
PAROLE LEGGERE
-La più importante e formativa lezione non fu quella che diedi, ma quella che imparai.-
Aprendo la porta, quel pomeriggio, mi ritrovai in consegna un giunco di ragazzino, quattordicenne, spaesato che probabilmente non aveva proprio alcuna intenzione di venire a fare doposcuola con lāamica della madre, quella tanto declamata prof. miracolosa che avrebbe fatto la āmagiaā di trasformarlo da pietra refrattaria alla lettura a potente magnete per le parole in libertĆ che affollavano racconti, novelle e romanzi.
In effetti, sulla soglia, ci scrutammo velocemente, sospettosi entrambi. Io forse troppo giovane ai suoi occhi e poco polverosa per essere quella che avrebbe dovuto insegnargli lāamore per la lettura grazie a storie scritte da autori, nella maggior parte dei casi, morti e sepolti. Lui, Vincenzo, non aveva per nulla lāaria del tipico studente ribelle e svogliato, anzi mi sembrò un poā impacciato e introverso, ma sicuramente curioso; infatti con i suoi occhi nocciola e le sue lunghe ciglia nere vagava a perlustrare non solo la mia persona, ma anche la āstanza della torturaā dove lo avrei sacrificato sullāaltare del dio LIBRO.
Porgendomi la mano per un saluto ufficiale da grandi, abbozzò anche un timido sorriso di cortesia sotto la leggera peluria nera che gli incorniciava delle labbra ancora da fanciullo. Il saluto della mia amica fu un misto tra convenevoli e sfogo materno, a tratti isterico, di chi affida un malato terminale allāultima cura, anche la più balzana, ma che possa dare una speranza.
– Ciao, mia cara, ti trovo davvero beneā¦Ti lascio Vincenzo per due orette, vedi che devi fare con questo pigrone, io non ce la faccio più! Non sai che umiliazione ai ricevimenti sentirmi dire che ĆØ sempre distratto, con la testa tra le nuvole, che scrive male e non vuole leggere mai neanche in classe. Hanno ragione i professori! Eppure gli ho comprato centinaia di libri, di qualunque genere potesse piacergli: li prende, sfoglia le prime pagine e li posa nuovamente in libreria. Spesso passa il tempo con la testa piegata sulla scrivania ad occhi chiusi. Ma quanto sonno ha, sto figlio mio? Dagli una svegliata, per favore! Lo passo a prendere alle 18.00; poi dobbiamo ritirare dallāottico gli occhiali, probabilmente non legge anche perchĆ© ha problemi di vista e si stanca. A dopo!ā
Mi inondò in 5 minuti con le sue parole, del resto io adoravo la mia amica Claudia per questo, perchĆ© riusciva ad essere una persona concreta e pratica, ma nello stesso tempo ironica. Io no, io sono quel genere di individui che lambiscono la realtĆ come fanno i gabbiani con il mare: non la so attraversare a nuoto, devo volarci sopra per vederla dallāalto e per poterla vagamente capire.
Feci sedere Vincenzo nel soggiorno, e cominciammo. Intanto gli chiesi di dirmi chi era.
Lui fece unāespressione ancora più stupita del solito e, a voce bassa, mi rispose:
– Come chi sono? Le ha giĆ detto la mamma-
– Quello ĆØ chi sei per la mamma e perchĆ©, secondo lei, non vuoi leggere:Io voglio sapere da te chi sei e perchĆ© non vuoi leggere-
Rimase in silenzio: era impreparato a questo tipo di domanda. Decisi allora di dargli un foglio dove scrivere tre aggettivi che lo rispecchiassero e tre parole che associava alla lettura.
Lessi:
– IO: TISTE, TRISTE, TRISDE
– LETTURA: CāORSA VELOCE, NEBIA, ANCOSCIA
Vincenzo non aveva difficoltĆ solo con la lettura, ma sconosceva anche lāortografia. Intuii subito che il problema era di natura diversa, poichĆ© avevo seguito dei corsi di formazione sulla dislessia e ne individuai i segnali di allerta. Dopo avere sintetizzato brevemente la trama, chiesi a Vincenzo di leggere insieme una pagina del romanzo āIo e teā di Ammaniti, nel punto in cui Lorenzo, il protagonista, dicendo una bugia si rinchiude in una cantina per una settimana perchĆ© non riesce a relazionarsi con il mondo esterno. Sembrava che la storia lo interessasse parecchio, perchĆ© prima di iniziare a leggere, esordƬ dicendo: – Beato lui!-
Dopo i primi 15 righi, un bel poā di pause, parole e sillabe invertite, mi disse che era stanco, che si era annoiato.
Tirai un sospiro di sollievo: Vincenzo era normale, era soltanto disortografico e dislessico. Avrei detto alla mia amica di sottoporlo ad un test accurato da parte degli specialisti per confermare o meno il mio sospetto. Gli feci una carezza e non si scostò. Gli dissi allora che aveva ragione, che era proprio stancante e che andava bene così. Gli proposi di incrociare le braccia sul mio tavolo color mogano e di poggiarvi entrambi la testa ad occhi chiusi.
Nel silenzio cominciammo a parlare.
-Sai non ĆØ che non voglio leggere, ĆØ che le parole mi scappano via dalle pagine, corrono leggere ed io non riesco ad acchiapparle.-
-Non ti preoccupare, Vincenzo, tra poco la loro corsa diventerĆ una danza regolare e sarai tu a coreografarne i passi. Adesso raccontami che accade nella cantina a Lorenzo-
Iniziò a inventare una storia stupenda che probabilmente sarebbe piaciuta pure allāautore Ammaniti⦠Ed io capii che si può leggere in tanti modi, anche al buio con la testa tra le braccia.
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Mi piace…ĆØ scorrevole ed istruttivo
*forbito nella sua semplicitĆ .
Bellissimo racconto che solo la mia collega Adriana , con la sua profonda sensibilitĆ ed eleganza , poteva scrivere!..Prosa fluida e linguaggio cirbito
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