
POESIE
Camminavano già da un quarto d’ora. Per terra c’era bagnato; quando passavano su qualche pozzanghera si sollevavano piccoli spruzzi d’acqua. Avanzavano lentamente, stando vicini e strascicando leggermente i piedi.
Poi il vecchio si fermava e, posando la mano sulla spalla dell’altro, più giovane, gli parlava, gli spiegava qualcosa.
“Vedi, amico mio” diceva “la vita non vale poi molto; quasi niente, direi.”
Respirava un attimo l’aria fresca e umida del pomeriggio, e continuava “non vale proprio un accidente: lavori tutto il giorno, ti rompi la schiena, e perché? Per il denaro? No, anche il denaro non vale niente, non basta mai!”
Si fermava ancora. Gli occhi diventavano lucidi, quasi bagnati; la voce era meno sicura.
“Le avevo scritto delle poesie, sai, quando ero giovane. Erano molto belle; mica le solite sviolinate piene di parole dolci e grandi promesse, no. Erano veramente belle.”
In lontananza si sentiva rumore di traffico, qualche clacson, una sirena. I due continuavano a camminare, vicini, fuori dal tempo e da tutto il resto. Il più giovane era biondo, alto e robusto; ogni tanto guardava l’orologio. Sopra di loro il cielo era nuvoloso; una leggerissima pioggia inumidiva i capelli e i vestiti.
“E sai perché nessuno è mai contento di quello che ha? Lo sai? Perché vede sempre qualcuno che ha più di lui. L’invidia, è l’invidia alla base di tutti i mali. Sì, sì.”
Una pausa di silenzio. Il giovane si guardava le scarpe bagnate.
“Non ne ricordo più nemmeno una, di quelle poesie, proprio no. Un giorno ne scrissi una così intensa e toccante che lei pianse un pomeriggio intero. C’era dentro tutto quello che sentivo, e non riuscivo a dirle con la voce. Lei pianse ma fu molto contenta, poi, e la rileggeva spesso. No, no, non ne ricordo neanche una. E dire che erano così belle.”
Le nuvole si erano allungate, nel cielo, sospinte da un vento leggero. Lo stesso vento colpiva i due uomini, scompigliava i loro capelli, asciugava le gocce di pioggia sulle loro schiene. Non li faceva rabbrividire, però. Fuori dal tempo, fuori da tutto.
“Sai” disse il vecchio, e la sua mano stava ancora lì, sulla spalla un poco bagnata “era così contenta che gliele scrivessi, e io dovevo farlo, per buttare fuori ciò che avevo dentro. Ma è passato tanto tempo. Tutte sparite.”
Il vento li colpiva ancora, ma debolmente, quasi fosse una pietosa carezza.
Si fermarono davanti ad una grossa porta metallica. Il giovane premette un pulsante e parlò nel citofono: “detenuto in entrata, apri la cella 34.”
Dopo aver percorso un lungo corridoio il vecchio si sentì stanco, sedette sulla solita panca di legno e prese un blocco di carta bianca, assieme ad una matita. Quando più tardi suonò l’ora della cena, il foglio era ancora vuoto: nella testa del vecchio non c’erano più ricordi.
Avete messo Mi Piace4 apprezzamentiPubblicato in Narrativa
Il finale è perfetto. Così doveva essere.
‘Fuori dal tempo, fuori da tutto.’ Un racconto molto toccante e delicato, un tema difficile che hai trattato con la leggerezza di quell’aria fresca da respirare. Nelle parole del vecchio c’è il rammarico di una vita gettata via, le occasioni perdute e il tempo che trascorre inesorabile e ti lascia indietro. Tutto questo ho sentito e tutto questo mi hai trasmesso. Credo che sia uno dei tuoi racconti migliori. Bravissimo
Ti ringrazio molto.. sai scavare nelle righe dei miei brevi testi con passione e interesse.. e di questo sono sinceramente onorato
Ciao, Furio. Ho letto tra i commenti che temi di nin non essere stato chiaro nel finale e se la tua intenzione era di essere univoco magari hai ragione. Però questo finale così è bello, perché lascia che ognuno di noi entri nel protagonista a modo suo, per la propria esperienza. Mi è piaciuto.
Grazie, Francesco.. confesso che non mi piace essere troppo ‘esplicito’ nelle chiusure.. aggiungo soltanto una frase del grande Pessoa: “il poeta è un fingitore”
Triste e malinconico, con un piccolo colpo di scena finale.
Davvero interessante! Bravo.
Ti ringrazio per la lettura e il commento.. sono brevi storie che mi piace mettere sulla carta (e nella fibra ottica..)
Bel racconto, Furio. Molto malinconico, molto ben descritto il personaggio, con il suo stato emozionale “crepuscolare”. Mi piace.
Grazie Giancarlo.. ma credo di essere stato poco chiaro nel finale..
bello, Furio, così malinconico e dolce. E poi una scrittura calma come la rassegnazione del vecchio: l’acqua delle pozzanghere e tutto il resto sembra muoversi al rallentatore nel tempo senza tempo del carcere. Poi anche la poesia scompare, e chissà se per lui non sia meglio o se è quella la pena più grande.
Grazie Francesca.. è vero.. è pieno di malinconia, come la perdita dei ricordi, le tracce dei nostri giorni vissuti.
P.S.: anche se a volte, certe cose è meglio dimenticarle…
se solo si potesse, ma la memoria è spesso peggio della pietra.