Ore 12

Serie: Di ora in ora


NELLA PUNTATA PRECEDENTE: Mentre Lina si accinge a preparare il pranzo, accende la TV e vede le immagini sconcertanti della guerra, ricorda l'incubo della notte precedente, poi va sul terrazzo per tagliare qualche foglia di basilico e sente l'inquilino del piano superiore che le chiede di lanciargli la camicia cascata giù.

Stesso giorno, di lunedì. ore 12. Lina aveva lasciato raffreddare le patate lesse, dopo averle trasformate in tanti vermiciattoli morbidi, bianco-giallognoli, attraverso i fori dello schiacciapatate. Improvvisamente le era venuta un’idea per dare un tocco di novità ai soliti gnocchi. Aveva reciso due calendule e sminuzzato i petali. Il giallo amarognolo delle composite con il verde delle foglie di ortica già tritate, li aveva mischiati con la purea di patate,  la farina e i tuorli delle uova. Aveva  amalgamato i vari ingredienti, steso l’impasto e allungato i rotoli di pasta non troppo sottili. Aveva tagliato quei cordoni a pezzetti, con il coltello, rigandoli, uno per uno, con la forchetta. Dopo due minuti gli gnocchi erano affiorati sull’acqua della pentola in ebollizione, già pronti da scolare. Un po’ di salsa, altre foglie di basilico e un cucchiaino scarso di pecorino. Per evitare l’accumulo di lattosio Lina si concedeva, saltuariamente, solo qualche piccolo assaggio di quel formaggio semistagionato; anche se avrebbe divorato, in poco tempo, la forma intera, con la stessa foga di una nidiata di topi affamati.

Aveva lasciato stufare gli gnocchi nel piatto e nel frattempo aveva lavato qualche foglia di lattuga per preparare un’insalata mista, colorata, con tante fibre, vitamine e olio extravergine di oliva del frantoio di Vallermosa. Era un olio leggermente piccante, che pizzicava un po’ la gola, soprattutto quando era novello, con un’alta concentrazione di polifenoli.

Stava per iniziare ad apparecchiare la tavola, quando aveva sentito il suono del citofono. Aveva aperto senza chiedere chi fosse. Dall’altra parte aveva sentito la voce del postino: “Raccomandata per Carolina Cara. C’è da firmare”. Lina aveva preso gli occhiali e le chiavi di casa ed era uscita a ritirare la lettera.

Il mittente era quello del ragionier  Contu; sicuramente conteneva l’avviso per la riunione di condominio. Ordine del giorno: aggiornamenti sulla fattibilità dei lavori di ristrutturazione dello stabile, finanziati dal bonus statale per l’edilizia pubblica e privata. Lina sulla questione era un po’ perplessa. L’ingegnere che un mese prima aveva fatto il sopralluogo nel suo appartamento, le aveva spiegato che bisognava mettere i doppi vetri alle finestre; perciò occorreva sostituire gli infissi del suo appartamento e di tutti gli altri appartamenti del palazzo. Lei era d’accordo per fare il cosiddetto cappotto alla facciata dell’edificio, ormai sgretolata, che avrebbe garantito un maggior isolamento termico. Le finestre però erano ancora nuove, in legno massello, resistente. Aveva chiamato il nipote di una collega per fare la manutenzione, quasi ogni anno. Che fine avrebbero fatto quegli infissi ancora in buone condizioni, insieme a quelli degli altri appartamenti? La stessa fine dei banchi scolastici del suo istituto durante la pandemia: tutti al macero. Quanto spreco!

Lina detestava le riunioni di condominio, tutte quelle discussioni accese, quegli scontri verbali, quei vecchi rancori mai sopiti, quegli sguardi carichi di risentimento e persino di odio. Anche nelle riunioni scolastiche non si respirava un’aria di pace, amore e armonia; però, se non altro, le frecciatine erano più sottili. C’erano i soliti sorrisetti un po’ fasulli, l’ipocrisia del perbenismo e le pacche apparentemente amichevoli degli opportunisti. Gli appellativi cara o carissimo, che non convincevano nessuno; però tenevano a freno gli insulti. Le citazioni dotte del professore di latino, che con la sua supponenza, celava spesso una forma elegante di aggressività velata. E poi c’era sempre qualcuno, di solito era il professor Pibiri, che per chiudere l’assemblea chiedeva puntualmente: “La sapete l’ultima?”. E raccontava una delle solite barzellette del suo repertorio, nonostante la censura del preside, in altre assemblee. Ridevano tutti: quelli che la conoscevano già, quelli che non l’avevano capita e anche quelli che la consideravano stupida o volgare o troppo scontata nel finale.

Ciò che rendeva le riunioni di condominio più pesanti era soprattutto la presenza degli inquilini del primo piano. Lina cercava sempre di evitarli, di mantenere il distanziamento massimo, come se fossero untori positivi al covid. Considerava quelle assemblee, non solo nocive per la sua salute mentale, ma anche rischiose per la sua incolumità fisica. Se le fosse sfuggita, anche involontariamente, qualche parola che poteva disturbare i disturbati cronici del primo piano, ci sarebbero state rappresaglie immediate. Fiori seccati di colpo, cartacce sporche buttate dall’alto, pacchetti vuoti di sigarette, cicche, palline di chewingum… tutto sul suo terrazzo. Ma quel che Lina temeva di più erano gli agguati che avrebbero potuto tenderle, appostandosi sotto il vano scala del palazzo, in attesa che lei uscisse di casa, per aggredirla in qualche modo.

Ogni tanto ripensava a ciò che avevano fatto per eliminare Ciccio, il suo cane meticcio. Le tornava in mente un vecchio fatto di cronaca del 2007, a Riccione. Una giovane donna che lavorava nell’acquario, come addestratrice di delfini, era stata aggredita e uccisa con più di venti coltellate, da un condomino dello stesso palazzo in cui abitava la ragazza. Lei e il suo compagno tenevano due cani e avevano già trovato un’altra casa indipendente, più adatta alle loro esigenze. Stavano per iniziare il trasloco quando il tipo era andato fuori di testa completamente, uccidendola. Era uno che non lavorava, stava sempre in casa, depresso e probabilmente con problemi psichiatrici. Non sopportava che i cani abbaiassero. La ragazza che aveva ucciso aveva trent’anni. Lina si era immedesimata in lei, da subito: all’epoca dei fatti avevano quasi la stessa età. Il pensiero di quel delitto non l’aveva più abbandonata. Quando usciva di casa, ogni mattina, per recarsi a scuola, teneva in tasca uno spray al peperoncino. Per gran parte dell’anno usciva con l’ombrello, anche quando non era prevista pioggia. Il manico era robusto, la punta lunga e affilata. In piena estate teneva in mano la bacchetta che usava in classe per segnare la lavagna, anche quando le vacanze scolastiche erano già iniziate. Non era una bacchetta normale: somigliava a un bastone pieghevole per non vedenti, che lanciando l’estremità in avanti, si allungava. Lei l’aveva modificata: aveva fatto inserire una punta metallica acuminata, da utilizzare in caso di legittima difesa. Era come un punteruolo che poteva bucare i palloncini e persino le palle di cuoio.

Col suo cane avevano messo in atto una guerra lenta, spietata e costante. Lo avevano quasi avvelenato e indebolito con cibo tossico lanciato dall’alto; mentre Lina era a scuola. Lo avevano azzoppato lanciandogli un vaso di coccio pieno di terra. In caso di denuncia da parte di Lina, probabilmente  avrebbero sostenuto che quel vaso era caduto giù dal davanzale della loro finestra, a causa del vento. Lo avevano quasi accecato con qualche espediente criminale e perverso che Lina non era riuscita a capire. Infine lo avevano fatto uscire dal terrazzo per eliminarlo definitivamente.

Anche Lina aveva intenzione di lasciare l’appartamento, per trasferirsi in un borgo tranquillo, senza tutte quelle rogne tipiche dei centri urbani sovraffollati, pieni di gente  sempre in lotta con il tempo, tra sveglie da programmare, cartellini da timbrare, appuntamenti da rispettare, dischi orari da impostare, lunghe file da osservare, che generavano lotte quotidiane con i propri simili. Gente per lo più stressata, frustrata, nevrotica o borderline. Anche lei, a furia di trattenere, resistere, non sbottare come avrebbe voluto, rischiava di implodere dentro.

La casa indipendente dei suoi sogni Lina l’aveva già trovata, in un luogo silenzioso, circondato dal verde delle colline circostanti. Era tutta in pietra, con i coppi sul tetto, il camino, un piccolo giardino sul davanti e l’orticello sul retro. Non era una casa nuova, anzi era piuttosto antica. Non era un rudere, ma c’erano molti lavori da fare. Lina sperava di procurare la cifra necessaria per dare l’anticipo e pagare il resto con un mutuo bancario. Nel frattempo doveva essere cauta.

Erano quasi le 13 quando aveva iniziato ad apparecchiare la tavola e aveva cominciato a mangiare. Subito dopo aveva squillato il campanello. Era andata a controllare, escludendo l’ipotesi che fosse ancora lui. Quello che voleva glielo aveva già dato. Incredibile ma vero: era proprio lui, di nuovo, per la terza o quarta volta; ormai aveva perso il conto. Cos’altro voleva? Lui aveva insistito, sapendo che lei era in casa, ma Lina aveva deciso di ignorarlo ed era tornata a sedersi a tavola; pur avendo ormai poca voglia di mangiare.

L’espressione irritata che aveva intravisto dallo spioncino l’aveva messa in agitazione, facendole passare l’appetito. Aveva mangiato due gnocchi senza sentire se erano salati o insipidi, gustosi o poco saporiti. Li aveva mandati giù tanto per ingerire un boccone, poi aveva preso una bottiglia di Nepente e ne aveva versato un bicchiere. Non essendo abituata e avendo lo stomaco quasi vuoto, quel vino rosso corposo le aveva dato, subito, un senso di leggera euforia. Voleva togliersi dalla testa quella faccia infida che stava condizionando pesantemente la sua esistenza. Aveva bevuto un altro bicchiere di vino, poi era andata a sedersi sul divano. Dopo pochi minuti era crollata.

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Discussioni

  1. Mi sono pienamente immedesimata in Lina. Vivo in un appartamento all’interno di un condominio piuttosto grande, dove tutti sono un po’ degli estranei (al momento del bisogno) ma al tempo stesso informatissimi (nel farsi gli affari degli altri e bisticciare). Quella che manca è un’umanità di fondo. Mi piace come riesci a bilanciare i tuoi racconti, equilibrandoli con momento zen come la preparazione degli gnocchi.

    1. Qualche lezione di yoga e la frequentazione di una scuola zen di shiatsu alcuni insegnamenti li hanno dati. Non e` mai abbastanza, pero`, quando l’ accanimento dei vicini continua, per decenni, con o senza cane. Credo che tu possa capire cosa significa. La tentazione di cedere all’ impulso vendicativo a volte capita. Ma ridursi a diventare meschini non puo` essere la soluzione. Grazie Micol per tutto cio` che mi scrivi e che puo` essere d’ aiuto anche a ridimensionare le varie problematiche in questione.

    1. La storia Ciccio, che in realtà si chiamava Lilla, è in gran parte vera. Ho modificato molti particolari, omesso tante cose, ma il senso della narrazione e alcuni fatti sono veri. So che puoi capire quanta rabbia e quanta tristezza ho provato per la mia cagnetta. Ciao Bettina, grazie.

    1. Ti sono grata per questo commento gratificante. Ingranare con questa serie di episodi, essendo alle prime armi con questo genere di scrittura, e’ stato un parto un po’ travagliato. Ancora non ho completato il finale. L’ ho solo abbozzato nella mia mente. Spero di non deludere.

    1. Un po’ di acquolina in bocca va bene, pero’ se il contenuto nel “piatto” della narrazione e’ tutto li, temo che sia un po’carente. Riflettero’ sul tuo commento. sempre gradito, aspettando il prossimo parere. Ciao