Marcus e Greta

Serie: Considerazioni disilluse di uno scrittore dimenticato


NELLA PUNTATA PRECEDENTE: Nelle sue tortuose considerazioni, il nostro scrittore è sempre avvinto dai ricordi: dai contrasti latenti nei colori delle due camere, agli uccellini di carta della zia Clorinda, sino al triangolo delle Bermuda della sua interiorità, che considera una sua geometria della maledizione.

Cercavo di adattarmi a quella particolare fase, accorgendomi che qualcosa dentro di me stava cambiando in modo irreversibile. Il rapporto con il pensiero e l’immaginazione, per esempio, che costituiva uno dei miei principali motivi di scoraggiamento e apprensione. Temevo, da un po’ di tempo, di non riuscire più a immaginare, ma solo di illudermi di farlo, come se i miei pensieri non fossero l’unico sbocco per l’immaginazione, e questo anche per colpa delle lezioni private impartite dal terribile professor Hans, che influivano negativamente sui miei ingranaggi.

Il professor Hans aveva due nipoti: Marcus, della mia stessa età, e Greta, sua sorella, di due anni più piccola. I ragazzi per un periodo si trasferirono da lui e durante le mie lezioni ogni tanto entravano nello studio dello zio per prendere una matita, dei fogli, o solo per curiosare e scoprire chi fossi – si trattava di un pretesto, come seppi più avanti. Un pomeriggio il professor Hans decise di presentarmeli. Nella sua casa antica, dalle camere immense, piene di ombre e di echi, Marcus si annoiava mortalmente, non avendo amici. Così ci conoscemmo e ci studiammo a vicenda,  per valutare se fosse il caso di cominciare un’amicizia, quanto meno un minimo allineamento, mentre con sua sorella fu tutto più difficile: era scostante, accidiosa, attraversata da una malinconia perenne; sembrava una creatura velata, impenetrabile, ma anche una di quelle che maggiormente mi appassionavano nella costruzione dei miei personaggi. Quando cominciai a frequentare Marcus, che aveva preso l’abitudine di accompagnarmi a casa dopo le lezioni, gli domandavo di Greta. 

«È scostante, misteriosa – » mi diceva  «ama starsene per conto suo. È fatta così.» In realtà anche io ero fatto così, come confidai a Marcus, ma non a tal punto da chiudermi e non rivolgere la parola a una persona che mi veniva presentata. Lui sorrise e mi chiese con scaltrezza se fumavo. Gli risposi di no e quando lo vidi estrarre dalla tasca un pacchetto di sigarette francesi e un accendino giallo, ebbi una sensazione strana, come se mi trovassi davanti a una persona grandiosa e affascinante, rispetto a quella che conoscevo. Mi disse di tenere l’acqua in bocca, che lo zio Hans  e sua sorella Greta non sapevano che lui fumasse. Glielo promisi, tendendogli la mano destra, che lui mi rifiutò. Tirata una boccata, mi trascinò in alcuni negozietti del centro. Uno di dischi, un altro di camicie e una fumetteria. Marcus era appassionato di fumetti horror, sua sorella di musica. 

«Comprale un disco, e vedrai che la farai felice» mi disse, fumandomi addosso, quando eravamo nei pressi di un negozio di dischi dal nome Luxor. Io non conoscevo i gusti di Greta. Farle un regalo, così, di punto in bianco, senza averle mai parlato, non mi sembrava opportuno, ma lui mi incoraggiò, dicendomi che domani ricorreva il suo compleanno. Greta compiva quattordici anni. 

«Pensaci. Potrebbe essere un’opportunità per colpirla» mi fece, e poi avanzò, lasciandomi davanti alla vetrina, senza un soldo in tasca, ma anche parecchio attratto e turbato dall’idea di colpire Greta con un regalo musicale  indovinato. 

Il giorno del compleanno di Greta, pur non avendo lezione, salii ugualmente a casa del professor Hans, come concordato con Marcus. Speravo mi accompagnasse al negozio di dischi e mi consigliasse il genere e l’artista adatto che potesse fare al caso di Greta e che la colpisse. Avevo portato con me i soldi necessari, stavolta. Marcus mi pregò di aspettarlo. Nella casa non c’era nessuno. Avvertii un silenzio diverso, quando lo vidi svanire nelle ombre, chiudersi in una camera da cui affiorarono delle voci cupe, sibilanti, come di streghe. Forse lì dentro c’era sua sorella o era solo la radio… – e finalmente immaginai, come non mi accadeva da tempo: come avrebbe festeggiato il suo compleanno, che avrebbero organizzato in serata e dove avrebbero suonato il disco che le avrei regalato, non appena Marcus sarebbe uscito dalla camera per sostenermi durante l’acquisto… ma mentre attendevo il suo arrivo, si aprì la porta dello studio e mi comparve il professor Hans, con un’aria funesta, visibilmente contrariato di trovarmi lì,  da solo, nella penombra dell’ingresso, in un giorno che non era di lezione. 

Mi si avvicinò minaccioso, senza parlare, a occhi sbarrati, in attesa che gli dessi una spiegazione, ma io non trovavo le parole per spiegarmi, così come non trovavo quelle da scrivere, quando i pensieri mi impedivano la traiettoria dell’abbandono alla fede dell’immaginazione, ma intanto lui avanzava, col suo odore di tabacco e di muschio bianco, dicendomi: 

«Dovresti essere a casa a studiare, a quest’ora. Lo capisci che la mia è una responsabilità nei confronti di tuo padre? È un fatto molto grave! Vorrei che i tuoi progressi siano fulminei, come tuo padre desidera. Non voglio che ti accontenti del minimo, di quel tanto. Io non seguo allievi che si accontentino del minimo, ma il fatto che tu oggi sia qui e non a casa tua, è una riprova che non hai affatto compreso l’entità del sacrificio che ti spetta e neanche la qualità del sacrificio a cui devi necessariamente consacrarti. Anche i miei nipoti, allo stesso modo, sono perennemente distratti, lontani dall’idea della disciplina che ho pianificato per entrambi, per la loro evoluzione. Stanno sempre in un mondo loro, immaginario, soprattutto Greta, che adesso ha preso la smania di scrivere. L’ho beccata la settimana scorsa, a mezzanotte inoltrata, che si accecava, tutta curva, su di un quadernino elementare. Speravo stesse studiando, invece, nell’avvicinarmi, mi sono accorto che stava scrivendo un racconto breve. “Il pavone nero”. Una follia. Una ragazza di quattordici anni che scrive un racconto del genere deve nascondere qualcosa di tremendo. Qualsiasi altro colore per un pavone. L’azzurro, per esempio, con tutte le sue varianti, come anche il bianco avorio, il rosso, il blu oltremare, il verde smeraldo o il rosa antico. Aveva tante possibilità per il suo titolo. Qualsiasi altro colore non mi avrebbe destato simili perplessità, ma non il nero, capisci? Mi stai ascoltando? Perché adesso non mi guardi? Allora, ragazzo? Che cosa ho detto?»

Serie: Considerazioni disilluse di uno scrittore dimenticato


Avete messo Mi Piace3 apprezzamentiPubblicato in Narrativa

Discussioni

  1. L’incontro con i due fratelli conferisce azione alla storia. Il protagonista si stacca dalla scrittura e vive una parvenza di ‘vita normale’. L’uscita per negozietti da respiro al lettore e mi sono chiesta se fosse una svolta alla vicenda, come nei buoni romanzi di formazione. Il finale, però mi spiazza e mi rimette al mio posto. L’incedere del professore è terribile e la discriminazione del colore nero assolutamente priva di senso e tuttavia carica di profondo significato.

    1. La singolarità di questa serie è nel suo filtro: Considerazioni disilluse. Ecco perché anche io avverto un senso di vertigine quando devo scavalcare il parapetto di quel certo ordine precostituito di resoconto biografico da cui ero partito, per affacciarmi nell’impermanenza dei fatti, delle situazioni e delle persone che hanno costellato il suo processo di iniziazione nella ricerca di una sua voce e quindi di una sua libertà, che finisce per rivelarsi una sublime prigionia, “un carcere incantato” – citando Alfonso Gatto. La presenza dell’aria nella storia, che tu hai avvertito con la tua sensibilità in questa passeggiata semplice, ma a suo modo iniziatica, con Marcus, è il segno di questo costante soffocamento del personaggio, recluso nella sua ricerca spasmodica, che non gli dà il tempo di gustare la profondità e la bellezza del reale che gli passa accanto, semmai. Ben diverso il rapporto che ha Greta col suo immaginario.
      Il professore Hans, a sua volta, ha il terrore che sua nipote riesca a immaginare e a trascrivere l’invisibilità di un suo universo parallelo, per abbandonarsi alla stessa sottomissione/maledizione e agli stessi fantasmi che costellano l’interiorità del nostro protagonista. La sua rigidità e la riprova, e forse il giusto confine, o solco interpoderale, tra i due livelli dimensionali che i ragazzi cercano a tutti i costi di scavalcare attraverso le proprie parole, senza accorgersi di paventare un abisso ancora peggiore.

  2. Interessante questa Greta! (Che mi ha subito fatto pensare, insieme a suo fratello, ai famosi Hänsel e Gretel ). Anche lei ama scrivere e anche lei ha scelto il colore nero, come la camera nera scritta dal protagonista. Ora sono curiosa!

    1. In effetti Greta mi risuona come un personaggio controverso, fitto di nodi, di ombre, di mistero, ma anche di svolte improvvise e di potenzialità. Gli uccelli dei suoi racconti sono tutti neri, come una delle due camere. Ottima osservazione. Bello anche il tuo richiamo alla fiaba. In modo del tutto istintivo ho chiamato suo zio Hans, pensa… Un saluto e grazie della tua visita.

    1. Sì, Giuseppe. Questa zona va ad affiancarsi alle considerazioni come materia viva di quel periodo di formazione, una sorta di espansione o controluce di ciò che accadeva nella vita del protagonista al di là della sua immaginazione. È uno snodo che potrebbe comportarne altri, o restare comunque a costellare il suo percorso in un contrappunto discreto, come tratteggio di una dimensione collocata in un strato più esterno della sua entità e postazione narrativa: quella della relazione e del confronto con la realtà tangibile in contrapposizione all’isolamento del suo mondo espressivo, tenuto segreto. Mi piacerebbe che le due linee in qualche modo si intersecassero e si fondessero. Valuterò in corso d’opera la traiettoria più opportuna e stimolante. Grazie della tua attenzione.

  3. Molto interessanti e intriganti questi due nuovi personaggi. Di Marcus ho avvertito il fascino, ma anche il pericolo che la sua influenza potrà avere sul protagonista. Mi ha attirato il mistero avvolto intorno al personaggio di Greta, e il parallelo per cui il protagonista grazie a lei torna a immaginare, mentre lei, inizia a scrivere questo racconto. Il colore del pavone, tra l’altro, è nero come la camera…seguito con la lettura per vedere che accade…

    1. Ci sono diverse corrispondenze in questi primi tasselli che mi fanno pensare, inevitabilmente, anche attraverso le tue parole, alla presenza di un doppio.
      Le due camere. La luce e l’ombra. I contrasti dei colori con le loro dinamiche e influenze, fino alla camera del Castello di Chenonceaux, specchiata nell’acqua dove lo scrittore immagina la residenza immaginaria della zia Clorinda. Marcus e Greta li vedo, allo stesso modo, come due corrispondenze biunivoche di un’unita emozionale disgiunta, se non deflagrata da un trauma, come può esserlo la rottura del silenzio prima della parola, del segno, del suono, che nello sguardo del protagonista lasciano affiorare i suoi lati oscuri di conflitto, di perdita fino al desiderio spasmodico di immaginare a oltranza, senza confini, dove si ripone anche il maggior pericolo. Per queste ragioni il parallelo di cui mi parli nel tuo commento lo trovo molto pertinente, così il binomio fascino e pericolo, tutti elementi attrattori che costellano le varie camere della sequenza, dove lo scrittore cerca disperatamente un compromesso di sopravvivenza ed equilibrio tra i vari livelli dimensionali, e caotici, di realtà che lo abitano – a volte lo disabitano e lo perseguitano. Grazie ancora di questi stimoli pieni di affluenti, che il tuo ascolto sensibile mi offre. Buona scrittura e a presto.