Nebbia sul fiume

Serie: Ombre sul Lungotevere


Un giallo ambientato nella Roma autunnale, dove l’ispettore capo Matteo Rinaldi indaga sulla morte misteriosa di un notaio ritrovato all’alba lungo il Tevere.

    STAGIONE 1

  • Episodio 1: Nebbia sul fiume

Il Lungotevere si stendeva silenzioso sotto un velo di foschia lattiginosa, quella stessa nebbia che a Roma compare soltanto all’alba d’autunno, quando il respiro tiepido del Tevere incontra l’aria fredda della notte appena svanita. Alle cinque e trentadue, l’ispettore capo Matteo Rinaldi arrestò l’auto di servizio all’altezza di Ponte Sisto e spense il motore: il nastro giallo della Scientifica già delimitava, con due lampioni a malapena funzionanti, la scena di cui era stato allertato mezz’ora prima.

Un corpo — maschile, elegante, senza documenti — giaceva supino sulla banchina, mezzo metro dal muraglione. Dalle suole lucide e dal taglio del completo in lana inglese, Rinaldi intuì subito che l’uomo non apparteneva ai soliti vagabondi che si aggirano di notte in quei luoghi. Eppure, neppure una goccia di sangue, nessun segno di colluttazione visibile. Solo quel lembo di camicia slacciato e il palmo sinistro rivolto verso l’alto, come se stesse ancora chiedendo qualcosa.

La dottoressa Lucia Bartoli, medico legale, si voltò appena lo vide avvicinarsi. «Maschio, tra i quaranta e i cinquanta. Temperatura corporea ancora alta, direi un decesso entro l’ultima ora. Ma non trovo ferite; potrebbe trattarsi di avvelenamento o di un collasso indotto.» Gli porse un sacchetto trasparente: al suo interno, un biglietto da visita infilato tra le dita della vittima: Studio Notarile Rossi.

Rinaldi lo osservò in controluce. «Un notaio muore su un marciapiede alle cinque del mattino? Non mi convince.» Poi si chinò, percependo un vago aroma d’agrume intorno al colletto dell’uomo — una fragranza costosa che gli ricordava le boutique del centro. Allo stesso tempo, notò un’ombra scura tra le pieghe interne del polsino destro: un residuo di polvere grigiastra, troppo fine per essere cemento o terriccio della banchina. Ne raccolse un campione con un tampone. «Portatelo al laboratorio; fate cromatografia in priorità.» La Bartoli annuì, già proiettandosi all’autopsia.

Sopra di loro, i primi accenni di vita cittadina: un tram scampanellò in lontananza, trascinando con sé un’eco metallica che si dissolse nel fiume. L’ispettore alzò lo sguardo e seguì la linea dei platani: all’altezza di un lampione, una minuscola telecamera di sorveglianza comunale. Un colpo di fortuna insolito. «Fatemi avere le registrazioni, dalla mezzanotte fino ad ora.»

Mentre la squadra catalogava ogni impronta, Rinaldi si sfilò i guanti e compose un numero sul cellulare. Rispose una voce assonnata. «Sì?»

«Avvocatessa Fabbri? Sono l’ispettore Rinaldi. Abbiamo rinvenuto un cadavere sul Lungotevere. L’unico indizio è il biglietto dello studio Rossi. Avete idea di chi potrebbe trattarsi?»

Un silenzio teso, poi: «Venite in studio. Subito. E… non parlate al telefono di questioni delicate.»

La chiamata si interruppe. Rinaldi incamerò un respiro. I casi in cui i testimoni invitano un poliziotto “subito e con discrezione” di rado si concludono senza colpi di scena.

Alle sei e sedici, il cielo si fece più chiaro, ma la nebbia restò. Gli uomini della Scientifica sollevarono il corpo sulla lettiga; il tessuto del completo, grigio antracite, rifletté per un istante il bagliore arancione dell’unica torcia ancora accesa. Rinaldi scattò una foto mentale dell’inquadratura: l’acqua opaca dietro, i sampietrini umidi, quella mano aperta verso l’alto. Gli sembrò quasi un messaggio lasciato a chi avesse saputo decifrarlo.

Con passo misurato tornò verso l’auto. Un’auto nera con vetri oscurati, ferma dall’altro lato della carreggiata, accese i fari appena lui varcò la portiera. Poi partì in direzione opposta al flusso del traffico e scomparve oltre il ponte. Istinto o paranoia, Rinaldi prese nota delle prime tre cifre della targa; il resto, troppo coperto dalla condensa, gli sfuggì.

Prima di innestare la marcia, Rinaldi lanciò un ultimo sguardo al Tevere. La città si stava svegliando, ignara che un nuovo mistero aleggiava nelle sue vene d’acqua. E le ombre, più fitte che mai, sembravano affondare proprio là dove il fiume curva verso il cuore antico di Roma — come a custodire un segreto troppo grande per essere lasciato alla luce del giorno.

Girò la chiave. Il primo capitolo del suo prossimo incubo era appena cominciato.

Serie: Ombre sul Lungotevere


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Discussioni

  1. Caro Giorgio, che delizia: non solo l’amato Ponte Sisto dei miei anni romani, ma un giallo poliziesco che comincia nel modo più classico possibile, nelle forme e nei contenuti. Una chicca che mi gusterò seguendoti.