OLTRE IL LIMITE

Serie: Brothers Series


Si faceva sempre mezz’ora di strada a piedi per andare al supermercato a comprare gli orsetti gommosi e come sempre gli andava a suonare il campanello e si mettevano seduti in giardino a mangiare le caramelle gommose in silenzio e il giorno dopo era come se non fosse successo niente.

Avevano camminato per ore intere tutte le volte che perdevano il pullman per tornare a casa dalle medie.

Vince era bocciato diverse volte, non era bravo a scuola, non gli piaceva studiare. Al contrario Fleur era una secchiona e lui si stupiva sempre, per quanto ribelle era diventata ai suoi occhi, agli occhi della madre e di tutti gli altri, per quanto riuscisse a rispondere a tono alle persone, a scuola era bravissima, riusciva quasi sempre a prendere il massimo nei compiti e nelle interrogazioni.

Era il 15 dicembre del 2007 e il tempo per tutto il pomeriggio era stato sereno, nel cielo era presente quel leggero sole invernale che era piacevole sentirlo sulla pelle in contrasto al freddo del mese.

Vince e Fleur avevano deciso di cenare insieme a casa di lui e guardarsi un film, avevano optato per “Codice d’onore”.

Era stata una serata tranquilla, non erano sorti punti problemi, avevano sorriso e scherzato per tutto il tempo, erano entrambi felici o almeno era quello che credeva lei.

Era buio e lui come sempre si preoccupava per lei così, anche se solo per duecento metri, decise di accompagnarla a casa per sicurezza.

Una volta arrivati alle scale di casa di Fleur lui gli disse sorridendo «Grazie della compagnia eh!». «Tua madre che ore smette il turno all’ospedale?» chiese lei

«Tra poco. Ci vediamo domani va bene?»

«Ci vediamo domani» e con un dolce sorriso diede la buonanotte al suo amico e entrò in casa.

Il giorno dopo non si videro, né quello successivo e nemmeno quello dopo ancora.

Non si videro più.

Non riuscirono più a parlarsi.

Non riuscirono più a sorridersi e a scherzare insieme.

Vince non c’era più.

Non era svanito nel nulla, anche se forse era meglio.

Vince era morto. Si era tolto la vita impiccandosi con la cintura all’armadio di camera sua. Quando Fleur lo seppe, non pianse, non disse niente, sul suo viso non si creò nessuna smorfia di dolore, di sorpresa o altro; sentì solo spezzarsi una parte del suo cuore.

Non andò al funerale il giorno dopo, ma andò a scuola, come se fosse un giorno qualsiasi.

Quel giorno iniziò a nevicare mentre lo portavano in chiesa e lui adorava la neve.

Fleur non si scorderà mai di Vince, lo porterà sempre dentro di sé, si tatuerà perfino una frase in suo onore, ma non pronuncerà mai più il suo nome davanti a nessuno.

Dopo la morte di Vincenzo, Fleur parlava sempre più spesso ad alta voce con Lili senza badare se qualcuno l’ascoltasse, non gli interessava più l’opinione altrui. Aveva smesso di rispondergli mentalmente come faceva quando aveva sei anni.

Negli anni Giovanna, sua madre, si era preoccupata, ogni tanto sentiva sua figlia parlare da sola, era cambiata dopo aver conosciuto quel “Metallaro”, come lo definiva lei, non indossava più i suoi vestiti e non si comportava più come una signorina, come le aveva insegnato.

Alla fine quando sentì parlare per l’ennesima volta Fleur da sola prese seri provvedimenti.

«Con chi parli?» gli domandò un giorno in finto tono gentile

«Con Lili» rispose Fleur con tutta tranquillità.

«Oh Fleur hai 13 anni. Sei grande per avere un’amichetta invisibile sai? »

«Mamma, lei non è un’amica invisibile, lei esiste davvero è….»

«Adesso basta!» scatto in piedi «Sei una signorina, e sei troppo grande per queste sciocchezze. Comportati da adulta!» detto ciò Giovanna andò in camera e non usci dalla stanza fino all’ora di cena, saltando completamente il pranzo e non lo preparò nemmeno a sua figlia, che si dovette arrangiare da sola con un panino.

Il giorno dopo alle 10.30 Giovanna portò sua figlia difronte a un palazzo con grandi finestre di vetro. Il cielo quella mattina era nero e il suo colore veniva riflesso sui vetri del palazzo per cui non si vedeva niente all’interno del grattacielo.

Arrivate al sesto piano furono accolte da una giovane ragazza che le accompagnò fino a una grande porta di legno.

Quando la madre bussò, Fleur sentì provenire dal suo interno una voce di un uomo che gli diceva che potevano entrare.

«Buongiorno Signora» disse lui rivolgendosi alla madre.

Fleur lo stava osservando dal basso con il suo metro e cinquantacinque scarso.

L’uomo aveva un accento straniero, forse inglese, era molto alto ed era anche giovane forse non arrivava nemmeno ai trentacinque anni, ed era vestito in modo elegante. Aveva i lineamenti del viso duri e ben definiti.

Indossava un completo grigio fumo, una camicia bianca e la cravatta che si intonata al completo.

Notò un piccolo dettaglio che forse, anzi, quasi sicuramente a sua madre gli era sfuggito, riuscì a notare che dal colletto della camicia spuntava un leggero disegno nero, forse era una parte di un tatuaggio.

Era sicura che sua madre non lo avesse visto, non gli piacevano i tizi tatuati, diceva che chi aveva tatuaggi e piercing portavano solo guai. L’uomo aveva dei capelli corti completamente neri, come le piume di un corvo, una leggera barba che teneva curata e si notava perfettamente, ma quello che stupì Fleur furono i suoi occhi quando l’uomo abbasso lo sguardo verso di lei.

Erano diversi. Erano completamente contrastanti.

Il giorno e la notte.

Aveva l’occhio destro dello stesso colore suo. Era di color buio che le persone potevano dire benissimo che era nero.

L’occhio sinistro era di un azzurro chiaro, come quello del mare della Sardegna, limpido, senza impurità.

Era incantata da quegli occhi.

Eterocromia.

Aveva letto qualcosa sull’enciclopedia che aveva in casa.

Era una ragazza molto curiosa e amava leggere di tutto.

L’uomo ovviamente si accorse che Fleur lo fissava negli occhi e si formo un piccolo sorriso sulle sue labbra carnose.

Aveva fatto colpo su di lei, ma su chi non lo poteva fare? Un colore del genere di occhi non si poteva scordare così facilmente.

Mentre l’uomo parlava con la madre Fleur iniziò a guardarsi intorno.

Era decisamente un ufficio, pensò subito. Difronte a lei c’era un enorme scrivania in legno con molti quaderni tutti sparsi sopra

“È un insegnante?” pensò.

Dietro la scrivania c’era una poltrona di pelle e ancora dietro, una gigantesca libreria che prendeva tutta la parete, piena zeppa di libri, alcuni rovinati e altri nuovi.

Curiosò ancora e notò che vicino a lei c’era un’altra poltrona e una specie di lettino dove potersi sdraiare e sul suo viso si formò un cipiglio. Era piccola, non stupida.

Alla sua sinistra, sul muro c’erano appesi vari quadri.

Assottigliò lo sguardo su uno di loro e riconobbe che erano delle lauree e attestati di merito, come quelli che teneva sua madre in sala.

Fu svegliata dai suoi pensieri quando sentì chiudere la porta da dove era entrata e si accorse che era rimasta sola con l’uomo.

Erano ancora entrambi in piedi l’uno difronte all’altra e si fissavano.

Le labbra di Fleur formavano una linea dura, aveva 13 anni e le cose le capiva.

«Ciao» disse lui sorridendogli

«Salve, Signore» disse Fleur con gentilezza ed educazione.

Poteva avere tutti i difetti del mondo, ma finché qualcuno non gli faceva qualcosa di male lei era educata e gentile.

«Oh ti prego. Non chiamarmi Signore e non darmi del lei, mi fai sentire vecchio.» Disse sorridendo.

Una volta seduti entrambi, sulle poltrone, l’unica cosa che li separava era la scrivania di legno.

«Io sono Seth.» disse l’uomo presentandosi

“il Dio del caos.” Pensò Fleur

«So che ti piace cercare il significato dei nomi» disse lui

«Si» rispose fredda.

«Hai un nome bellissimo sai?» disse Seth accavallando le gambe «immagino che tu sappia cosa vuol dire»

«Ovviamente» rispose con quel tono saccente che aveva e si voltò continuando a guardare il muro.

«Sei affetto da eterocromia» disse lei sviando dal discorso dai nomi.

Sapeva benissimo cosa voleva dire il suo nome, ma sicuramente lui non lo avrebbe mai sentito dalle sue parole, aveva il suo nome e cognome, poteva cercarlo su internet e scoprirlo da solo, ma sapeva anche benissimo che lui si era accorto che voleva sviare dall’argomento del suo nome, in fondo era parte del suo lavoro.

«Si, si nota eh?» domandò retorico lui

Fleur aveva letto che in certe culture dei nativi Americani l’eterocromia era nominata come “occhi di spettro”, ed era ritenuta dare al suo possessore una doppia vista, sia sull’aldilà che sulla terra, invece le culture pagane dell’Europa occidentale consideravano l’eterocromia un segno che l’occhio del neonato è stato strappato via da una strega, o almeno così aveva letto.

L’uomo la fissava sorridendo, e Fleur si domandò cosa diamine stesse pensando

“E’ inquietante sai?” disse Lili nella sua testa

“Io lo trovo bello” pensò sinceramente e sorridendo Fleur

“E’ bello quanto inquietante”

«Allora…» iniziò a dire Fleur fissandolo dritto negli occhi «Lei cos’è? Uno psicologo?»

«Sono uno psichiatra» disse lui aprendo un quaderno

«Uno psichiatra, sono matta?» disse ironicamente

«Credi di essere matta?» chiese lui

«Matto era il Cappellaio in Alice»

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