La Levatrice

Serie: Crocefissa


Agnese è la straniera giunta al villaggio dopo aver sposato Pietro. Bella, solare, ha attirato su di sé le antipatie della gente per il solo fatto di essere se stessa

    STAGIONE 1

  • Episodio 1: La Levatrice
  • Episodio 2: La Strega

Dio, ci sei? Se sì, guardami. Volgi lo sguardo su questa misera creatura crocefissa in tuo nome. Gli uomini sono soliti farsi forza del Tuo supposto volere per perpetrare il male che dicono di combattere. Sono demoni. Veri, demoni. Non posso avere pietà di loro. Li maledico.

Nulla feci per attrarre il loro disprezzo se non vivere nella luce. Senza nascondermi, gioendo di un sorriso o di una carezza. Del sole caldo sulle mie guancie, del vento che mi solleticava la pelle. Non mi hanno mai accettato, sono la straniera che Pietro ha condotto al villaggio. La Strega. Troppo bella, troppo cortese, troppo. Madre di due splendidi bimbi, moglie devota che mai chinò la testa di fronte ai prepotenti. È difficile essere donna, Dio.

Mi hai concesso il dono di portare conforto alle partorienti e così ho fatto: le mie mani hanno accolto decine di bimbi ancora avvolti nella placenta. Li ho separati dal corpo delle madri, tagliato il cordone che li univa, ho provocato il loro primo pianto e respiro. Mi sono sempre chiesta perché il primo atto del nascere sia quello di piangere.

Pietro mi ha insegnato a rivolgere lo sguardo a Te con fiducia, a pregarti con cuore aperto. A Te volgevo il pensiero mentre assistevo al travaglio delle partorienti, Tu mi concedevi la forza per agire nel momento del bisogno. Mai, ho perso un piccolo.

Dicono che abbia soffiato la vita nelle labbra di un bimbo morto riportandolo alla vita. È stato gettato nel fiume dentro ad un sacco, colpevole di aver inalato l’alito di un demone.

Ti ho pregato, Dio, mentre il mio corpo veniva dilaniato in mille modi. Non ho mai perpetrato il male, mai ho volto lo sguardo al Maligno. Tu, mi conosci.

In spregio alla forza con cui ho gridato il nome di Tuo Figlio cercando grazia, mi hanno crocefissa. Strappandomi il rosario di perle d’osso che il mio sposo mi donò il giorno del nostro matrimonio: le sue abili mani avevano scolpito ogni perla levigandola con cura. Non me ne sono mai separata, tenendolo all’interno dello scollo della veste con pudore.

Ora è lì, a pochi passi da me. Lui e i nostri figli.

Guardano il mio corpo nudo, spezzato, in attesa del rogo. Di me non rimane nulla della madre e sposa che lavava i panni al fiume cantando, della donna che rideva felice intrecciando corone di margherite.

Le mie dita sanguinano: le unghie mi sono state strappate per prime. Sento le labbra gonfie, il sapore ferroso del sangue si mescola alla saliva. Non posso parlare: non ho lingua. Non posso nemmeno salutarli con un sorriso: non ho denti.

Ho ancora occhi e con quelli cerco Pietro per un ultimo sguardo. I suoi, cosa vedono? La fanciulla che correva nella brughiera? La ragazza dai lunghi capelli neri come la notte e gli occhi verdi come smeraldi? L’amante, la sposa, la madre? Vedono questa carogna che non è ancora defunta, smunta e pallida. I seni straziati, gli stessi che ha baciato ed hanno allattato i nostri figli. Il volto scavato, le pupille dilatate per la febbre.

Il suo sguardo è deciso, freddo. Le sue labbra si muovono lente, silenziose.

Dicono… “Nessuna pietà di loro.”

Ho la sua assoluzione.

Dio, non porterò il fardello di Tuo Figlio, non morirò in silenzio per scontare i peccati del mondo.

Pietro aveva incontrato Agnese dieci anni prima. Aveva accompagnato il padre ad acquistare del cuoio nella vicina città: erano entrambi ciabattini e la loro bottega era frequentata da un gran numero di clienti. Era felice di succedergli, lavorare con lui non gli era mai dispiaciuto. Una pioggia torrenziale li aveva sorpresi a metà del cammino e avevano cercato riparo in una casupola isolata, ai margini del bosco. La padrona di casa li aveva accolti con cortesia, dividendo con loro la magra zuppa arricchita da tuberi selvatici. La figlia della comare, Agnese, era bella come una stella. Non aveva calzari ai piedi e Pietro ricordò di aver desiderato disperatamente di fabbricarne un paio per lei. Aveva immaginato di chinarsi per aiutarla a calzarli, sfiorando per un attimo la pelle d’alabastro, sostenendo il piede piccino, affusolato. Così aveva fatto e lei gli aveva sorriso. Era tornato non appena pronte le calzature, attingendo a un coraggio che non sapeva di avere. Mai, era stato tanto sfrontato.

Si era recato alla casina nel bosco per un anno, corteggiandola con il consenso della madre.

Agnese non aveva mai conosciuto altro mondo, né uomo. Comare Ilda aveva deciso di crescerla in solitudine per tenerla lontano dalle malelingue: le spiegò che era stata concepita in una notte d’amore trascorsa con uno sconosciuto che l’aveva sedotta. Ilda non aveva mai conosciuto il suo nome, sapeva solo che gli occhi smeraldo del suo amante sembravano sapere molte cose.

Agnese apparteneva alla brughiera. Era stato lui a chiederle di lasciare il suo paradiso per sposarlo. Pietro non era ricco, non era avvenente.

Mi amerai per sempre. Lo so.” Così, gli aveva detto prima di affidarsi a lui.

Agnese, sapeva molte cose. Riusciva ad avvertire il dolore della gente, dava tutta se stessa per strappare un sorriso. Si prodigava per chiunque le chiedesse aiuto. Era stato Pietro a farle conoscere Dio e lei lo aveva accolto nella sua vita con naturalezza. Le piaceva recitare il rosario mattina e sera. Al pari di un sole, Agnese sorgeva e tramontava riservando a Lui l’ultimo pensiero. La ragazza bambina che aveva portato al villaggio si era fatta una donna bellissima, intelligente. La sua abilità e la sua conoscenza delle erbe selvatiche avevano attratto su di lei molti sguardi. Offriva decotti curativi che alleviavano ogni malanno, tisane che calmavano il ventre inquieto di molte partorienti. Nessuna aveva perso il figlio da quando era divenuta levatrice.

Agnese, sono tempi bui. Devi fare attenzione.

A quelle parole Agnese sorrideva e Pietro riusciva a percepire la sua purezza.

Serie: Crocefissa


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Discussioni

  1. Non amo particolarmente il fantasy, cara Micol, ma questo non è fantasy, purtroppo. Però di magia ce n’è tanta, nelle tue parole, e mi ci porti di peso davanti a quel rogo, a quell’uso del fuoco e della mente che ben poco hanno di umano (o forse troppo?). Si esorcizza il demone esasperandone il male, facendolo nostro, mostrando così la nostra misera pochezza. Dio, demonio, bene, male, sorriso e pianto, nascita e morte è tutto in noi, nulla al di fuori. Che maledizione la religione usata male… la religione. Sei potentissima ragazza!!! Grazie. Un abbraccio!

    1. Sono io a ringraziare te, Giuseppe, anche per la “ragazza” (sono uno dei membri più anziani di Edizioni Open, quasi 55 anni suonati; la mia velleità è quella di diventare un vampiro immortale). Quanto al “bene” e al “male”, credo che queste due forze esistano dentro tutti noi anche se in misura differente: sta a noi gestirle. Dall’antichità ad oggi, la storia racconta che la diversità spaventa soprattutto se il timore è fomentato da estremismi.

  2. Mi trascini per una caviglia, senza alcuno sforzo, in luoghi oscuri pieni di sofferenza e malvagità gratuita. Mi sussurri in un orecchio come gli uomini possano essere davvero degni del titolo di demoni spietati e sadici. Vorrei essere lì accanto ad Agnese chiedendole scusa per tutto l’inutile dolore e l’ingiusta sofferenza. I veri demoni ci temono, lo sapevi?
    Ah già! Ma quanto bene ti riesce la presa al lazo di Emiliano?
    Mannaggia.

    1. “I veri demoni ci temono, lo sapevi?” sì, anzi ti dirò di più: i veri demoni sono fra noi.
      Sono contenta che ti piacciano i miei racconti, probabilmente amiamo gli stessi mondi: come avrai capito, io sono di casa nel fantasy, soprattutto dark, e nel distopico. Ti ho cercato in Facebook, ma ho trovato due profili: sono entrambi tuoi? Mi piacerebbe seguirti lì. Amo molto le illustrazioni in generale, se dai uno sguardo al mio lo capirai, e una delle mie passioni sono i racconti illustrati

  3. Si va a teatro pur sapendo che l’opera avrà una fine tragica, seguirò questa storia con lo stesso interesse. Il fantasy non è il mio genere (dove tu sei un master) ma avrei tanto voluto che anche questo racconto lo fosse e invece le streghe non streghe sono state bruciate veramente… Complimenti Micol, un prologo molto molto intenso, ne ho sentito la sofferenza, totalmente umana

    1. Il periodo dell’Inquisizione è una delle epoche più nere attraversate dall’umanità: il diverso, in ogni senso, era visto come posseduto dal demonio e per questo perseguito. La realtà genera mostri ben più pericolosi di quelli citati nei racconti fantasy: l’intolleranza è uno dei peggiori.

  4. La prima parte di questo racconto è davvero straziante. Le storie che mettono al centro una grave ingiustizia subita mi lasciano turbato. Tra l’altro ti sei espressa in modo magistrale, tratteggiando con estrema cura e delicatezza il personaggio di Agnese, complimenti. Vado al secondo episodio.

    1. Grazie, sono felice che questo racconto ti sia piaciuto. Almeno in questa prima parte, non è propriamente “fantasy”. Mi sono ispirata ad un epoca storica, buia, in cui essere diversi significava malvagità. Devo dire che ancora oggi è così, si uccide in nome di un Dio di cui non si conoscono affatto le intenzioni.

  5. Ho già avuto modo di leggere questo racconto, che giustamente ha ricevuto gli onori che merita, ma l’ho riletto molto volentieri, nella disperazione di Agnese metti tutto la tua forza narrativa e si percepisce forte il dolore. Il flashback, nonostante racconti fatti lieti, non può essere letto se non con amarezza, conoscendo già, fin dal titolo, l’epilogo della protagonista.
    Bravissima

    1. Grazie Ale 😀 Questo è anche uno dei miei racconti preferiti, sono riuscita a far sentire al lettore le mie stesse emozioni ed è il più bel premio al quale potevo ambire.

  6. Una donna avvezza alla vita, tanto da tenerla tra le mani con i nascituri. Un’anima sapiente e delicata, forte al contempo proprio per il fatto di tener fede a se stessa e a qualcosa che la guida. Dentro al villaggio, eppure ne rimane ai margini, incompresa. Forse tutto è iniziato con Eva e in parte deve ancora finire. Apprezzo molto questo tuo modo di raccontare le cose, viaggia su un piano che non è facile narrare per il rischio di apparire scontati, tu ci riesci benissimo e costruisci personaggi che sono Angeli. Piaciuto molto.

    1. Ti ringrazio, Bettina. Questo è un racconto molto importante per me e sono felice che ti sia arrivato dentro. Nel mio cuore c’è uno spazio riservato a tutte quelle donne pure, levatrici, erboriste, artiste, che in un tempo lontano hanno perso la vita al rogo per l’umana ignoranza. Forse è un retaggio, non so.

  7. Mi piace molto come hai “spezzato” questo primo episodio in due parti, la prima narrata direttamente dalla voce (o meglio, dai pensieri) della protagonista – ormai la narrazione in prima persona è il tuo forte! 🙂 -, la seconda che fa da flashback, quasi un “prologo a posteriori”, per introdurci i personaggi.

    1. Prima mi è partito uno smile, ma anch’io mi sono sempre posta questa domanda. In realtà è un annuncio alla vita, un grido a pieni polmoni. Mi piaceva l’idea di strutturare questo racconto come una preghiera rivolta ad un Dio e la “voce” di Agnese era la più adatta. In nome di tutte le “streghe” che hanno perso la vita al rogo per ignoranza: erboriste, levatrici, donne che non accettavano il loro ruolo nella società. Al tempo stesso, volevo stemperare con la contrapposizione della narrazione in terza persona, affidato a Pietro.