Musica, girasoli, morte
Le corde del violino intonavano note che toccavano il cuore di chi ascoltava. L’archetto strofinava sullo strumento con leggerezza e sintonia. Le mani dell’esecutrice si mostravano pallide e callose. Le braccia magre e tremanti, ricoperte di macchie e crepe. Il collo ormai caduto. Il volto ruvido ma lindo, mostrava fiero i suoi anni trascorsi. Clorinda non riusciva a smettere di suonare quel brano. La pioggia fuori il piccolo teatro tamburellava il ritmo sul tetto e le pareti dell’edificio. Come un metronomo naturale guidava la donna nella sua performance. Il pubblico in silenzio si faceva invadere il corpo da quelle note, quelle sette note combinate in mille modi non da leggi logiche ma del tutto irrazionali. La signora in prima fila estasiata chiudeva gli occhi e immaginava i tempi passati con i suoi figli. Il signore accanto quasi piangeva, poiché quella maledetta melodia lo trasportava in un mondo incontrollabile, di emozioni vorticose e ricordi in cui presente era la sua amata, ormai defunta da qualche mese. Il bambino accanto non ricordava nulla, voleva giocare, ma era paralizzato dalla musica, che non chiedendosi nemmeno il perché, lo attirava: avrebbe anche egli voluto esprimere non si sa che cosa con quello strumento di legno e corde. Clorinda vibrava assieme allo strumento. Il sorriso non le si poteva cancellare. Un sorriso involontario indotto dalla felicità incondizionata che solo la musica può conferire. Quante emozioni diverse scaturisce un solo componimento! Quella musica la rendeva potente, più di Dio. Aveva capito il senso della musica. Un senso del tutto umano. Il biglietto per assistere a un suo concerto non si pagava, ma il pienone negli spalti non era dettato da questo. Era amata. La sua musica era pura incoscienza, emozione e sentimento. La gente necessitava di così tanta purezza. Apprezzare per qualche momento la sua musica voleva dire dimenticare le paure per poco tempo, che tuttavia si percepiva come infinito. Una nota per nemmeno metà tocco di un metronomo equivaleva a cento tocchi di cuore. La musica rende liberi, questa frase era appesa all’entrata del teatro, e nessuno poteva non condividerla. Liberi dalle paure, certo, ma forse non dalla più grande.
“Brava è brava” ammetteva un giovane tra il pubblico.
“Certo, declinato al superlativo!” entusiasta la donna sconosciuta accanto a lui.
“Vuole sapere il suo segreto? Non ha paura di niente, è libera come una bestia!” continuava l’anziana.
“Come una bestia?” chiedeva incuriosito il ragazzo.
“Libera, libera come una bestia! Sa, le bestie non hanno preoccupazioni umane, non pensano. Unica preoccupazione? Non morire. Immagini essere come loro, anzi forse meglio di loro!”
“Ma siamo meglio noi umani!”
“Siamo meglio noi umani!” derideva la signora.
“Non è vero, le bestie vivono secondo natura, noi… secondo…Dio?”
“Non la capisco.”
“Oh non si preoccupi, continui ad ascoltare la bella musica, sono sicura capirà.”
L’uomo perplesso fissò la donna per qualche istante, corrugato, pensante. Dio? Ma cosa ha a che fare Dio? Vivere secondo Dio? Secondo Dio? Vivere secondo Dio! Le corde vibravano su quel palco, i peli si rizzavano in un brivido lungo tutto il corpo del giovane. Quasi si commuoveva. Vivere secondo Dio! E l’uomo svenne.
Passò qualche tempo prima che l’uomo riprendesse coscienza. Si ritrovò in un salottino accogliente, su un divano abbastanza comodo, di un colore rosso o forse rosa o forse arancione. Non capiva, era ancora troppo scosso. “Volevano portarla in ospedale quelli della sicurezza, ho insistito che la portassero a casa mia, so bene che non è necessaria nessun tipo di cura per questo tipo di svenimenti. Sa, la musica di Clorinda fa questi effetti. Del tutto positivi, promesso!” la voce era la stessa dell’anziana sconosciuta. Sorseggiava un caffè seduta sulla poltrona accanto, con il Così parlò Zarathustra aperto sulle cosce. L’uomo inclinò leggermente la testa e scambiò uno sguardo con l’anziana che lo fissava con empatia e un sorrisino quasi malizioso, ma forse meglio descrivibile come disincantato. “Come si chiama?” chiese il giovane.
“Maria, puoi darmi del tu”
“Paolo, mi chiamo Paolo”
“Non era così importante, non sei il tuo nome, o comunque non lo sarai per sempre. Una delle due sentenze va accettata!”
“Continuo a non capirti”
“Avresti bisogno di qualche altra oretta di spettacolo da Clorinda allora!” sghignazzava la donna, che si alzò per porgergli la tazza di caffè pronta per lui.
Paolo sentiva un dolore lancinante alla testa. Il petto completamente vuoto, le braccia pesanti e le gambe sembrava non esistessero. Non riusciva a muoversi. Nemmeno dopo una sbronza si era ridotto così. Nonostante la stranezza di tutta la situazione solo una domanda gli rimbombava in testa: “Dov’è Clorinda?”. La donna rimase paralizzata, con sguardo perso, rivolto verso un angolo della stanza. Paolo impaziente rifece la domanda.
“Sai, non è facile per tutti accettare ciò che Clorinda ammetteva e accettava. Non è facile informarti sull’accaduto” affermò la donna.
“Sento che qualcosa non va, ho un brutto presentimento. Dov’è Clorinda?”
“Sai, Clorinda ha imparato tanto dalla sua vita. Una bambina disgraziata, sfortunata. Doveva subire la vita familiare poco accogliente che suo padre le imponeva. Un padre disgustevole, un padre senza ritegno, un padre che conosceva solo il male e sfogava ciò che era marcio in lui sulla madre della povera Clorinda. La bambina a scuola era presa di mira perché taciturna. E ci credo! Con quel mostro a casa di chi si poteva fidare? Se nemmeno di suo padre, allora di chi?”
Il giovane stringeva la sua testa tra le mani, tirava i capelli per spostare il dolore lancinante dall’interno della testa al cuoio capelluto. Era efficace. Ma non spostava la sua attenzione da quella domanda che gli rimbombava in testa.
“Dov’è Clorinda?”
“Sai, la scuola era così crudele con Clorinda. Ciocche di capelli tagliati, lettere minatorie, libri bagnati con acqua, alcuni trovati bruciati sotto casa. Quaderni pasticciati con simboli volgari. Aveva solo 15 anni! Perché così odio gli adolescenti! Che vivono per reagire così? Chi li educa? Nessuno? O tutti? Si venne a sapere della situazione in famiglia di Clorinda a scuola. Nessuno ebbe pietà. Fu motivo di scherno. Clorinda perse ogni speranza. Consapevole che nessuno le avrebbe dato una mano, perché incapace di chiederla, decise di aiutarsi da sola. Rispose agli insulti. Ma quando si vince a parole, è inevitabile che le mani comincino ad alzarsi furiose. Fu lasciata in un angolo di un parcheggio, con ematomi lungo tutto il corpo. Nessuno si accorse di nulla. Nemmeno Dio! Staccato il crocifisso dal collo, si diresse verso la casa di uno degli oppressori. Non so e non voglio sapere cosa fece!”
Paolo non sapeva se stava ascoltando, ma riconosceva tutto ciò che gli veniva detto. Lo ricordava. Ma la perplessità era sempre la stessa: “Dov’è Clorinda?”.
“Qualcosa in lei era cambiato. Affrontò la vita…secondo natura. Cacciato finalmente il padre di casa si dovette dare da fare per racimolare denaro. La madre doveva essere accudita, essendo affetta da un tumore. La vita di Clorinda ormai era mattina lavoro, e la sera suonava melodie per la madre, che sembrava riuscisse a vivere solo in quei momenti di soave ascolto. Si risvegliava da un coma di dolore causato dalla malattia. Era pura magia. Sembrava guarire all’improvviso.”
“Dov’è Clorinda?”
“Sai, Clorinda ebbe da affrontare pericoli, sfiorando la morte. Da cassiera visse una tentata rapina. Le puntarono la pistola in faccia. Non urlò, non si agitò. Poggiò la sua fronte sul foro della canna della pistola. E sorrise. Quella mancata paura umana in lei, scaturì disagio nel criminale. Non poteva farle più niente. Non poteva sfruttare la sua paura per la morte al fine di avere qualche soldo in più. Clorinda non aveva paura di morire. Il criminale scappò. Si dice si impiccò.”
“Dov’è Clorinda?”
“Sai, Clorinda amò. La madre, certamente, che le consigliò di rendere la sua arte col violino, un mestiere. Clorinda cominciò a suonare per gli altri, ma non chiedeva denaro. Chiunque la apprezzava, così tanto che le offrivano pasti e regalavano denaro. Clorinda non chiedeva nulla. Ma il tutto bastava per sostentare lei e sua madre. La fama così la travolse. Una volta a settimana il suo spettacolo era in scena e c’era sempre il pienone. Tutti volevano provare gli effetti anestetizzanti della musica di Clorinda.”
“Dov’è Clorinda?”
“Sai, Clorinda amò. Un uomo, disgustevole come il padre. Geloso della sua fama, provò a strangolarla. Ma lei lo fissò, inerme, e sorrise. Il volto cambiava colore, sempre più viola, ma lei continuò a sorridere. Quell’uomo raggelò. Scappò via. Si dice si impiccò.”
“Dov’è Clorinda?”
Maria quasi piangeva: “Sai, qualche secondo dopo tu perdessi i sensi, un folle è salito sul palco e le ha puntato una rivoltella in fronte. Le ha chiesto quali fiori volesse sulla tomba. La musica si è fermata. La tensione saliva. Sorridendo, Girasoli, rispose. E poi lo sparo. Il violino si è macchiato di rosso. Pure Clorinda. Ma il sangue non era suo. Il folle si era sparato in tempia. Clorinda non aveva paura di morire. Clorinda è intoccabile. Ora è a casa, starà bevendo del buon caffè”.
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Veramente curioso questo tuo racconto. La tensione che cresce e il finale inaspettato. Bravo