Otalec
Muscoli intercostali spingono e ritraggono un viscoso torace, umidi tentacoli sono tesi a trascinare un cadavere, branchie invertite divorano aria. Il corridoio della stazione spaziale Anchorpoint nel simulare il ciclo dei giorni terrestri è completamente buio. Nella massa nera della notte artificiale niente si muove, ma sembra che lei stessa si animi quando il predatore scatta sparendo con il suo pasto. Intanto che l’oscurità cela la creatura, questa non strappa solo la vita alla sua preda: diventa un mimo di essa. Fino al prossimo convito.
Petto possente, ispida barba a coprire un leggero doppio mento e un respiro bovino sono il biglietto da visita che Howard presenta alle persone. Il minatore di asteroidi è tornato sulla stazione orbitale dopo un altro turno di lavoro sottopagato, non desidera altro di arrivare al suo box abitativo e vedere sua figlia Rebecca. Però prima è necessaria una deviazione.
Quando raggiunge il negozio è chiuso visto la tarda ora, ma, grazie alla conoscenza con la proprietaria, è riuscito a prendere lo stesso la sorpresa per l’amata neo dodicenne: un silenzioso fila brasileiro dal manto striato di nome Whelp. Ormai sono trascorse diverse settimane dalla festa, però non è stato possibile rimediare prima il peloso regalo: gli animali clonati sono merce rara. Sono passati secoli da quando una persona poteva comprare in tutta semplicità un cane, un gatto o qualsiasi altra bestia da compagnia gli venisse in mente. Oggi devi ritenerti baciato dalla dea bendata ad acquistare: una copia che non abbia una scadenza troppo breve; essere un incrocio da laboratorio non riuscito o un sintetico recuperato dai conflitti coloniali. Howard, comunque, ha fatto tutti i controlli del caso.
La porta di metallo riconoscendo il badge del minatore si apre con uno scatto repentino, all’interno una ragazzina con capelli scuri, lentiggini e spessi occhiali, è intenta a spegnere una padella che ha preso fuoco. Rebecca appena vede il padre con voce colpevole riesce solamente a dire: «scusa, volevo farti una sorpresa».
Whelp annusa leggermente la ciotola ripiena di cibo con fare incuriosito; poco dopo alza lo sguardo verso padre e figlia seduti al tavolo. Il minatore di asteroidi cerca d’ingurgitare le pietanze carbonizzate di Rebecca, questa volta sembra peggio del solito. Con i pesanti occhiali che quasi le cadono la bambina guarda per terra, ancora scossa dalle urla di rabbia del padre. Il cane nel trambusto familiare era entrato placidamente nella stanza, come se fosse abituato alla confusione e alle urla. Il corpulento uomo intanto che inghiottisce l’ennesimo boccone rimugina sull’aver calcato troppo la mano. Gli sembra quasi che il silenzio lo stia giudicando. Rebecca balbettando alza leggermente lo sguardo e cerca di spezzare lo stallo: «grazie papà, il regalo è bellissimo». Howard provando a non tradire la sua vergogna per il rimprovero troppo duro afferma rapidamente: «te lo meriti». Vorrebbe aggiungere altro, ma non sa da dove iniziare: troppo ore passate su rocce fluttuanti e troppe poche con sua figlia. La bambina si alza da tavola e va verso il fila brasiliero, guarda il collare scovando una medaglietta che riporta il suo nome. Allunga lentamente la mano per accarezzare il molossoide, intonando quasi una canzoncina: «ciao Whelp, io sono Rebecca e saremo grandi amici». L’animale rimane impassibile. La bambina si allontana di qualche passo, intanto che il nuovo compagno di giochi mantiene la sua posizione da sfinge. Il minatore vedendo la figlioletta delusa cerca subito di rincuorarla: «non ti preoccupare: il tuo nuovo amico viene da molto lontano e ha dovuto prendere delle medicine per dormire, domani quando si sarà ripreso ti farà le feste». Rebecca fa uno speranzoso sorriso al padre.
L’aria tesa di prima sembra che si sia rarefatta, Howard si concede finalmente il lusso di sentire la stanchezza della giornata. Lo sguardo si sposta sull’orologio da polso, il numero che appare luminoso sul display lo convince ad andare a dormire. Dopo una veloce e grossolana pulizia della cucina padre e figlia si lasciano andare al sonno.
La fame si lamenta del carbone della cena obbligando il minatore a svegliarsi con l’obiettivo di mangiare qualcosa. Si alza dal letto intanto che il suo grosso stomaco brontola; quando si trova davanti alla stanza di Rebecca la guarda dormire beatamente. La piccola luce che tiene sempre accesa la notte illumina il suo visino, come al solito ha buttato giù le coperte. La pancia emette di nuovo un insistente rumore. Howard si muove per sistemare il letto, dietro di lui le ombre allontanate dal piccolo lume disegnano la sagoma di Whelp. Il fila brasilero è come un elastico teso che sta per spiccare il volo. Annusa l’aria avidamente per un paio di volte e poi svela la sua bianca dentatura.
Un poderoso colpo sbalza il letto che scaraventa la povera bambina per terra, svegliandola di soprassalto. Rebecca presa dal dolore e dal frastuono che proviene accanto a lei inizia a piangere. Sul muro della stanza sembra messo in scena un ripugnante spettacolo di ombre: tentacoli che si muovono istericamente, corpi che acquisiscono o riducono la loro massa e una mano umana che cerca di tenere lontana la testa del molossoide. La figlia di Howard, praticamente cieca senza i suoi occhiali, urla invocando l’aiuto del padre. Whelp viene scagliato sullo stipite della porta cadendo sul pavimento. Un liquido lattiginoso esce dal suo muso, affermando la sua dipartita e la sua natura da sintetico coloniale. Il corpo del massiccio uomo è sbocciato in un fiore di carne il cui pistillo è una creatura tentacolare. L’abominio risucchia aria affannosamente, quando è convinto della sua vittoria si muove verso la bambina. Rebecca si ritrova di nuovo nel silenzio, sentendosi osservata senza scorgere nulla si gira insicura verso il mostro.
Il buio fittizio della stazione Ancorpoint si propaga per tutto il corridoio. Un sommesso pianto riempe il vuoto ambiente. Una ragazza addetta alla sorveglianza, al sentire tale rumore, sposta la sua torcia in quella direzione. La lama di luce illumina una bambina, con il volto rigato dalle lacrime, che con un sorriso smagliante sussurra tra sé e sé: «ho fame».
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Ciao, da buona amante del fanta/horror fin dalle prime righe mi sono calata nelle atmosfere di Species ;D