NeferTARI

Serie: Le Venti Clessidre


NELLA PUNTATA PRECEDENTE: Ramses ha visitato il cantiere della sua piramide e ora è di ritorno da Nefertari. Cosa lo aspetterà?

“Chiamatemi regina.” Così voleva essere chiamata la faraona per evitare possibili e risibili accostamenti con una gallina che nell’antico Egitto non era celebrata come una divinità, e d’altronde neanche nelle terre padovane. La tavola reale era imbandita con vere prelibatezze: carni pregiate, pesce del Nilo, pollame, solo la faraona era bandita, chi la imbandiva con le sue carni faceva la fine di un pollo.  

In quel lontano Egitto che confusione (con quei nomi), sarà perchè ti amo. No, non è questo il motivo, questo è solo un vecchio motivetto dei Ricchi e Poveri. Sarà perchè la faraona, pardon la regina (avrei rischiato la fine del pollo), portava un nome comune che iniziava con Nefer: come Neferneferuaton, l’inventore delle venti clessidre, come Neferrenpet, il visir subacqueo, come Nefertiti, la sposa del faraone Akhenaton che precorreva, a sua insaputa, l’imitazione di un fortunato canarino giallo e che per questo aveva riallacciato l’import-export con gli ItTITTI, ma anche come Nefertoti, l’eroe paraolimpico del lancio della stampella, Nefertotti, l’eroe dell’Olimpico con la testa un po’ nel pallone, Nefertinto, il vecchio sporcaccione autore di un libro dal titolo magniloquente ed esplicito: “L’elogio del culo” (non sto prendendovi per il “culo” perché il libro esiste, è in vendita a 3,70 Euro, e l’oggetto della “presa” compare bene in vista sulla copertina, senza alcuna copertura o una leggera copertina, esposto in primo piano su di un letto).

La regina, la moglie di Ramses II, si chiamava Nefertari o, più appropriatamente, NeferTARI. Verrà ricordata così per aver imposto la prima imposta sui rifiuti: la TA.RI, un’imposta imprevista, come imprevisto era ogni tipo di rifiuto nell’assolverla. Nefertari non prevedeva esenzioni, chi si rifiutava faceva la fine del rifiuto, e precisamente del rifiuto indifferenziato (non nel termovalorizzatore ma bruciato su di un rogo indifferenziato senza neanche disperdere le ceneri nel sacro Nilo).

L’oligarca, congedandosi dal faraone, aveva donato due stampe che Nefertari decise di appendere nella camera da letto sopra il talamo nunziale; contenevano due scritte in un idioma sconosciuto dove vi si poteva leggere “cogito ergo sum” e “carpe diem”, solo che né Ramses né Nefertari ne conoscevano il significato. Niente di strano, quanti indossano magliette con scritte e ideogrammi cinesi o giapponesi senza conoscerne il significato? E allora perché meravigliarsi, davano all’arredamento un tocco etnico, paragonabile a quello dei moderni geroglifici appesi ai muri dei nostri salotti. (N.d.A. Sarò forse un utile o un inutile idiota, ma ritengo sia un’idiozia tatuarsi un idiogramma (un ideogramma suona male perché la parola sembra derivi da una buona idea), per questo che sento l’idiosincrasia per l’idiogramma). Le scritte vennero leggermente modificate da qualche schiavo straniero venduto dall’oligarca al faraone che ne comprendeva pienamente il significato. La prima risultava mancante di una lettera: la “G’. Una “S” invece era stata aggiunta davanti alla seconda. Nessuno se ne accorse. “Coito ergo sum” e “Scarpe diem” erano le scritte che ora campeggiavano sopra la testiera del letto, la prima sopra la testa di Ramsete, la seconda sopra quella di Nefertari. Quel mandrillo sempre arrapato e quella regina che non aveva altro per la testa, in ogni momento del giorno e della notte, che scarpe, scarpe e ancora scarpe, una vera ossessione, se lo meritavano. La vendetta è un piatto che va servito freddo. 

Restando in tema anche la cena veniva servita fredda; era un piatto molto richiesto specialmente nelle calde giornate estive e Nefertari non ammetteva ritardi. Ramses, a onor del vero, non era molto puntuale e per questo che i due coniugi reali, come una normale coppia, avevano stabilito una regola di comportamento: era ammesso un ritardo di mezz’ora dopodiché le cena veniva servita. Se il ritardo superava l’ora e mezza voleva dire che quella sera Ramses non rientrava. Nefertari passava spesso le serate da sola anche se a consolarla ci pensava Alice: un Alì non mancava mai nelle sue stanze, specialmente nel letto. 

Nefertari, oltre ai diversi Alì occasionali, aveva anche una relazione nascosta con Amonherkhepshef, il Gran Sacerdote, che non aveva doti divine ma doti umane ben nascoste nelle mutande. La regina non disdegnava rapporti, all’epoca non protetti, con Amonherkhepshef, sempre nei momenti in cui il faraone era assente. Quando se lo trovò presente davanti al lettone, grande fu la sorpresa nel venir sorpresa proprio in fallo col fallo del Gran Sacerdote inseminatore nell’atto carnale, come quello di un toro da monta. Le domande che Nefertari si pose fissandolo erano tante: “Oddio! Che ci fai qui, sono quasi le nove? Come mai sei venuto così in ritardo? Potevi avvisare che rientravi comunque!”

Il Gran Sacerdote “venne” invece in anticipo, non svenne, ma quel che ne venne di lui possiamo solo immaginarlo perché il faraone non la “prese” bene, sicuramente non bene quanto il superdotato sacerdote. 

Amonherkhepshef venne immediatamente incatenato com’era duopo, non dopo, proprio sul momento. Lo attentedavano le patrie galere dove il suo destino era segnato e non era dei migliori. Lascio a voi immaginare le torture che gli potevano capitare. La morte era il miglior destino che gli si potesse augurare. Prima di essere condotto nelle galere alzò le mani al cielo, non in segno di resa, e guardando fisso negli occhi Ramses disse: “Il mio tempo è arrivato. Arriverà il tempo in cui il tempo si fermerà e tu non avrai più tempo, anche il tuo tempo finirà; sarà arrivata la tua fine e non avrai più tempo per scappare. Il tuo nome scomparirà nella notte dei tempi e mummia diverrai sepolto nella valle dei templi!”

Erano parole profetiche. Il faraone non ne comprese pienamente il significato ma le parole restarono bene impresse nella sua mente e continuarono a tormentarlo per notti intere.

Di lui ogni notizia venne secretata, non se ne seppe più niente, solo che perì segregato nelle segrete stanze di una fortezza assieme ad altri disgraziati adepti delle più impensabili società segrete.

Morto un papa se ne fa un altro (parafrasando un linguaggio più vicino al nostro sentire), così il faraone nominò un altro Gran Sacerdote e la scelta cadde sul vice. Pare, si chiamasse Pareheruenemef; con quel nome non è impensabile cadere nelle “pare” cosicché la ricerca del “divino” lo trovò pronto, senza dover affondare il “mal di vivere” in un bicchiere di vino.

Alice, l’ancella di Nefertari, vivendo a fianco della regina si trovava a suo agio nel palazzo e in quel labirinto di corridoi, stanze segrete, ma anche segrete stanze, ripostigli, soppalchi, nicchie, celle, scale, stanzini e pertugi, di certo mai accatastati ma che conosceva a menadito, senza bisogno di piantine in scala e che percorreva agevolmente in infradito.

Un grande quadro con dipinto il volto del faraone Tutankhamon, morto solo diciottenne, troneggiava con una stanza confinante a quella dove la regina era solita vestirsi aiutata da una dozzina di schiave che l’assistevano in quella delicata operazione mattutina. Nascosto da un grande vaso di fiori, un foro nella parete permetteva di spiare l’altra stanza dall’occhio del faraone senza essere visti. Alice ne era al corrente e grande fu la meraviglia, quando da quel punto di osservazione segreto udì la conversazione tra Pareheruenemef (il Gran sacerdote fresco di nomina) e il faraone: solo che il faraone, quello vero, era assente. Lo aveva visto con quei stessi occhi partire e ora lo vedeva qui presente. Un dubbio l’assalì: “Ma lui chi è?” Lei conosceva solo un altro faraone: Davide, ma era un complottista incarcerato che aveva ultimamente cambiato setta passando a “Egitto Vivo”, una formazione dal futuro incerto, che davano per morta, e per questo che Faraone non era per niente sereno.

“C’è del marcio nel paese!” chiosò Pareheruenemef, il Gran Sacerdote.

“Chi? Scamarcio!” ribattè il faraone. 

“No! Ho detto c’è del marcio in Egitto”! continuò il Gran Sacerdote.

“Ma non era in Danimarca?” nuovamente il faraone.

Allora il Gran Sacerdote, persa la poca pazienza, continuò:

“Li mortacci tua, ma ce sei o ce fai? Annamo bene! proprio bene, ricordate che tu sei er faraone, nun te far riconoscer! Ma dove t’ha trovato il nostro Gran Testimone?”

Queste erano le parole che Alice aveva ben inteso o, forse, non le aveva intese bene; d’altronde, si trattava di un antico dialetto Urbano del Cairo (ogni riferimento all’editore è puramente casuale come le parole che potrebbero ricordare lontanamente il dialetto romano).

Alice a quelle parole trasecolò: giustamente, eravamo tra il quattordicesimo e il tredicesimo secolo A.C. Quello strano individuo aveva le fattezze del faraone ma non ne aveva il polso: era solo un sosia nelle mani di un esperto burattinaio che finora aveva ben operato dietro le quinte.

Alice riferì per filo e per segno e in men che non si dica di quello strano incontro a Neferneferuaton. Neferneferuaton trasalì (semplicemente). 

Poi salutò Alice, scese le scale, e s’incamminò per dove non so.

Serie: Le Venti Clessidre


Avete messo Mi Piace3 apprezzamentiPubblicato in Umoristico / Grottesco

Discussioni

    1. Ho contattato la signora in giallo (Angela Lansbury), la signora in rosso (Kelly Lebrock) e la signora Viola. Mi ha risposto la virologa dicendo che non c’è da preoccuparsi: i virus che vi ho trasmesso sono tutti benigni. Vero Roberto?

  1. Non si sa mai che dopo la sindrome di Stoccolma, di Stendhal e altre sindromi che è meglio non ricordare, il mio stile venga definito come la sindrome di Fabius P. . Grazie del commento puntuale, argomentato e approfondito.

  2. La mia personale sensazione: se non ti sottrarrai a questa tua nuova “missione”, quando passerai alla storia, una marea di studiosi si prodighera` per interpretare i tuoi testi, per capire le allusioni e le metafore o per interpretare ipotetici codici segreti. Quando tu, per stanchezza, cederai all’ insistenza dei giornalisti che vorranno intervistarti, confesserai sinceramente che volevi tenere alto l’ umore delle truppe. Loro ti contesteranno che tu non sei mai stato in guerra e mai hai avuto le redini del comando militare. Tu allora risponderai: “Le mie truppe non erano armate di fucili, erano tutti armati di parole: parole di civilta`, di rispetto per l’ ambiente e di pace”.

  3. Aaaaah ma quanto mi piace il tuo stile! Ti giuro: mi fai scappare l’ansia e la stanchezza con una risata assicurata. La trama è sempre più intricata e io sto come Neferneferuaton o Alice. Ma devo dire che la politica di questo antico Egitto era veramente simile alla nostra! Questo faraone Davide mi ricorda qualcuno…non saprei…forse lo confondo con una faraonA o un pollo che ha fatto la figura del pollo in un bacchetta di polli alla tavola di NeferTITTI! Mah, nel dubbio vado a tatuarmi sul braccio COITO ERGO SUM in alfabeto cirillico!! Brillante Fabius, veramente.

    1. È uno stile libero in un mare di witz. Grazie Carlo, a volte penso di averli esauriti tutti ma poi sono le parole stesse a darmi uno spunto; grazie al tablet riesco a integrare continuamente il testo senza riscriverlo.