Pioggia sacra

Improvvisamente il sole venne imbavagliato da un nuvolone gigantesco.

Un lampo.

Un tuono.

Poi il cielo aprì come una diga. E raffiche di vento e pioggia dappertutto. Sulle case, sulle auto in coda, sui gatti. L’acqua grondava giù dalle nuvole come mosto dagli acini d’uva. Rendendo tutti ubriachi. La pioggia a Firenze, come il vento in Spagna, rende folli. Fa ricordare. Fa paura. E senza il minimo riguardo, quel giorno, frustava la cupola del Brunelleschi, sferzava gli Uffizi, scudisciava il David nella schiena, affogando i fiorentini che imprecavano fra un goccione e l’altro. Il cielo oramai era completamente nero con venature color cenere. E acqua a fiotto continuo.

Ovunque. Nei pertugi dei finestrini delle auto, nelle fessure delle scarpe, nelle bocche spalancate, nelle orecchie.  Non c’era verso di trovare riparo. Gocce nei colletti, nelle buste della spesa, sugli occhiali appannati, sui giornali arrotolati. I tombini sembravano tante ingorde bocche spalancate. Pioveva dappertutto. Sugli atri muscosi, sui fori cadenti. Sul venerabile Porcellino. Su Ponte Vecchio. Sui calzajuoli. Sui pensieri, sui tramvieri. Pioveva perfino sull’orgasmo di una moglie fedifraga, rilasciata fra le coperte di seta come una gatta, e pioveva sul marito becco che lavorava, innamorato. Pioveva persino sul bagnato!

 Al mercato di San Lorenzo si avvolgevano le pelli, si copriva la mercanzia, si bestemmiava in tante lingue. Era tutto un gran vociare, uno sbracciare, un ripararsi. Ma quel giorno il tempo non faceva ammende. Sembrava che il sole fosse andato in un’altra galassia e avesse lasciato qua in terra solo acqua a rovesciare copiosamente su bancarelle, venditori ambulanti, trippài. Ilario si affacciò dal suo bar col cencio in spalla, osservò il cielo nero, torse la bocca e poi borbottando tornò a fare i suoi caffè al vetro. 

 

Anche nei paesi limitrofi la stessa storia. Pioveva a dirotto su Scandicci, sull’Albergaccio. Pioveva sulle rane del Mugello che sguazzavano felici nel fango.  L’impeto del vento sbatteva a destra e sinistra quei povericristi sorpresi in motorino e in bicicletta. Qualcuno finì nei fossati, in anticipo sulla data di scadenza. Tragedia. La FIPILI, poi, era interamente congestionata sia in entrata che in uscita. Rumori di clacson. Macchine, paralizzate in fila, salassate da quel nubifragio senza tregua. I tergicristalli a tutta forza frinivano come cicale impazzite.

Un fronte temporalesco, incagliato da giorni fra le cime montuose, è stato liberato da una corrente siberiana. Si avverte la cittadinanza di uscire solo per emergenza. Temperature in calo. La situazione dell’Arno è stazionaria.” proclamò il TG regionale.

Unica, distratta, sembrava essere la radio che cantava carezzevole: “Tevas, hacia allá como en sueños, dormida Alfonsina, vestida de mar.” 

Poi anche la musica fu interrotta da un’edizione straordinaria:

“Interrompiamo le trasmissioni per le ultime notizie. Nella Val di Pesa, a causa delle forti piogge, sono riaffiorati alcuni resti di spoglie umane. Il macabro ritrovamento è avvenuto circa un’ora fa ad opera di un guardiacaccia. Ciò che al momento possiamo dirvi è che dai primi accertamenti trattasi principalmente di donne. Si riaffaccia l’ipotesi del Mostro? A più tardi per gli aggiornamenti.”

Un curato di quelle campagne spense la radio, rimanendo immobile accanto alla finestra della sacrestia. Indossava l’abito talare pronto per l’ultima confessione della giornata. Neppure con un tempo da lupi si può riposare in pace, pensò, certi peccati urlano più forte del vento. Il sacerdote si sistemò nel confessionale ligneo, trasse un sospiro smorzato e poi, di nuovo, udì quella voce.

Quella voce che si confessava per l’ennesima volta.

“Dimmi figlio…”

“Padre, quella donna era sulla strada. E mi guardava con occhi disumani. Ho provato a resistere ma non ce l’ho fatta. Le ho parlato, l’ho caricata. Durante il viaggio aveva sempre quello sguardo. Non ha mai proferito una parola, sapeva molto bene chi ero. A casa si è diretta verso la camera da letto, come una padrona di casa. Come una moglie, capisce? Si è spogliata. Me la son trovata così, nuda, bestiale, con quegli occhi di ferro e quei seni… Diomio… fuori controllo. Allora mi sono avvicinato, le ho stretto il collo forte e ho visto l’anima uscirle lentamente dalla bocca. Per sempre. Adesso anche lei dorme nel giardino della chiesa. Con le altre. In pace, Padre, in pace!”

Adesso il pievano aveva la testa fra le mani, in una pozza di sudore, il cuore chiuso in un silenzio assordante.

Aspettavano entrambi.

Poi la solita voce supplice ruppe quel silenzio intollerabile.

“Padre, mi assolva.”

“Io assolvo te nel nome del Padre, del Figlio e…” ma la formula stavolta gli si gelò sulle labbra.

Fuori dalla chiesa gli ultimi goccioni d’acqua tamburellavano sempre più sporadicamente il soffitto,       restava solo il vento ad ululare.

Un’imposta sbatté in lontananza.

Adesso quella voce era solo un frusciare di nastro.

Il prete si alzò, premette STOP sul registratore, e uscì dal confessionale.

 

D’improvviso un lampo accese il rosone trasformando il pavimento di marmo in un gigantesco occhio di luce.

Poi di nuovo il buio.

I passi del prete riecheggiarono nella canonica vuota.

Silenzio.

Il colpo di pistola fu coperto dall’ultimo tuono.

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