Ops

La distanza tra lui e lei era poco meno di un metro, se allungava un braccio riusciva a toccarle la punta del naso, e non solo. Si fissavano da quando lui era entrato in quel bar ancora spoglio, in un duello al primo cedimento di palpebra. Lei si ostinava a non togliergli gli occhi di dosso, il sorriso neutro, il silenzio impetuoso. Lui si lasciava sedurre come il ferro dolce alla calamita. Era arrivato al bancone rischiando d’inciampare tra le sedie e i tavolini ripuliti di fresco, come il profumo di lei. Aveva chiesto un caffè lungo al barista, come se il godimento mattutino volesse farlo durare più del dovuto, pensando (con la libido fuori controllo), di sorseggiare qualcos’altro.

«Caffè lungo per il signore» gli aveva detto il barista, dandogli le spalle, preso da una brioche ribelle che di stare al suo posto, tra le altre in una piramide di un vassoio guarnito, proprio non voleva saperne. «A lei signore» ripeté, come se volesse interrompere l’incantesimo tra i due: lei, strabico sguardo di Venere, pensava di aver già vinto, con il suo talento naturale.

Lui, combustibile solido, percepiva nebulose neuro-ormonali, che da nord a sud minacciavano perturbazioni scandalose e fantasie volutamente oscene. Con l’unico neurone rimasto neutrale, provava a elaborare un’analisi obiettiva della situazione:

«Calma, rilassati, è soltanto un fisico dietro a un ricevitore di cassa, un fisico che beve, mangia e va di corpo, come te». 

Con un sorriso appena accennato, lei plasmava l’affondo strategico e risolutivo. Il suo sguardo, una lama di burro, soffice, profuso in ogni dove, arrivò a solleticare le antenne dell’intruso irriverente, il grillo pedante, che blaterò qualcosa: “Certo, bisogna dire che è proprio un essere incantevole, sì, una venere al registratore di cassa, ma vedrete che le succhierà il midollo, lasciandolo senza spina dorsa…”.

Lui, impasticcato com’era di anticorpi refrattari alla saggezza, silenziò l’ultima sua sillaba, nell’attimo in cui la percezione di lei lo avvolse come un confetto zuccheroso in un sacchettino di tulle, pronto a sciogliersi in un’esperienza gaudiosa, vulnerabile e armonica, in sintonia con il ph emotivo. Pensò di doverle dire: «Ah! Se ti avrei conosciuto prima quanto tempo avessi risparmiato alla ricerca di te».

Ma d’istinto, il dna grammatico lo informava che lo stato in cui versava, presentava controindicazioni linguistiche facendo saltare capsule di congiuntivi. Quindi, decise si rimanere in silenzio, in attesa del soave suono delle sue parole.

«Sofia, o Sofia» chiamò dal retro il barista alle prese con qualcosa d’urgente. Dunque il suo nome era Sofia. Come dire sapienza, ecco il nome di cotanta bellezza…

Il ritmo tribale danzava intorno a un piedistallo reggente l’emblema della perfezione, laddove madre natura aveva espresso il meglio di sé.

«Ahimè! graziosa fanciulla farai di lui ciò che vorrai» furono le ultime parole del grillo pedante, prima di arrendersi ad un cicchetto di cipermetrina, il veleno per gli antennati. Ed ecco che di lì a breve si manifestava l’imponderabile,

«Sofiaaa» fu l’urlo disumano del barista.

«E ssìììììììì» rispose Sofia, in uno stridulo infinito querulo che azzerò il potenziometro del suo fascino. 

“Omioddio, quale straordinaria magia…” si chiese lui, trafitto da unghiate di gesso alla lavagna. 

Avvolto dall’inquietante fenomeno acustico, rimase pietrificato.

Quale inesorabile sentenza fu giammai così straziante?

Lo stupore del mattino, raccolse rivoli di bava ai piedi di quel piedistallo, in un minuto di smarrito raccoglimento.

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Discussioni

  1. Ciao Giovanni. Una situazione banale che è la perfetta ri-costruzione di come osserviamo il mondo: i dettagli conformi alle nostre aspettative, quelli che colpiscono la nostra immaginazione, si impongono, mentre perdiamo di vista il tutto… E quando la verità si presenta mettiamo in atto strategie varie per ridurre la “dissonanza”. Bello.