NADINE 

(1998)

Nadine è indubbiamente la ragazzina più graziosa e provocante che abbia mai visto, ed io ho trascorso gli ultimi anni della mia misera vita ad

osservare, giorno dopo giorno, l’inesorabile fiorire del suo giovane corpo. Sono sicuro che non avreste mai sentito parlare di me se ad un anonimo individuo, con ambizioni da scrittore, non fosse venuta la sventurata idea di farmi esistere, di far sgorgare dalla sua crudele penna un essere abietto e dalla vita tanto infelice quale io sono. Non so perché mai il mio carnefice desideri con tanto ardore che io vi racconti la mia sventurata storia.

Forse per quel sadico piacere che talvolta ci porta a celebrare il doloroso ricordo di ciò che mai riuscimmo ad ottenere o, peggio ancora, di ciò che mai riuscimmo ad essere.

Solo ora mi accorgo di non avervi ancora detto il mio nome.

Non penso di averne mai avuto uno o forse l’ho semplicemente dimenticato, comunque sia non credo che il conoscerlo vi sarebbe di grande utilità.

Sono semplicemente un vagabondo. Lo sono da sempre. Vago per le strade di questo quartiere da quando venni al mondo e da allora maledico di essere ciò che sono.

La prima volta che incontrai Nadine ricordo che era molto piccola.

La vidi in un parco, se ne stava in disparte rispetto agli altri bambini e giocava dondolandosi su di un’altalena. Nessuno che l’aiutasse a dondolare. Tendeva e ritraeva le piccole gambe in modo da darsi lo slancio necessario per fare su e giù mentre le sue mani troppo piccole, afferravano le catene con quella forza che solo i bambini possiedono.

Io giacevo su di una panchina poco distante, la osservai per ore certo di non destare la sua attenzione. Lo stesso vento che allora scompigliava i suoi capelli continuò a soffiarmi dentro per anni e mai ha smesso di far tremare il mio miserabile cuore.

Da quel giorno non smisi mai di seguirla. Ovunque andasse, qualunque cosa facesse, io ero con lei. L’aspettavo, al mattino, quando usciva di buon ora per recarsi a scuola e, tenendomi a debita distanza, la seguivo fino alla fermata.

Ed ogni giorno il solito piccolo addio quando arrivava l’autobus e me la portava via.

Nadine non si accorse mai della mia discreta presenza. Viveva ignara la sua giovane vita ed io la vivevo con lei che ormai era diventata il mio destino. Quante notti accoccolato vicino al caldo innaturale di un’automobile appena parcheggiata, osservando la finestra della sua camera, ho desiderato giacere accanto a lei, adagiare il capo sul suo petto ancora acerbo, morbido e liscio come seta viva e far riposare il mio cuore sfinito.

Quante volte ho sognato di potermi inebriare col tepore del suo corpo, di avvertire i suoi brividi notturni come fossero miei.

Se avessi potuto, come qualcuno crede, le avrei rubato il respiro, avrei respirato a pieni polmoni il fiore incontaminato della sua verginità fino a sentirmi, anche solo per un istante, l’unico essere degno di coglierlo. Quanto l’ho desiderata ! L’ho amata come nessun uomo amerà mai in tutti i giorni che restano a questo vostro mondo, ma da lei non ho ricevuto altro che il più amaro dei supplizi: l’indifferenza. E proprio l’indifferenza è il castigo che so di aver sempre meritato per aver provato ciò che mai avrei dovuto.

Una volta, però una sola volta Nadine si accorse di me.

Era un pomeriggio, d’estate, aveva da poco smesso di piovere e nell’aria quell’atmosfera dolce e dolente della vita che per alcuni riprende, mentre per altri non è mai iniziata. Sapevo che prima o poi sarebbe uscita di casa, Nadine non si sarebbe lasciata sfuggire l’occasione di correre sotto un cielo così lucente, un sole così caldo.

L’attendevo, come ero solito fare, sotto la quercia su cui spesso entrambi amavamo arrampicarci. Come immaginavo, non si fece attendere molto, la vidi uscire dalla porta di casa e fui pervaso da una gioia profonda, come se avessi il presentimento che quella sarebbe stata l’ultima volta che l’avrei vista.

Indossava un vestitino bianco, era scalza e non me ne stupii; ormai la conoscevo, sapevo che amava sentire sotto di sé la frescura dell’erba bagnata. I capelli, pettinati all’indietro, sottolineavano l’innocenza del suo viso su cui quel giorno, per la prima volta, vidi la bimba cedere il passo ad una giovane donna.

Nei suoi occhi, il temporale appena trascorso.

L’avidità con cui succhiava dalla cannuccia la bibita che aveva in mano, le dava un’aria dolcemente perversa, deliziosamente viziosa.

Nadine veniva dritta verso di me, come se sapesse che io ero lì da sempre ad aspettarla.

Si avvicinò e senza dire neanche una parola si accovacciò accanto a me. Soffocai a fatica l’istinto di fuggire via e rimasi immobile vicino a lei.

Mi accarezzò a lungo. Sembrava provasse un immenso piacere ad affondare la sua piccola mano sul mio dorso bagnato; sentivo quella mano sprofondare sempre più giù fino in fondo al mio cuore. D’istinto premevo, con tutte le forze, il mio corpo contro il suo. Era l’unico modo che avevo per chiederle, per supplicarla di non smettere mai.

Lei non immaginava che quel gesto pieno di tenerezza era per me una tortura a cui non avrei più saputo rinunciare

Se solo fossi stato in grado di parlare le avrei finalmente detto tutto ciò che da anni sognavo lei sapesse.

Se solo fossi stato libero da questa assurda maledizione, se solo fossi stato un uomo, avrei stretto a me quel dono, che pur sapevo di non meritare, e l’avrei portato via con me, lontano, per sempre.

Ci ho provato, non lo nego, ho tentato di parlare con tutte le mie forze, ma

non riuscii che ad emettere degli stupidi e confusi miagolii.

Cercai di convincermi di poter essere anch’io, anche solo per un istante, un essere umano, ma un gatto, uno stupido gatto non poteva che soccombere preda di quegli stramaledetti rantoli, quelle miserabili convulsioni che voi, esseri umani, vi ostinate, chissà perché, a chiamare fusa.

Di una cosa sono certo, se il mio presuntuoso creatore non mi avesse messo al mondo, mi sarei risparmiato tanto dolore ed amarezza.

D’altra parte, se non lo avesse fatto, non avrei avuto modo di assaggiare il gusto del vivere, seppur in un mondo di carta, ma, soprattutto, non avrei mai conosciuto la gioia di amare la mia piccola Nadine !

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Discussioni

  1. Ciao Marco, innanzitutto benvenuto in questa bella comunità di scrittori e lettori. Il tuo racconto è scritto molto bene, complimenti per come ti esprimi. Per quanto riguarda il contenuto, sarò sincera: l’ambiguità di cui il racconto è intriso, l’utilizzare espressioni che avrebbero potuto essere utilizzate da un pedofilo che spia e segue una bambina, mi disturba e non poco. Certo, alla fine si scopre che il soggetto ‘parlante’ è un gatto, ma la bocca resta amara. Sono certissima che questa non fosse la tua intenzione, se ne avessi avuto il benchè minimo dubbio non mi sarei soffermata a scrivere un commento.