Maestoso andante
L’appartamento si è fatto troppo grande per te.
Per questa sua caratteristica è stato scelto: ovunque gli occhi si voltassero incontravano un’ampia finestra e uno scorcio di cielo. Il corridoio dà sullo studio rivestito in carta da parati verde scuro. È la stanza più grande dell’appartamento. Qui hai trascorso gran parte dei tuoi pomeriggi e dei tuoi anni.
Disteso sul divano in pelle fumavi pigramente, portando la mano alla bocca come per sbadigliare. Il fumo azzurrino saliva contorcendosi su sé stesso per poi dissolversi nel cielo contornato dalle tendine bianche. Dalle tue spalle provenivano le note del pianoforte.
Era quasi sempre Schumann, Beethoven nei pomeriggi più allegri.
Preferivi la Marcia Funebre.
Chiudevi gli occhi e aspiravi, e nel tepore estivo il sole brillava anche al di sotto delle tue palpebre. Le note cadevano come fili d’inchiostro nella brocca d’acqua sul tavolino.
Riapri gli occhi. Dal lato opposto dell’appartamento i rintocchi dell’orologio a pendolo giungono attutiti. Ti metti a sedere. La sigaretta che hai in mano si è consumata, allarghi le dita e la lasci cadere. Ti alzi e stiri le braccia portandole sopra la testa. Attento a non urtare con le caviglie le bottiglie mezze vuote sparse sul pavimento, ti avvicini alla balconata.
È una giornata grigia. Attraverso i vetri incrostati il cielo si tinge di giallo con chiazze rosse e nere incollate sulle nuvole. Ti piaceva stare a guardare le rondini. Ne sceglievi una e cercavi di non perdere di vista le sue acrobazie sui tetti.
Hai voglia di un’altra sigaretta. Porti le dita alla tasca della camicia stropicciata ma l’unghia urta un oggetto lungo e freddo. È la chiave del pianoforte. Lasci ricadere il braccio e stringi il pugno. Fumerai più tardi. Agiti l’altra mano nell’aria per afferrare il collo di una bottiglia non ancora terminata.
L’orologio batte di nuovo. Lei lo desiderava. Diceva che il legno scuro si abbinava al pianoforte.
I rintocchi sono pesanti come una marcia funebre.
Ripetevi che ti sarebbe piaciuto imparare a suonare e lei ti promise che appena dimessa dall’ospedale ti avrebbe dato delle lezioni. Allora avreste suonato Beethoven ogni pomeriggio, per tutti gli anni che avevate davanti.
Ti avvicini alla porta. Smuovi dei fogli sparsi sul pavimento. Ne raccogli uno. Degli spartiti a quattro mani, sei stato tu a comprarli, tre anni fa.
È come se una fune si facesse sempre più stretta attorno alla tua gola.
Sulla carta si allargano dei cerchietti d’acqua. Non emetti alcun suono.
Avete messo Mi Piace2 apprezzamentiPubblicato in Narrativa
Ciao. :-)Il testo è ben scritto e quindi piacevole alla lettura… non alla vita però. Che ne dici di lasciare alcuni spazi tra un paragrafo all’altro? Così sarebbe anche un piacere per gli occhi leggerti. 🙂