Primi barlumi di vertigine

Serie: Anatomia sepolcrale di un sogno


NELLA PUNTATA PRECEDENTE: L'avvocato Gustav decide, approfittando dell'assenza del poeta e della sua ospite – Ariele già dormiva – di lasciare di soppiatto l'albergo. Ma un misterioso rivolo azzurro, fuoriuscito dall'orecchio della sosia di Lara, lo costringerà a rifugiarsi in un'altra camera, dove ritroverà la sua borsa.

«Da quando me l’hanno recapitata ho subito riconosciuto i suoi tratti inconfondibili, che già la raccontano nella sua innata eleganza, mio caro avvocato. Ero certo si trattasse della sua borsa. Come avrei potuto sbagliarmi. Ma non pensi che mi sia permesso di aprirla o frugarci dentro! Lo sa che non è da me. La riservatezza e il rispetto per figure professionali come la sua sono da sempre, per me, una legge suprema, un comandamento a cui adeguarmi. Ma perché non si siede? La vedo stanco; ma intanto mi dica, avvocato, come mai alloggia in albergo? Nessuno mi aveva accennato del fatto che anche lei fosse qui. Non abita più in città, come un tempo? Una strana coincidenza ritrovarci entrambi qui, a notte fonda, poi. Lo deve riconoscere. C’è qualche passaggio che mi manca, forse?»

«Una storia lunga, difficile da raccontare anche a me stesso» gli feci, infastidito dalla sua irruenza, mentre mi avvicinavo al divano e prendevo posto, portandomi la borsa sulle ginocchia. 

«Non vedevo l’ora di posarmi su qualcosa di morbido, di accogliente. È stata una giornata di fuoco, per quante cose impreviste e incomprensibili mi siano accadute, tutte al di fuori del mio controllo. È come essere travolti da una bufera di neve in piena notte, senza trovare il modo o il tempo di sottrarsi al suo impeto, né di scorgere la strada del ritorno.»

L’uomo si sedette accanto a me. «Si rilassi, avvocato. La vedo troppo teso. Me ne dispiace tanto. Sembra così cambiato dall’ultima volta in cui l’ho incontrata in tribunale, lo sa? Se lo lasci dire da chi ha imparato a osservarla. Ne è passato di tempo, ormai. Era un tipo atletico, scattante, quando si precipitava come un ragazzo verso la sala delle udienze, o verso l’uscita, dopo la proclamazione delle sentenze; e invece adesso, mi perdoni l’invadenza, ma mi sembra davvero un’ altra persona. Un altro avvocato, un altro uomo.»

«Sono sempre lo stesso, invece» gli dissi, con tono brusco. «Va tutto bene, non si preoccupi più del dovuto, che non è il caso. Mi trovo qui per pura combinazione. Per colpa della poesia. Ma adesso, per mia fortuna, sono rinsavito, decidendomi a ritornare alla mia vita comune, che alla fine è la più vicina alla poesia, secondo me, nonostante molti credono il contrario. Ci sono arrivato troppo tardi, ma non importa. Ciò che conta è aver recuperato la mia borsa, con le mie carte e le mie penne. Qualche secondo di respiro e andrò via, stia tranquillo. Non le ruberò altro tempo prezioso.»

«Ma non lo dica, avvocato! È la sua compagnia a essere preziosa, mi creda. Vuole prendere un liquorino, oppure dello spumante, prima di andare? Ne ho una bottiglia in fresco. A quest’ora della notte trovo piacevole sorseggiare dello spumante. Credo che sia un vero toccasana, specie per le bufere dell’animo. Anche a casa, quando fa buio, devo sorseggiare sempre qualcosina di allegro, di stuzzicante, prima di coricarmi.»

«Vada per lo spumante, allora» gli feci, cercando a tutti i costi di rilassarmi. Dalla finestra della sua camera dirompeva l’oscurità della notte, come un tessuto damascato, rosso cremisi. L’uomo si alzò e andò a prendere i bicchieri in un armadio a muro. Intravidi il telefono a disco, che avevo sfiorato appena prima della sua comparsa, pensando che fosse meglio non avvertire più Lara della mia decisione di ritornare a casa. Meglio farle una sorpresa e comunicarle di persona che sarei tornato alla mia vita di sempre, senza intralci di poetastri falliti, riviste di ermetismo lirico e impedimenti di sorta.

L’uomo gentile si chinò verso il piccolo frigo bar dove estrasse una bottiglia di spumante. Me la avvicinò, chiedendomi di toccarla, per controllare che la temperatura fosse giusta, adeguata allo standard di servizio.

«Avanti, avvocato, non abbia timore. Un suo parere tecnico sulla temperatura» e allora avvicinai la mano alla bottiglia e la sfiorai, sentendola talmente fresca da chiedergli la cortesia di poter tenere per un poco la bottiglia sulla mia fronte. Mi sentivo accaldato, febbricitante: «Una vampata, all’improvviso!» gli sussurrai, facendo fatica a tenere la testa sollevata.

«Ma si figuri, avvocato. Adesso si distenda, che gliela dispongo sulla fronte, come lei desidera. Vedrà che sollievo. Si distenda per bene, intanto. Ecco, così. Chiuda gli occhi. Ne avverte già il beneficio, immagino. Me lo conferma, vero?» mi disse l’uomo, e io mi sentivo sereno e rinfrescato dalla superficie del vetro dello spumante che occupava tutta la mia fronte, insieme ai miei ricordi, i miei pensieri, le mie cause, i miei ultimi avvenimenti, mentre tutto diventava facile e inesistente, con l’esattezza della temperatura di servizio della bottiglia di spumante ben fresca che attraversava come un ruscello ogni grado delle mie sensazioni. L’unica cosa certa era il benessere vitale e balsamico che si dilatava dalla mia fronte alla mia mente e ai labirinti della mia immaginazione; poi la voce calda dell’uomo che mi diceva: «Lei, avvocato Gustav, accetterebbe di seguire la causa delle mie bambine?» e io gli risposi di sì, senza nemmeno capire di cosa stesse parlando né di cosa trattasse la causa delle sue bambine, se di una questione di affido – se fossero realmente le sue figlie –, o di qualcosa di simile, se non di più drammatico. Mi abbandonai a un mio ipotetico sì senza riserve, del tutto sconsiderato e irrazionale, una risposta naturale, senza alcun calcolo, svincolata da qualsiasi tipo di pianificazione, proposito o congettura di sorta. L’uomo mi chiese se bastasse il contatto fresco con la bottiglia, e io lo rassicurai che poteva lasciarmi la fronte libera, ormai stavo prendendo sonno e ristoro. Non era più necessario alcun contatto col vetro. Ero tornato nella pace incondizionata dei giusti.

«La sveglierò dopo aver stappato, e quando avrò riempito i due calici, allora. Ci tocca un gran bel brindisi, non crede?» mi disse lui, prima di allontanarsi dalla mia postazione di totale abbandono. Mi immersi, nel giro di pochi istanti, in un sonno profondo e ristoratore. L’uomo sconosciuto non ebbe il coraggio di svegliarmi, lasciandomi lì dov’ero, tramortito e mesmerizzato, per il resto della notte.

Serie: Anatomia sepolcrale di un sogno


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Discussioni

  1. Ciao Luigi. A mio parere, il tuo racconto scivola tra Kafka e Lynch, dove ogni corridoio è un enigma e ogni personaggio una trappola elegante.
    Il testo si muove sul filo sottile dell’assurdo, tutto sembra plausibile, ma niente torna davvero: un rivolo azzurro che sgorga dall’orecchio di una donna misteriosa, una borsa che appare per magia in una stanza sconosciuta, e un uomo gentile che offre spumante come se fosse un elisir onirico.
    Sembra che Gustav stia attraversando non un hotel, ma i meandri della propria coscienza, tra porte chiuse, fughe improvvise e incontri carichi di una calma sinistra. Tutto ha il ritmo di un sogno che si crede reale finché non ci si sveglia, sempre che Gustav si svegli.
    Sono arrivata anche a pensare che forse Gustav non sia mai sceso davvero da quelle scale, né abbia mai perso la sua borsa. Forse, in quell’hotel non ci è mai entrato. O forse ha solo perso l’orientamento, la sua strada.
    Infine, mi sono chiesta se mi trovo effettivamente dentro un albergo o dentro un’allucinazione elegante. Di certo, l’unica legge che vale qui, a mio avviso, è quella del sogno.

    1. Ciao, Cristiana. Il tuo quadro dettagliato dell’episodio è subentrato proprio nel merito dell’anatomia, su cui si impianta questo progetto, dal suo titolo al disordine dei suoi affluenti. Dove cominciano i confini, i margini tra i livelli di realtà, quelli che crediamo compatibili con la tangibilità di un’esperienza, con la testimonianza sensoriale, cognitiva, che ne certifichi la sostanza, l’influenza sulle dimensioni rappresentative e convenzionali della nostra vita comune, e gli altri, che rappresentano al contrario le nostre zone d’ombra, quelle più nascoste, intrise di ignoto, di sogno, di immaginario, invisibili alla superficie, quanto prive di una loro economia funzionale alla nostra evoluzione, come alla nostra credibilità, dignità e decoro? In fondo è tra queste due dimensioni, spesso attraversate da lunghi banchi di nebbia, che si dibattono i destini dei personaggi, primo tra tutti quello di Gustav, ormeggiato tra pulsioni, illusioni, zone allucinate, ma a brevissima distanza da luoghi comuni e confortanti, che sembrano essenziati della stessa luce domestica che abbiamo incontrato nei primi episodi. Nulla sembra ancora determinato a confermarci il suo preciso grado di inesistenza, ma nemmeno il suo esatto contrario. L’albergo, teatro di una grandissima parte delle azioni e contorsioni del racconto, sarà un luogo della mente, o un luogo reale abitato da fantasmi, da creature notturne, sedimenti di un incubo che ha intercettato una sua feritoia dove penetrare? E quanto distano i fantasmi della mente da quelli reali, che ci visitano senza necessariamente abitarci, o che arrivano a noi dall’esterno? Sono proprio queste domande aperte, intrise di ombre, come di improvvise luminescenze, a condurre il gioco simbolico delle parti, tratteggiando una segnaletica alternata, frammentaria, che porterà in ogni caso a una destinazione reale, abbracciando con questo termine anche la regione dei confini delineata all’inizio della mia risposta. Grazie infinite per le tue suggestioni e interpretazioni preziose. Un saluto e a presto.

  2. La prima riflessine che mi sovviene è che anche Gustav, come Lara, sia in qualche modo ambiguo. Mi hanno sollevato questo pensiero le parole dell’uomo sconosciuto “sembra un’altra persona” a sottolineare che nulla in questa storia sembra essere ciò che sembra. La seconda sensazione che ho avuto è di nuovo quella surrealtà, quel cambio di dimensione che mi aveva già colta nel precedente episodio. Addirittura quest’uomo, che definisce gentile – ma lo sarà davvero? – sembra aver rapito l’avvocato, circuendolo per riuscire ad ottenere il suo appoggio nella causa. Ormai i piani di realtà e surrealtà sono sovrapposti, se non addirittura mescolati…