
Poveri tutti
La TV accesa, come al solito, non prometteva niente di buono, neanche sotto le feste. Mario Franco Cao – conduttore del tg3 – aveva appena annunciato le ultime notizie sulla guerra; i soliti scontri e disaccordi politici sulla manovra finanziaria; qualche fatto di ordinaria corruzione e ancora altri morti, in montagna, travolti da una slavina. Il caldo anomalo aveva sciolto la neve, precipitando lungo il costone roccioso, sugli scalatori che risultavano, in parte, ancora dispersi.
In tutto quel marasma di veleni e sciagure, solo le parole pronunciate dal Papa, i suoi accorati appelli ai potenti della Terra, per un accordo di pace, e le continue esortazioni alla fratellanza e alla carità, risuonavano come una voce fuori dal coro, con una forte carica di umanità.
Laura aveva spento il televisore e aveva preso il cellulare. Per qualche minuto si era soffermata a curiosare tra le news poi, scorrendo i post su Facebook, aveva letto una petizione da firmare a favore dei bambini della Siria.
Undici anni senza casa.
Undici anni senza scuola.
Undici anni di paura.
Undici anni di guerra.
Tra un post e l’altro molte citazioni e frasi celebri.
“Ogni uomo è colpevole di tutto il bene che non ha fatto.” (Voltaire)
“Le guerre vengono dichiarate dai ricchi e potenti,
che poi ci mandano a morire i figli dei poveri.” (Gino Strada)
“Occhio per occhio servirà solo a rendere tutto il mondo cieco.” (Mahatma Gandhi)
E poi, continuando a scorrere le pagine virtuali, molte ricette golose, le immancabili fake news, profumi e gioielli da regalare, e tante belle proposte pubblicitarie di eventi e viaggi, per festeggiare l’arrivo del nuovo anno, con le solite usanze e tante belle speranze. Laura a quel punto aveva dato uno sguardo ai vari menù proposti per il cenone di capodanno. Prezzo minimo 100/120 euro a persona; 200/240 euro a coppia.
Antipasti sfiziosi e vari, di terra e di mare. Primi, secondi, cotechino con lenticchie e dessert. L’ultima volta che lei e Raul avevano deciso di festeggiare il cenone di capodanno in ristorante, la lunga sfilza di antipasti era stata un susseguirsi di piccoli assaggi.
Tartine con perle di caviale (finto)
Cappasanta gratinata (una), in un letto di rucola;
scampo (mezzo), guarnito con foglia (moscia) di insalata verde;
polpo con patate (mezzo tentacolo in due);
ratatouille di verdure con surimi (dal gusto vago di vattelapesca).
pane carasau con crema di formaggio pecorino e miele
(un frammento di pane e un’idea di casu ‘e brabei);
julienne di sedano con bottarga di muggine (un’ostia sottile);
zuppa di cozze e arselle (più gusci che molluschi);
tonno con cipolla in agrodolce, (stopposo);
moscardini alla diavola (naufragati nel sugo e gommosi).
Dopo aver ripensato al menù di qualche anno prima, del Big eat, Laura aveva visto sullo smartphone, altre proposte culinarie per il cenone di San Silvestro, di alcuni ristoranti non troppo distanti. Dai 100 euro a persona, nei locali più modesti, fino ai 250 euro, con la musica e il cantante del piano bar. Aveva fatto un rapido calcolo: con 500 euro (in due), avrebbero potuto pagare due bimestri di consumi della corrente elettrica. Con 250 euro avrebbero rinnovato le ricariche telefoniche per un anno intero. Con 200 euro avrebbe fatto il pieno di benzina alla Panda, per tre o quattro mesi; oppure, con 200 euro, avrebbe potuto acquistare tante provviste da riempire l’intera dispensa.
Aveva posato il cellulare e aperto il frigo, traboccante di cibo fresco, biologico; proveniente, in gran parte, dai campi della periferia: a chilometro uno o poco più. La lucina elettrica del frigorifero e tutta quell’abbondanza di cibo, per contrasto, le aveva fatto venire in mente la gente ucraina, al buio, al gelo e affamata.
Quando aveva controllato la dispensa si era accorta che la scorta dell’acqua minerale, del caffè e dei bioscotti – come chiamava Raul i biscotti integrali biologici e senza zuccheri – era quasi terminata.
Si era infilata la giacca a vento, aveva preso le chiavi della macchina e si era affrettata a uscire. Passando lungo le corsie, tra gli scaffali del supermercato, pieni di generi alimentari per tutti i gusti, si era incantata a guardare la vasta gamma di biscotti di tutti i tipi: con e senza zuccheri, con burro o senza grassi, senza glutine o senza lattosio, con gocce di cioccolato o frutta secca, integrali o con farina di riso, di soia o ai cinque cereali.
C’erano anche confezioni di biscotti già scaduti, che nessuno avrebbe potuto mangiare: sarebbero finiti tra i rifiuti. Laura, a quel punto, aveva cambiato reparto; infine aveva comprato grandi quantità di prodotti alimentari a lunga conservazione, controllando bene la data di scadenza. Dopo aver riempito un paio di scatoloni, li aveva caricati nel cofano della Panda grigia. Per farceli stare aveva dovuto spostare la lattina dell’acqua, il bidoncino dell’olio lubrificante e la cassetta degli attrezzi. Un ingombro del tutto inutile – pensava – per un’imbranata che non sapeva cambiare neanche una gomma forata.
Ogni volta che doveva trasportare qualcosa di voluminoso rimpiangeva la cara, vecchia Panda. Il bagagliaio era molto più capiente: ribaltando i sedili diventava spaziosa come il vano di un furgoncino. Un’utilitaria perfetta, soprattutto quando doveva caricare le cassette di frutta e verdura dai campi dell’ amico Giovanni. L’aveva fatta rottamare malvolentieri, la sua preziosa Pandina verde, dopo soli undici anni e tre mesi: l’età di una bambina.
Aveva percorso alcuni chilometri; mentre guidava aveva in mente una tappa ben precisa. Dopo aver svoltato nella direzione che portava a una zona alta della città chiamata Terrapieno, aveva percorso un lungo viale alberato, poi aveva svoltato di nuovo, verso un altro viale in salita, finché era giunta al Santuario di Sant’Ignazio. La porta accanto era quella del convento di frati Cappuccini. Aveva chiesto di parlare con il frate priore, amico dai tempi della scuola, di suo fratello Pietro.
Ogni anno, per Natale e Capodanno, i frati Minori dell’Ordine Francescano, grazie alla collaborazione di alcune associazioni e personale volontario, organizzavano il pranzo per i poveri: senzatetto, vecchi soli e disperati, profughi senza fissa dimora e numerosi benestanti caduti in disgrazia. Fra i tanti volti tirati e spenti dei commensali, compariva ogni volta, anche la faccia tosta di un imbucato tristemente noto. Dopo aver parcheggiato l’auto blu in fondo al viale, si accomodava a un tavolo ben apparecchiato e riservato soltanto a lui. La sua presenza ingombrante era un mistero per molti; per altri, invece, era motivo di stizza o di maledizioni. Qualcuno bisbigliava chiedendosi perché quel pallone gonfiato non si ingozzasse in casa sua, invece di stare lì, a togliere il pane di bocca ai poveri. In realtà quel pezzo grosso passava un’offerta al convento, ogni anno, a Natale, per alleggerirsi la coscienza e scaricare la donazione dalle tasse. Nella sua casa immensa, che troneggiava sul colle più alto della città, regnava la miseria affettiva più nera della fame. Né famiglia, né cani: con i frati aveva stabilito rapporti amichevoli e di convenienza reciproca; nessuno osava impedire all’onorevole di sedersi a quella tavola.
Dopo aver chiacchierato con padre Nicola, Laura, pur essendo a conoscenza di quell’ospite indesiderato, aveva scaricato le provviste che avrebbero contribuito a sfamare i tanti indigenti senza un pasto decente da mettere sotto i denti.
Lungo la strada verso casa pensava alla cena che avrebbero consumato, lei e Raul, nell’intimità del loro modesto appartamento, davanti alle fiamme del finto camino elettrico. Il modo più semplice per trascorrere la notte di san Silvestro. Con un sentimento di gratitudine per essere al caldo, in un ambiente luminoso, vivi e sani, con tre soffitti e un tetto sopra la testa. Al piano terra di un condominio poco rumoroso. Fuori ci sarebbe stato il solito frastuono, ma solo per i botti dei petardi.
Avrebbe cucinato un buon brodo ristretto, ricco di sapori vegetali, semplice e genuino. Un pomodoro secco, la cipolla, la carota e – nella stessa pentola – una manciata di lenticchie, per dare più sostanza, sali minerali e gusto. Col pane carasau e un filo d’olio di oliva di frantoio, sarebbe diventato una zuppa buona e nutriente, anche senza formaggio. Un pasto frugale: lo stesso della vigilia di Natale. Una pietanza unica, calda e leggera. Sarebbero stati bene: nello stomaco, nella testa e nello spirito. Molto meglio di quella volta che erano andati al Big eat . Dopo il cotechino con le lenticchie, a lei era venuta la nausea; Raul, invece, era dovuto correre al bagno e aveva rimesso tutto, anche la capasanta.
Neppure a lui importava granché di riempirsi troppo la pancia.
«Meglio una sola pietanza, che far crepar la panza» ripeteva spesso, come gli aveva insegnato suo nonno.
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Il mondo attuale ci bombarda di input, notizie che si consumano in un click senza avere il tempo di coglierne l’essenziale: un calderone dove viene gettato di tutto. Così si perde la possibilità di riflettere su quanto veramente importante. Il tuo racconto dà base alla speranza, spingendoci a ricordare la parte migliore di noi e accogliere il valore alla solidarietà (un dare avere: riempie l’anima oltre che la pancia). E poco importa quel politico, fra le righe voglio immaginare che anche lui abbia una ragione più alta per essere seduto a quel tavolo.
Ciao Micol, mentre scrivevo questo racconto avevo in mente un onorevole disonorato, che ho conosciuto e che era un abile calcatore; pero` sono convinta che anche i cattivi, come cantava la Berte` “cosi` cattivi non sono mai”. Tutti, come dici spesso anche tu, abbiamo un lato oscuro, ma anche una luce dentro di noi, che certe volte brilla.
Buona epifania.
Un racconto attuale e che fa pensare tanto, con tutti gli elementi un po’ stonati della nostra quotidianità. Scritto molto bene, come sempre. Mi colpisce ancora una volta la tua visione cristiana della vita e la fiducia nell’uomo, nonostante tutto. Mi sento in questo molto affine a te.
Grazie Cristiana. “In questo mondo di ladri, in questo mondo di eroi…”, come cantava (e ancora canta), Antonello Venditti, la condivisione di certi valori umani e` consolante. Non sono un’ assidua frequentatrice delle chiese, ma credo che la solidariera` umana sia fondamentale, per qualsiasi credo religioso o etico/morale. Essenziale
– anche egoisticamente – per la sopravvivenza della razza umana. Grazie di cuore, Cristiana (di nome e di fatto). E buon anno.
Buon anno anche a te! Che sia bellissimo e fortunato
Ciao Maria Luisa. Grazie per questo racconto. Mi è piaciuto veramente molto. Ti ringrazio per aver rimesso le priorità ben in ordine. In questi giorni ho sentito veramente molto fastidio pensando a come di punto in bianco tutto è passato in secondo piano…alla faccia del Natale e Capodanno “sobrio”. Mi sono piaciute molto le tue descrizioni culinarie, come di consueto e lo scorcio molto familiare di una città a me molto cara che inizia con C e finisce per -agliari! Però la cosa che mi ha colpito di più è il paragrafo dell’onorevole. Mi ha ricordato molto Il canto di Natale e mi ha messo una tristezza infinita. In altre parti del mondo sappiamo bene che c’è la guerra, è una cosa che non dipende dalle persone colpite. La solitudine, essere rigettati dalla propria famiglia…è qualcosa che si sceglie con le proprie azioni. Che animo misero si può avere se non c’è un cristiano che voglia passare il Natale con te? Per me, che Natale fin da bambino vuol dire esattamente “amore e famiglia” ha colpito particolarmente questo passaggio. L’amore e la felicità non si comprano con i soldi, e nonostante le donazioni, l’onorevole mangia da solo. Tristezza nella tristezza. Buon Natale in ritardo, e buon anno nuovo ricco di nuovi racconti ispiratori come questo!
Ciao Carlo, che piacere poter leggere di nuovo le tue parole. La condivisione di certi valori, la sensibilita` che puntualmente esprimi e la generosita` dei tuoi commenti sono di gran conforto. Ho costruito il racconto ispirandomi a situazioni e persone reali, di questo nostro mondo vario e un po’ avariato. Il consumismo di qualsiasi genere, compresi gli eccessi alimentari, del cibo che finisce spesso, in gran parte, nei bidoni dell’umido, oggi piu` che mai, non e` sostenibile. Si puo` far festa e stare bene, in tanti o in pochi, anche senza gli sprechi che diventano un danno per tutti. I politici hanno le loro colpe, ma anche noi cittadini abbiamo le nostre responsabilita`.
Ti auguro un fine anno sereno e un nuovo anno pieno di cose buone, nel senso piu` umano e spirituale del termine. Un abbraccio.😉
Hai ragione Fabius: anche i proprietari dei ristoranti hanno diritto di esistere e soprattutto i dipendenti di sopravvivere. Mangiare comodamente in un locale accogliente fa piacere a tutti; non necessariamente la notte di capodanno, che costa troppo e c’e` un gran trambusto. Avevo previsto la tua obiezione e avrei voluto aprire una parentesi nel racconto, ma avrei sforato. Grazie per il commento di oggi e grazie per la bellissima composizione di canzoni di qualche giorno fa.
Tutti dovremmo essere più frugali evitando gli sprechi. Ma poi chi ci pensa ai ristoratori che in questo modo si troverebbero i locali vuoti? Però almeno una volta le loro dichiarazioni dei redditi sarebbero fedeli e, allo stesso tempo, identiche a quelle degli altri anni. Grazie per le parole francescane e per ricordarci quanto poco basti per vivere in pace, anche con se stessi.