Nonna Papera

Serie: Di ora in ora


NELLA PUNTATA PRECEDENTE: Dell'intera giornata di un lunedì

Ore otto di un lunedì. Lina si era svegliata con la luna storta: tutta colpa delle lumache con l’aglio, della torta di pasta sfoglia e dei peperoni in teglia.

Durante la notte sembrava che quelle chiocciole avessero ripreso a pascolare nella sua pancia. La cena troppo abbondante le aveva provocato incubi e sudorazioni notturne. Prima di fare colazione aveva bisogno di muoversi un po’, di carburare. Aveva acceso il televisore per il solito programma degli esercizi quotidiani di stretching. Subito dopo era passata ad un altro canale, per ascoltare l’oroscopo di Paolo La Volpe. Lina non era così ingenua da credere in quelle previsioni, però certi suggerimenti le piacevano. Seguiva le indicazioni alla lettera e spesso, ciò che era stato pronosticato succedeva davvero. La Volpe stava dicendo che, per i nati sotto il segno della bilancia, sarebbe stata una giornata da equilibristi. L’importante era non sbilanciarsi troppo, pesando bene le parole, i gesti e le azioni concrete. Lina aveva pensato “Ok starò attenta“.

Subito dopo aveva sentito il bisogno di un buon caffè caldo e forte, con una fetta di torta. L’aveva preparata lei stessa, come sempre, il giorno prima. Ormai le torte erano diventate la sua specialità. Lina si sentiva un po’ come nonna Papera. Per niente nonna, ma un po’ papera si, soprattutto nel parlare, e nel fare le torte. E poi, se suo padre, sin da piccola, le diceva spesso chiudi il becco, qualcosa in comune con la nonna di Paperino, evidentemente l’aveva.

L’ultima torta che aveva preparato era di mandorle e mele. Aveva spellato e poi tagliato a scaglie sottili le mandorle. Le aveva distribuite sull’impasto che aveva versato sulla teglia, con sotto le mele tagliate a spicchi sottili, disposti a formare la corolla di un fiore, con tanti petali concentrici. Dopo aver cosparso di zucchero, aveva messo in forno. Si era formata una crosta sottile e dorata, con le mandorle leggermente tostate e i pezzi di mela quasi caramellati.

 Lina aveva messo sul tavolo la tovaglietta bianca ricamata a mano. Un regalo di sua madre, con il bordo rifinito a orlo a jour e un disegno floreale al centro, ricamato a punto festone. Anche la tazzina faceva parte di un servizio di porcellana che le aveva regalato sua madre, deceduta da tre anni. I colori tenui delle decorazioni e il valore affettivo  di quelle piccole tazze, era confortevole. Quando le lavava prestava sempre la massima attenzione: aveva paura di rovinare i disegni, come se avesse tra le mani le ali di una farfalla.

La caffettiera aveva iniziato a borbottare, diffondendo nell’aria un’aroma forte, gradevole e stimolante.

Quando ancora studiava, all’istituto Eleonora D’Arborea, dovendo prendere il treno delle sette, Lina era costretta ad alzarsi presto. Era una gran dormigliona e sua madre, alle sei in punto, preparava la caffettiera grande e spalancava la porta della sua camera. Era l’unico modo per buttarla, dolcemente, giù dal letto.

Il caffè aveva il potere di riconciliarla con la vita, non appena iniziava ad annusarlo. Anche il pensiero di certi dolci fatti in casa, prima da sua madre e poi da lei, erano un buon motivo per balzare giù dal letto e andare in cucina. E quella torta di mandorle e mele, assaporata lentamente, era una delizia.

Poco dopo aver consumato la colazione, Lina aveva preso il telecomando per cambiare canale. La musica di Radio Antenna Italia TV, l’avrebbe aiutata a svegliarsi meglio. Il cantante, in tre minuti, l’aveva “accesa”, con la sua voce piena di passione. Niente male quella musica, per iniziare la giornata con un po’ di Eros (Ramazzotti).

Attraverso la finestra del soggiorno, Lina aveva osservato il cielo: sembrava una splendida giornata. Sentiva fame d’aria. Aveva bisogno di uscire, di camminare all’aperto, di respirare più ossigeno. Era il suo giorno libero. Prima, però, doveva andare a bagnare le piante sul terrazzo. La camelia rossa era piena di fiori, quasi tutti sbocciati. Le piante delle rose  mignon stavano crescendo a vista d’occhio. Nessun fiore ancora, ma tante piccole foglie nuove senza afidi, senza mal bianco  e senza fumaggine. I tulipani gialli erano già  sfioriti: bellissimi, delicatissimi; però che altezzosi. Concedevano la loro leggiadria per due o tre  giorni e poi stop. Se poi soffiava un po’ di venticello, i loro petali apparivano subito stropicciati, come carta velina sgualcita.

Il gelsomino, dopo il gelo invernale che aveva bruciato le foglie, aveva lunghi tralci carichi di minuscoli fiori rosa pallido, ancora chiusi. Lina li teneva d’occhio ogni giorno. A maggio la loro fragranza inebriante si sarebbe diffusa in quell’angolo di paradiso, risvegliando tutti i sensi.

Subito dopo qualcosa l’aveva rattristata. Una delle piante grasse era stata di nuovo assaggiata dalle lumache. “Maledette”  – aveva pensato Lina – “Sanno fare solo danni”.

Dopo aver sentito il profumo intenso delle violette mammole, aveva preso il tubo dell’acqua per innaffiare. In quello spazio di pochi metri quadrati, soprattutto in primavera, si sentiva come in un piccolo eden, felice come una Pasqua. Una volta soltanto aveva sacrificato quasi la metà dei suoi fiori in vaso, per liberare lo spazio necessario a ospitare Ciccio, il cane meticcio che l’aveva adottata. Era buono quel “canino” ancora cucciolo. Era tenero, furbo e gentile. Quando lei si infilava i jeans per uscire, Ciccio andava a prendere le scarpe da tennis e gliele porgeva con la bocca. Gli inquilini del piano di sopra, però, avevano trovato il modo di farlo fuori.

Lina sapeva che erano stati loro, la coppia che abitava al primo piano. Lui l’aveva minacciata dal primo giorno che aveva comprato la cuccia verde a forma di baita. Il “canino” non c’era ancora. I primi tempi lo teneva in campagna, nel terreno  recintato con il frutteto e la baracca per gli attrezzi di suo padre.

Gli inquilini del primo piano avevano capito che presto sarebbe arrivato un nuovo ospite a quattro zampe, all’interno del condominio. Ciccio sarebbe stato il terzo. Il regolamento condominiale non lo vietava, ma loro avevano deciso che il cane di Lina sarebbe stato di troppo.

Quando si erano lamentati la prima volta, senza averlo ancora visto, avevano elencato i loro motivi:

1) perché i cani abbaiano;

2) perché lasciano i peli anche nell’androne dell’ingresso;

3) perché i cani, soprattutto d’estate, puzzano;

4) perché possono avere parassiti;

5) perché possono anche mordere.

Quando avevano visto “la belva”, che pesava, alla sua prima visita veterinaria, meno di sette chilogrammi, non si erano tranquillizzati. Il suo aspetto era così “spaventoso”, da sembrare un peluche a pelo raso. Ma gli inquilini del primo piano non si erano rassegnati. Controllavano dal balcone, ora, per ora, cercando di cogliere in fallo, sia Lina che la bestiola. La loro ennesima lamentela era stata per le deiezioni di Ciccio sul terrazzo. Lina aveva negato, spiegando che tutte le sere lei lo portava fuori col guinzaglio, in un terreno periferico adatto a lasciare i cani liberi di scorrazzare e di fare i loro bisognini.

Ma gli inquilini del primo piano avevano insistito, specificando l’ora esatta in cui Ciccio il “cagnaccio”, aveva fatto la cacca vicino alla cuccia. Era vero: quel giorno Lina aveva tardato un po’ a portarlo fuori e lui non aveva resistito. Naturalmente, dopo pochi minuti era già tutto ripulito e disinfettato per bene, ma loro l’avevano subito beccato. Con il pretesto di stendere la roba, di controllare se fosse asciugata o di ritirarla dai fili, non si erano lasciati sfuggire quell’imperdonabile “crimine”.

In realtà i criminali erano stati loro, commettendo uno spietato canicidio, senza lasciare alcuna prova delle loro colpe.

Mentre Lina ripensava al suo povero Ciccio, aveva sollevato lo sguardo verso l’alto e aveva visto una testa che si ritraeva rapidamente all’indietro, nel balcone del piano di sopra. La solita spia era sempre allerta.

A quel punto Lina era tornata dentro, aveva controllato i messaggi sul cellulare e aveva risposto alla chat delle sue colleghe insegnanti.

Una pizzata? Perché no? Forse perché non riusciva mai a digerirla? Forse perché era intollerante al lattosio e alla caseina della mozzarella? Forse perché anche il lievito le provocava un po’ di acidità? O forse perché c’era ancora il rischio di contrarre il virus del covid, soprattutto  in ambienti chiusi e affollati?

Lina, però, aveva bisogno di vedere gente, di chiacchierare con le sue colleghe,  di farsi quattro risate; perciò aveva risposto, immediatamente, “siii!!!” Appuntamento “Al Ghiottone“, ore 21.

Lina aveva  controllato l’ora sul display del cellulare: erano le 8 e 45. Il tempo di farsi una doccia calda, con tanta schiuma profumata agli oli essenziali di lavanda e rosmarino, e poi fuori, libera come l’aria frizzante di primavera.

Quando stava sotto lo scroscio dell’acqua, immaginava spesso di trovarsi sotto una cascata e di respirare il profumo floreale della vegetazione intorno a lei. Si immedesimava così tanto che,  certe volte, si tratteneva più del dovuto e, di colpo… doccia fredda, dopo aver consumato cinquanta litri di acqua calda.

Con l’accappatoio addosso, Lina era andata a prendere un tubetto di crema che aveva in borsa. In quel momento aveva sentito il suono del citofono.

Serie: Di ora in ora


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Discussioni

  1. Finalmente sono riuscita ad iniziare una tua serie! Ci ho messo un po’, prima ho voluto iniziare dal tuo primo racconto singolo ma alla fine sono arrivata al traguardo. Mi ci sono avvolta con tutti i 5 sensi, soprattutto gusto (la torta appena sfornata) e odorato (le violette mammole). Nella parte iniziale mi sono lasciata trasportare da questa bellissima “solitudine”, quella sana che ci fa prendere cura di noi stessi grazie alle piccole abitudini sane, al buon cibo e al prendersi il tempo necessario per ogni cosa. Giunta al passaggio del “canino”, ho sofferto: conosco l’amore che si può instaurare con un fedele compagno domestico. Anche nella realtà si nasconde tanta magia e tu sei riuscita ad evocarla tutta.

    1. Tengo molto al tuo parere e sono felice che tu abbia iniziato a leggere la mia prima serie sperimentale, chiedendomi a ogni episodio gia` pubblicato, se sarei riuscita a portare avanti in modo sensato le dieci ore di uno stesso giorno, e a concludere in modo decente. Devo dire che ho fatto un po` di fatica. Dopo il “parto” dubitavo che mi sarei di nuovo imbarcata in un’ altra serie. A distanza di qualche settimana ne ho sentito di nuovo il bisogno.
      Grazie Micol, un abbraccio.😉

    1. Ho tradotto il cognome di Paolo Fox, un po’ perche` lui e` un personaggio televisivo che si occupa di oroscopi e poi perche` credo che ci sia un po’ di furbizia in questo genere di cose. Ho usato la traduzione di Fox, quasi per gioco.

  2. Ciao M.Luisa, incuriosita sono venuta a leggere questa tua serie. Hai presentato una donna piena di attenzione alle piccole cose, trattate con cura e amore. Dalle piante alle torte, un personaggio confortante, quasi d’altri tempi. Le tazzine in fine porcellana le conosco, è come avere tra le mani qualcosa che torna a parlarti di tempi trascorsi e a misurare la capacità di maneggiarle nella loro delicatezza.

    1. Grazie Bettina è confortante, in questo panorama mondiale desolante di guerre, lotte per il potere, stragi di bambini nelle scuole e altri mille e più drammi attuali, sapere che ci sono anche tante persone sensibili, che danno valore alle piccole cose quotidiane, agli oggetti che hanno un valore affettivo, alla semplicità delle favole, dei racconti e delle storie, create senza troppe ambizioni, evitando di cadere in comportamenti distruttivi o autolesionistici.

  3. Un brano, immmagino, introduttivo con una bella e lunga descrizione, anche simpatico e ironico a tratt e sempre mpiacevole da leggere. Il finale è sosposo, devo per forza sapere chi c’è alla porta…

  4. Nei tuoi racconti noto sempre descrizioni dettagliate della quotidianità. Piante, fiori, sono sempre presenti e dimostrano una tua “amorosa” vicinanza per la botanica con cognizioni approfondite. Il racconto procede con un “andamento lento” ma costante e fluido.

  5. Bello lungo, anche scritto egregiamente ma non ho capito dove va a parare: inizialmente ho pensato fosse un racconto sulle depressioni moderne, sui modi in cui si esorcizzano: chi vegeta, chi si chiude in casa, chi cucina o pensa al cibo come in questo caso. Ma poi mi sono perso. A detta mia, avrei trovato questo racconto coerentemente fantastico se nel finale la protagonista si fosse messa un cappio al collo. Ma è una mia opinione

    1. E´ solo l’inizio della serie ” Di ora in ora”. Non posso svelare subito, dal primo episodio, la conclusione. Spero di poter destare un po’ di curiosita´ per poi svelare, di volta in volta, le situazioni poco chiare di questo giallino canarino, senza troppe ambizioni. Grazie per la lettura e per il commento.