Pomeriggio a Nervi

Genova.

Una città unica, in Italia, per morfologia territoriale.

Genova è incontenibile, si arrampica e allarga i suoi tentacoli come a proteggere il suo Golfo ed abbracciare l’intero Mar Ligure. 

E’ una distribuzione gaussiana che si protende il più possibile fino ad esaurire le proprie code ad oltre dieci chilometri di distanza dal Porto, a Voltri sulla Riviera di Ponente e a Nervi su quella di Levante.

Nervi è il primo grande agglomerato residenziale che si incontra arrivando da est. 

L’autostrada A12 da La Spezia, impegnativa ma sempre di grande suggestione, è tutta un susseguirsi di cantieri con restringimenti continui di corsia e scambi di carreggiata. 

Quando si esce al casello, è quasi una liberazione. 

Io dovevo raggiungere un parcheggio coperto trovato su Google Maps, a pochi passi dal borgo marinaro. 

Guidai per altri dieci minuti sulla via Aurelia, passando in mezzo al trafficato ed aggrovigliato quartiere di Quinto Al Mare. 

E Nervi io la sorpresi così, aggrappata ad un balcone rigoglioso e verdeggiante, penzolante su uno strapiombo.

Lasciai la mia vettura al parcheggio come da programma.

Avevo due ore di tempo, poi avrei preso il treno che mi avrebbe condotto nel cuore di Genova risparmiandomi le inevitabili nevrosi di un centro perennemente congestionato. 

Avevo un appuntamento d’affari importante, non potevo permettermi il minimo ritardo.

Ma anche quando ero via per lavoro, se potevo mi prendevo un po’ di tempo solo per me.

Perché sapevo di vivere in un Paese che non avrebbe mai smesso di stupirmi.

Passai di fianco a una chiesetta e poi feci una gimcana che mi parve gravosa già in discesa.

E mi trovai, in un quarto d’ora circa, al Porticciolo.

Mangiai un tramezzino e poi presi uno spritz.

Non era ancora Marzo e il sole mi arrivava dritto negli occhi.

Un sole invernale, tiepido ma irriverente, di quelli che avresti voglia di tirare giù una tapparella e rimanere in letargo fino a nuovi avvisi.

L’aria sapeva di mare, e il vento mi costringeva continuamente ad aggiustare il bavero della giacca.

Guardavo i pensionati con i loro cani al guinzaglio.

Li vedevo incedere piano, mezzi curvi, con il volto pietrificato.

Sembravano personaggi de La Storia Infinita.

Mi chiedevo a chi avrei somigliato io da anziano.

Se sarebbe valsa la pena arrivarci.

Il decadimento fisico mi faceva molta paura.

In prossimità del Porticciolo iniziava la passeggiata Anita Garibaldi con una piccola scalinata sufficiente a farmi guadagnare una posizione di privilegio panoramico.

La passeggiata si estende per circa un chilometro e mezzo fino quasi all’ingresso nel comune di Bogliasco.

Fotografai il Porticciolo dall’alto poi mi incamminai su quella stradina di mattoni rossi che costeggiava una scarpata che rovinava direttamente in mare. 

La percorsi e ne assaporai la tortuosità con la dovuta calma, tra un’aiuola e l’altra.

Mi fermai ad immortalare gli scogli neri.

Una donna di fianco a me, sola, guardava dritta verso l’orizzonte dove si stagliava quella che pareva una nave da crociera.

Mi caddero a terra gli occhiali da sole e li afferrai appena in tempo, prima che mi scivolassero giù dal dirupo.

Mi scappò un’esclamazione colorita che tradiva le mie origini emiliane.

Lei si mise una mano davanti alla bocca per soffocare una risata.

Non potei che rompere il ghiaccio.

Si chiamava Mary.

Era un diminutivo, ma che importava…

Viveva a Imperia ed era venuta a trovare l’anziana madre.

Conosceva bene Nervi.

Nervi, mi disse, non colpisce l’immaginario e non ha un nome evocativo come località limitrofe quali la stessa Bogliasco e soprattutto Camogli. 

La gente tendeva a considerarla a torto come un distaccamento di Genova e non come un paese a sé stante. 

Parlammo a lungo, come chiusi dentro a un dipinto o alla scenografia di un film di Tornatore.

Il respiro di Nervi era quasi sonnolento, languiva e si soffermava ad ascoltare il mare che si infrangeva su quella scogliera nerissima, martoriata nel corso dei secoli dall’irruenza del mare che l’aveva scolpita rendendola simile alla superficie di una grotta. 

Un pullulare di stalagmiti abbracciato sotto ai nostri occhi dai parossismi dell’acqua in una densissima schiuma

bianca.

Ci incamminammo assieme facendo il percorso inverso e ritornando al Porticciolo.

Ci infilammo dentro ai creuzas, quei viottoli angusti tipici dei paesi liguri.

Scherzavamo osservando le abitazioni che traboccavano di tonalità calde.

Giallo, ocra, arancio, rosso.

Le finestre alte e strette, con le persiane verde scuro

Ci fermammo in un bar, gustammo un gelato e un caffè americano.

E poi le offrii una sigaretta.

Mi disse che prima o poi si sarebbe decisa a smettere.

Troppe persone accanto a lei si erano ammalate.

Ma non seppe resistere, e ce la assaporammo nel silenzio rotto solamente dalle grida di qualche pescatore.

Poi, trasportati dal torrente in piena delle nostre storie mai raccontate, ci ritrovammo a passare sotto alla ferrovia in corrispondenza della stazione.

Mi condusse verso l’entroterra per farmi vedere i Parchi di Nervi. 

Giardini dalle reminiscenze tropicali che ospitavano smisurate ville private.

Villa Grimaldi Fassio, Villa Saluzzo Serra, Villa Gropallo e Villa Luxoro. 

Tutte fatte edificare tra il sedicesimo e il diciottesimo secolo ad eccezione di

quest’ultima che è del 1903.

Guardai l’ora e mi prese quasi un colpo: mancavano meno di dieci minuti al mio treno.

“Ci lasciamo così?” le dissi. “Tu devi portarmi a Voltri, mi dicono che è ancora più bella“.

“Voltri?”. Scoppiò a ridere. “Voltri è ‘na traggedia! Ti porto a Varigotti e gli occhi ti usciranno dalle orbite, ma se non ti spunti quelle sopracciglia ti lascio a Borghetto Santo Spirito e poi ti arrangi”.

Ci scambiammo i numeri di telefono.

Salii sul treno e con il sorriso di un bambino la guardai divenire sempre più piccola, per poi farsi inghiottire dagli eucalipti e dai pini marittimi.

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Discussioni

  1. Molto poetico, decisamente coinvolgente. Conosco bene i luoghi di cui parli e le tue descrizioni sono immersive, pittoriche. La narrazione costituita da periodi così brevi non è la “mia tazza di tè”, ma ne padroneggi l’arte molto bene.