Marisa

Serie: Desideri


NELLA PUNTATA PRECEDENTE: .

Mi chiamo Marisa. Sessantadue anni. Sarta da sempre. Ogni mattina prendo il treno delle 9:02 che dalla periferia mi porta in centro, dove lavoro in un atelier di abiti da sposa. Taglio, cucio, ascolto le ragazze parlare di corpetti, pizzi e lune di miele. E mi domando quando ho smesso di sentirmi viva.

Lunedì.

È salito sul treno alla fermata di Porta Romana. Alto, magro, bello in modo sfrontato. Avrà avuto trent’anni. Si è seduto proprio davanti a me. Jeans scuri, giubbotto sbottonato, il collo nudo, un profumo che pizzicava il naso. Mi ha guardata. Non con volgarità. Ma con intensità. Come se mi stesse vedendo davvero.

Ho distolto lo sguardo. Poi ho pensato di avere qualcosa sul viso. Mi sono toccata il mento. Niente. Ma quel suo sguardo mi ha seguito per tutto il giorno, come una febbre leggera che scalda la pelle.

Martedì.

Non ho dormito bene. Mi sono rigirata nel letto fino a tardi. Ho pensato a lui, ai suoi occhi, alla bocca, al corpo. Mi sono toccata sotto le lenzuola. Era da anni che non lo facevo. Avevo dimenticato quanto fosse mio, il mio corpo. È stato come svegliarlo: un fremito, un piacere che avevo sepolto sotto strati di vergogna, abitudine e fatica.

Mi sono alzata, sono andata in bagno, ho acceso la luce e mi sono guardata allo specchio.

C’erano le rughe, sì. Le macchie sulla pelle. Il seno calato, i fianchi larghi. Ma c’era anche altro. Una carne ancora viva, una presenza. Ho sollevato la camicia da notte. Il ventre è morbido, segnato da pasti frettolosi e da un figlio che non chiama mai. Le cosce sono rilassate, ma ancora forti. Le ho accarezzate con le mani aperte, senza fretta.

Mi sono guardata come non facevo da tempo. Non con disprezzo. Né con pietà. Ma con curiosità. E con un filo di desiderio.

Mercoledì.

Prima di uscire ho scelto una camicia diversa. Blu, scollata quel tanto che basta a lasciar intravedere il seno. Ho sciolto i capelli, li ho lasciati asciugare all’aria. Un filo di rossetto. In atelier le ragazze mi hanno chiesto se avessi un appuntamento. Ho sorriso. Non ho risposto.

Sul treno lui c’era. Mi ha guardata ancora. Ma stavolta ha sorriso. Lentamente, come si sorride a chi si aspetta qualcosa. E io ho ricambiato solo con gli occhi. Un’increspatura leggera delle labbra, come una promessa.

Per tutto il giorno ho avuto il corpo in fiamme. Ogni volta che cucivo un corpetto stretto, pensavo alle sue mani. Sui fianchi, sui seni, tra le cosce. Il corpo ricordava prima della mente.

Giovedì.

Era già seduto quando sono salita. Quando l’ho incrociato con lo sguardo, ha fatto un cenno con il mento. Un gesto piccolo, ma carico di intenzione. Mi sono seduta accanto. Non ha parlato. Ha solo allungato la gamba, toccando la mia.

Non l’ho spostata.

Il contatto era lieve, ma bastava. Il calore ha iniziato a salirmi tra le gambe. Lui taceva, ma quel gesto diceva tutto. Il linguaggio segreto del desiderio non ha bisogno di parole.

Venerdì.

Ho passato la notte a guardarmi allo specchio. Ho sistemato le sopracciglia. Messo uno smalto rosso scuro. Provato un paio di calze autoreggenti dimenticate in fondo a un cassetto. Non pensavo mi donassero ancora. Invece sì. Il mio corpo non è più quello di una ragazza. Ma non è morto. È vivo, caldo, pieno.

Ho capito che non è il tempo a spegnere il desiderio. Siamo noi. Le abitudini, la rassegnazione, l’idea che l’erotismo abbia una data di scadenza. Ma non è così.

Sul treno lui si è avvicinato e mi ha sussurrato:

«Ti guardo da giorni. Sai di essere bellissima?»

Ho riso. Ho abbassato lo sguardo.

«Sei un bugiardo.»

«No. Sono sincero. E tu mi fai impazzire.»

Avrei voluto toccarlo. Avrei voluto che mi portasse via. Ma ho resistito. Era tutto perfetto così: il desiderio sospeso, l’attesa che vibra sotto la pelle.

Sabato.

Ho indossato il mio vestito migliore. Ho chiesto alla vicina di casa di sistemarmi i capelli. Mi ha anche truccata meglio di come so fare io.

Ho preso un treno diverso. Direzione Romagna. Il mio paese d’origine. Non ci tornavo da mesi. La stazione era la stessa di sempre: piccola, silenziosa, con quell’odore di ferro e campagna mescolati insieme.

Sergio mi aspettava sul marciapiede. Era invecchiato bene. Capelli grigi, occhi chiari. Un amore d’infanzia. Una storia mai davvero cominciata. Ma sempre rimasta lì, sospesa.

Mi ha abbracciata. Un abbraccio lungo. Forse un po’ più del dovuto. Il suo corpo contro il mio. Il calore, la pressione. E un segno inequivocabile della sua eccitazione, duro contro il mio ventre.

Ho chiuso gli occhi. Ho sorriso.

Non so se lunedì tornerò in atelier. Non so se rivedrò lo sconosciuto della metro.

Ma so che non sono più la donna spenta di lunedì.

Ho capito che il desiderio non ha età.

E che il corpo, se ascoltato, sa ancora parlare.

Serie: Desideri


Avete messo Mi Piace1 apprezzamentiPubblicato in Narrativa

Discussioni

  1. Wow! Potere di uno sguardo intenso capace di vedere davvero e di comunicare senza tante parole. Quasi magico, direi, da risuscitare i sensi addormentati di una donna agé.
    Ho letto con grande curiosità, immaginando che non sarebbe stato un finale scontato. Bello.

  2. Talvolta ci scordiamo che mente e corpo si intrecciano tra loro, si chiamano, si sostengono e quasi in sordina si risvegliano insieme. Il tuo bel racconto ha descritto bene quelle sensazioni, richiami e successivi sviluppi. Pareva di star lì ad osservare garbatamente discosti.