Perpetual Connection

Avvicino il viso allo scanner, il raggio verde riconosce la mia retina, il cancello del parco si dissolve sulle note di My way di Sinatra.

And now, the end is near and so I face the final curtain…

Sul monitor, incastonato in uno dei due pilastri dell’entrata, appare a tutto schermo un’icona a forma di occhio.

«Bentornato al Parco dei Redivivi, tecnico Marco. Ti aspettano al C350-F42, sei in ritardo.» 

La palpebra sbatte due volte.

«Buonasera, Custode. Gentile come sempre, vedo.»

L’occhio punta verso il basso.

«Mi piace la tua nuova borsa degli attrezzi, tecnico Marco. Hai portato il DNA del trapassato o l’hai dimenticato alla Perpetual Connection… di nuovo?»

La palpebra si abbassa e si rialza a simulare un occhiolino.

«Tutto pronto per il prossimo immortale, Custode.»

Scompare l’occhio e spunta la faccia di un clown.

«Venghino siore e siori, venghino. Non è stregoneria, è tecnologia! Ti avverto, la signora Visconti ha già chiesto tre volte che fine abbia fatto il tecnico dell’innesto.»

Storco il naso.

«Tutti impazienti di tormentare i poveri trapassati! Non addormentarti Custode, voglio uscire da questo posto prima che faccia buio.»

Il clown sul monitor zufola, emette una risatina soffocata.

«Paura eh?!»

Prende pure per i fondelli, chi lo ha addestrato deve essere proprio un imbecille.

Scuoto la testa e mi avvio a larghe falcate verso il settore C350. Il sole è basso dietro i tronchi della foresta di umani riconvertiti. Una fetta di luna acquosa sorge a est, chissà se, in qualche modo loro la possono ancora ammirare.

Accelero il passo, svolto nel vialetto C350. Al posto F42, in piedi, con i pugni chiusi sui fianchi, c’è una donna. Un raggio di sole radente le colpisce la nuca, i capelli a spazzola color argento sembrano irrorare un’aureola intorno al capo. Deve essere la Visconti.

«Credevo non arrivasse più signor…come si chiama? Non le insegnano la puntualità alla Perpetual Connection?»

Cerco la versione più empatica di me, mi avvicino con il braccio teso.

«Berni, Marco Berni. Buonasera signora Visconti, mi scuso per il ritardo.»

Mi squadra dall’alto al basso, sofferma lo sguardo sui mocassini in similpelle marroni, fa una smorfia. Ritiro in fretta la mano, mi liscio la camicia a quadretti azzurri, scommetto che ha da ridire anche su questa.

Allunga di scatto un braccio e mi pianta il pugno chiuso a una spanna dal naso, gira il polso all’insù, apre il palmo. Dentro c’è un device di memoria. Meno male, temevo volesse mollarmi un cazzotto.

«Facciamo in fretta. Ho promesso a mio marito che sarei rientrata per cena.»

«Certamente, in un batter d’occhio potrà parlare con il Soggetto.»

Afferro il device, con il gesto di una mano invito la donna ad avvicinarsi all’albero prescelto, un platano di 200 anni.

La Visconti mi precede ondeggiando sugli stiletti tacco 12. Uno scoiattolo le taglia la strada, la signora barcolla, schiaffeggia l’aria con le braccia.

«Brutta bestiaccia via!»

Recupera l’equilibrio, raddrizza un ciuffo di capelli che penzola sulla fronte.

«Non potevo certo caricare tutto sul cloud, capisce?»

Rotea gli occhi intorno, l’indice davanti alle labbra, come se gli alberi avessero le orecchie.

«È una faccenda riservata, sa…»

Annuisco, avvicino il device allo schermo appoggiato ad una colonna piantata tra due radici del platano. I video, le foto, i messaggi, il backup di un essere umano scorre sul monitor. Non mi abituerò mai a questa fase del mio lavoro. La Visconti batte la punta della scarpa su una delle radici, incarognita per qualche oscuro motivo con l’albero.

«Ha già ricombinato il DNA di Stefano? Quell’idiota mi deve dire dove ha nasc—» 

La saliva le va di traverso, tossisce.

«Volevo dire, si spicci e basta.»

Estraggo l’iniettore dalla borsa degli attrezzi e lo infilzo nella radice più massiccia. Un liquido denso penetra nell’albero insieme al DNA del defunto e ai nano bot di veicolazione. Smanetto sul monitor touch. Il software non rintraccia i segmenti di DNA ricombinante nel platano per il match. Strano.

La donna sbuffa, tira un calcio al tronco.

«Maledetto, ti rifiuti di legarti al mio Stefano?»

Fulmina con lo sguardo l’incolpevole pianta, allarga le braccia e sbarra gli occhi su di me.

«Mi avevano assicurato che lei è il miglior tecnico della Perpetual Connection!»

Certo che sono il migliore, zoccola.

Un latrato di cane esce dal monitor dell’albero vicino, una betulla dal tronco candido che spicca nella penombra. Il sole è tramontato e la Visconti sempre più alterata.

«E tu che hai da lamentarti? Almeno ti hanno ricombinato…»

Si gira verso il platano, gli occhi fuori dalle orbite. Singhiozza.

«Questo stupido albero non si vuole ricombinare con il mio Stefano!»

Mi chiedo come mai tanta ansia di contattare in fretta e furia il suo amante defunto.

Sul monitor della betulla scorrono i dati della memoria del cane: i piedi di un umano, scarpe da running. La ripresa va su e giù, spuntano delle braccia e una lingua che lecca una guancia. La donna punta il dito verso le immagini.

«Il cane lupo di Stefano!»

Il video riprende l’uomo di spalle, cammina in un giardino, trova una finestra, schegge di vetro cadono all’interno, scavalca il davanzale, inciampa in un tappeto damascato, finisce contro lo spigolo di un camino in marmo, smanaccia in cerca di un appiglio. La Visconti strabuzza gli occhi.

«Quella è casa mia!»

Appoggia il dorso di una mano sulla fronte, la testa all’indietro nel gesto di svenire. 

L’intruso sposta un quadro, apre la cassaforte. Estrae una scatola, rovescia il contenuto in un sacchetto di iuta. Una donna con i capelli a spazzola color argento scende da una scala, punta una pistola e spara. L’uomo rovina a terra, il cane azzanna il sacchetto e salta fuori dalla finestra. Zampe scavano sporche di terra. Il video si interrompe. Incrocio lo sguardo spiritato della Visconti.

«Io…io avrei dovuto ammazzare anche quel cane rognoso!»

Che stronza. Cammino a passi lenti intorno alla donna, sembra trasformata in una statua, mi gratto la nuca. Non c’è nessun bug nel software, nessun errore nell’editing genomico: Stefano rifiuta l’immortalità.

Luci bianche e blu lampeggiano sui tronchi. Custode ha chiamato la polizia. Ne ho abbastanza, col cavolo che resto in questo posto di notte!  Percorro a ritroso il vialetto C350, la luna accarezza la sommità delle fronde. Chissà se loro la possono ancora ammirare, in qualche modo. 

Un ululato si alza alle mie spalle, trasportato dalla brezza.

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Discussioni

  1. Ciao Clara, un’ottima scrittura immersiva e zero infodump su un tema che adoro, mi ha dato molte vibes alla San Junipero o Upload. Ho dovuto rileggerlo almeno un paio di volte per coglierne tutte le sfumature ma ne è valsa la pena. Purtroppo il limite di 1000 parole non aiuta molto in questi casi, mi sarebbe piaciuto qualche piccolo dettaglio in più sulla foresta di riconvertiti e sul processo di riconversione. Spero che ne riparlerai in uno dei prossimi racconti.

    1. Ehh gli spiegoni cerco di evitarli come la peste. San Junipero uno dei migliori episodi di Black Mirror. In questo caso più che immortalità virtuale l’idea è quella di una riconversione anche biologica tramite manipolazione del DNA. Insomma maglio che essere backuppati in un androide o stipati in una macchina quantistica diciamo… il nostro Stefano in ogni caso ha preferito rifiutare l’immortalità, sarebbe bello approfondire il motivo 😉 L’ispirazione è arrivata dalla tecnica CRISPR. Grazie

      1. Beh, dipende. Io preferirei l’androide 😀
        Interessante la base scientifica in ogni caso. Sì, sulle motivazioni di Stefano mi sarebbe piaciuto saperne di più, non so se ci sono indizi che non ho colto nel testo oppure se li troveremo in altri episodi. In ogni caso spero di rileggerti presto. Ciao.