada.