
Primi mutamenti
Serie: Anatomia sepolcrale di un sogno
- Episodio 1: L’arrivo e le altezze
- Episodio 2: Il coltello e i ricordi
- Episodio 3: Nel cuore della notte
- Episodio 4: Ombre rosse
- Episodio 5: Le parole nel buio
- Episodio 6: Il temporale
- Episodio 7: La visione
- Episodio 8: La rivista di poesia ermetica
- Episodio 9: La finestra dell’albergo
- Episodio 10: Il solletico dell’assassino
- Episodio 1: La prima accoglienza
- Episodio 2: Ingresso in camera
- Episodio 3: Prima di cena
- Episodio 4: Inizio della cena
- Episodio 5: L’arrivo a Praga
- Episodio 6: Vita con Edo
- Episodio 7: Delle carte utili e inutili
- Episodio 8: Col respiro spezzato
- Episodio 9: Primi mutamenti
- Episodio 10: Incontro con il direttore
- Episodio 1: L’invito domenicale
- Episodio 2: La sentenza
- Episodio 3: Riverberi dal pranzo
- Episodio 4: Il sonno di Edo e la telefonata
- Episodio 5: Dalla parte di Gustav
STAGIONE 1
STAGIONE 2
STAGIONE 3
«Sembrava un bambino. Sarà stata un’emozione troppo grande per lui parlare dopo tanto tempo con il direttore di una rivista di poesia contemporanea, che aveva dato voce e spazio ai suoi primi versi. Ero tentato di avvicinarmi e di consolarlo, ma poi non lo feci. Preferii ritornare ai miei appunti. Non volevo che Edo si accorgesse di me. Sarebbe stato imbarazzante, forse inopportuno.
«La sera, a cena, il suo umore era cambiato rispetto al momento drammatico in cui aveva posato il ricevitore, seduto sul suo letto, nelle ombre della sua camera. A tavola, di sua spontanea volontà, con gli occhi sbarrati nei miei, mi raccontò per filo e per segno di tutti i dettagli della telefonata, colmandomi tutti gli spazi vuoti della sua conversazione, che adesso ritornavano a galla nella versione integrale.
«Aprì del buon vino italiano. Voleva festeggiare. Era convinto che il contatto con il direttore della rivista mi avrebbe fatto un gran bene, che i miei testi lo avrebbero colpito, innamorato, mentre io ero pieno di dubbi e di ripensamenti su ogni singolo verso, spesso su ogni singola parola, ma soprattutto sulla sua persona. Eravamo già a martedì, mancava poco al giorno dell’incontro e il fattore poetico restava vacillante e nebbioso dentro di me, come i contorni spaventosi di una città fantasma al crepuscolo, o la nuca infelice di Margot, di ritorno da scuola…
«Non sapevo cosa consegnargli. Ero tentato di azzerare tutto e scrivere una nuova opera, senza pensarci. Un’opera che fosse già finita senza esserlo, poetica senza saperlo. Stavo impazzendo, e non esagero.»
«Per carità!» mi gridò Edo, quando gli accennai alla possibilità di un azzeramento del mio materiale caotico «Non toccare. Nemmeno un verso, una riga, una virgola. Dimentica, dimentica tutto, Stain! Lasciali al buio. Qualsiasi cosa di già tuo che il direttore vedrà, lo farà con i suoi occhi freschi, non certo con i tuoi. Segui il mio consiglio, per favore» ma quando gli dissi che erano già in corso delle modifiche tra le zone più frammentarie e poetiche, rispetto alle altre a mio parere più complete ma impoetiche, Edo ebbe una reazione spropositata. Saltò sulla sedia, si mise le mani nei capelli e cominciò a gridare: «Non mi dire che hai buttato il resto! Non me lo dire, per favore, per favore, per favore! Confessami che non è vero, Stain!» e intanto mi fissava, sgranando i suoi due occhi da folle, che non gli avevo mai visto così tempestosi, allucinati. Spaventato dalla sua reazione incontrollata, cercai di rassicurarlo, parlandogli di piccole cuciture tra frammenti e testi finiti, che erano concentrate su di un nuovo quadernetto, approntato per gli appunti di revisione. La mia vecchia carta rimaneva intatta, naturalmente: «Altrimenti come avrei potuto cucire dei nuovi versi da lembi scartati e poi distrutti? Andiamo, Edo. Ritorna in te, per favore».
«Sei sicuro di non aver gettato via niente?» mi fece, affannando.
«Ma certo. Che ragioni avrei di mentirti? Andiamo, scendi dalla sedia e respira. Va tutto bene.»
«Hai già deciso che cosa gli sottoporrai?» mi chiese, più calmo, rincuorato. Io gli dissi che avrei portato – e in parte poetato – tutto il mio materiale disponibile. Ormai non avrei avuto nessuno scrupolo, anzi, preferivo che il direttore della rivista avesse il quadro chiaro della mia fase presente, come della passata, senza esclusione di colpi – come poi ironizzai, per distendere il clima.
«E anche della futura» mi gridò, scendendo dalla sedia e riempiendosi un altro bicchiere di vino. Mi sembra di rivederlo qui, davanti ai miei occhi, accanto a voi. Eravamo alla stessa distanza, quella sera. Una scena comica quanto tragica. Tutto grottesco, irreale, spiazzante. Dopo una lunga sorsata di vino, Edo ritornò silenzioso, assorto. Io approfittai del suo momento di abbandono per andare a prendere il mio ultimo quaderno, relativo ai miei interventi più recenti, alla cui vista i suoi occhi si riaprirono e si commossero, facendolo ritornare la persona sensibile e paterna dei primi tempi, agente romantico della Polfer di Praga, mentre a bassa voce gli scandivo qualche appunto dei miei settenari più riusciti, che malinconia…
«Da quella sera, ho pensato a lungo alle reazioni vulcaniche di Edo, e con grande sconcerto, non ve lo nascondo. Mi aveva deluso, pur essendo in buona fede, ma c’era un elemento che non quadrava nell’insieme della sua persona, in particolare nella gestione delle sue emozioni. Non aveva intenzione di ferirmi, ma ormai era successo, anche contro la sua volontà, e non è detto che faccia meno male. E poi… il suo modo di fare, di discutere era sempre eccessivo, sconsiderato. Non riuscivo a capire se fosse frutto di un atteggiamento inconsapevole, o se invece forzasse la mano per scuotermi e inquadrare il mio percorso artistico unicamente nella sua orbita, temendo potessi perdermi in qualche passo falso, nemmeno fossi un suo figlio unico. La poesia era solitudine e silenzio, intimità. Il parlarne troppo mi dava la nausea.
«Il venerdì, come concordato, ci presentammo al bar della ferrovia. Arrivammo un po’ prima. Edo mi presentò ad alcuni nuovi colleghi come il suo nipote italiano, il figlio autistico della sua unica sorella, e quelli allora mi sorridevano e mi domandavano con interesse dell’Italia, di quanto tempo sarei rimasto lì insieme a lui e che cosa studiassi. Non sapevo che dire. Evitavo i loro sguardi e fissavo spesso l’orologio, cercando di uscire al più presto dalla stanzetta piena di fumo della Polfer. Il campanellino della stazione era l’unico elemento che mi rasserenava, dandomi un senso cristallino di aperto, quando annunciava l’arrivo di un treno, o di una poesia. Pensavo di buttar giù qualche versetto innocente – la stessa sera, una volta a casa, sul campanellino della ferrovia, o sul fumo bianco della stanza che ricordava una sala da ballo frequentata qualche sera con Margot, o sulle facce rosa degli agenti ben rasati della Polfer, che mi scrutavano di continuo. Ogni cosa la pensavo già versificata, senza rendermi conto che con quell’atteggiamento non vivevo più il mio reale, ma la tensione verso la trasposizione poetica della sua impossibilità. Era un elemento pericoloso. La prima soglia irresistibile verso l’abisso.»
Serie: Anatomia sepolcrale di un sogno
- Episodio 1: La prima accoglienza
- Episodio 2: Ingresso in camera
- Episodio 3: Prima di cena
- Episodio 4: Inizio della cena
- Episodio 5: L’arrivo a Praga
- Episodio 6: Vita con Edo
- Episodio 7: Delle carte utili e inutili
- Episodio 8: Col respiro spezzato
- Episodio 9: Primi mutamenti
- Episodio 10: Incontro con il direttore
“in particolare nella gestione delle sue emozioni”
Il Poeta dice molto bene, e molto di più. In effetti, la mia impressione è che chiunque si avvicini a lui o abbia con lui una qualsiasi interazione, perda il senno. Ha questo potere carismatico di condizionare fortemente l’umore e il comportamento delle persone che gravitano attorno a lui. Una cosa, inoltre, mi ha particolarmente colpito. Viene presentato ai colleghi come ‘nipote italiano’. E questo ci sta. Viene però anche ‘catalogato’ come autistico. Una cosa nuova che ci sveli di lui o forse soltanto un ‘gioco’ per smorzare l’imbarazzo?
Ciao, Cristiana. Sulla componente del nipote autistico, potrebbero esservi dei fronti di lettura paralleli. Mi è risuonato solo in un secondo momento il particolare aggettivo legato alla sindrome, infatti è stato aggiunto in una delle ultime revisioni del capitolo. Forse, dentro di me, ho voluto creare una sottile identificazione tra la figura del nipote e quella del poeta, ma dalla prospettiva di Edo. È come se si trattasse di un’incursione più che altro subita, che potrebbe, almeno al momento, non comportare particolari sommovimenti al corso della narrazione – sempre se questo nipote esista davvero.
Mi ritrovo molto, ritornando al poeta, sulla sorta di magnetismo che riesce a imprimere ai due compagni lungo il corso della cena, ma in fondo anche prima, nelle varie fasi della sua permanenza, dove vi è sempre un qualcosa di ipnotico che lo riguarda e lo attraversa. Un saluto e ancora un grazie per il tuo ascolto. A presto.
Molto ben costruito, anche nel dare profondità al personaggio 👏👏👏
Ciao, Nicola e grazie del tuo commento. Sono contento che tu abbia rilevato questo aspetto introspettivo, essendo un elemento dimensionale del personaggio a cui tengo molto e che cerco – e spero – sempre di focalizzare al meglio. Un saluto.
Edo è un personaggio davvero particolare. Interessante questa sua difficoltà a gestire le emozioni. Mi piace!
Grazie, Arianna. La tua effervescenza è sempre salutare e ricca di stimoli. Concordo su Edo: personaggio stravagante, particolare, pieno di luci e di ombre, quindi interessante, come le sono tutte le curve rispetto alle linee rette. Un saluto e a presto.