
Principi generali di gestione e manutenzione di un sogno
Serie: Figlie dell'ironia
- Episodio 1: Principi generali di gestione e manutenzione di un sogno
STAGIONE 1

Vi racconterò la storia di una creatura unica nel suo genere. Essa infatti era in grado di diventare un lupo, una papera, un elefante o una lepre; poteva diventare molti animali a dire il vero. E aveva altre qualità, infinite quasi! Sapeva scrivere e disegnare per esempio, sapeva modellare, riparare, suonare, grattare, accarezzare, intagliare, cucinare. Poteva afferrare o lanciare, poteva leggere ma… purtroppo, non poteva parlare. Tuttavia sapeva esprimersi, anche discretamente, grazie alle sue cinque appendici, tra loro tutte diverse. Accadde a questa creatura che venne ingannata: qualcuno le disse che era suo diritto fare ciò che voleva di ogni cosa, se solo fosse stata in grado di possederla. E lei, che molto bene era stata addestrata a prendere e che prendere le riusciva meglio di qualsiasi altro fare, si convinse di non avere limiti. Finché un giorno le capitò di afferrare il sogno di un bambino. Era bello, era colorato, era liscio, e galleggiava in aria attaccato ad un filo.
Non si può sapere come accadde con esattezza; forse al bambino era sfuggito di mano per colpa del forte vento! Comunque lì dove il sogno era arrivato, il bambino non sarebbe mai riuscito a raggiungerlo. Allora la creatura, che poteva mettere le ali a suo piacimento, decise di osservare quel sogno più da vicino. Non per altro dunque, volò nel cielo e lo afferrò. Eppure, nonostante non avesse avuto dal principio nobili intenzioni, ricevette lo stesso un “grazie”. Il bambino, che l’aveva raggiunto nel punto in cui aveva toccato terra, guardò a lungo la creatura. Chissà cosa vide! E proprio perché la sua acutezza da infante gli suggerì che quell’essere ne aveva davvero bisogno, disse:
– Tienilo tu. Se ne avrai cura, sarà per te un buon amico.
La creatura avrebbe voluto rispondere che non sapeva che farsene, che era troppo impegnata a far sue le cose per occuparsi di un sogno. Non avendo però la capacità di parlare, porse semplicemente il dono al rispettivo donatore.
– Ma no, tranquillo! Io me ne fabbricherò un altro. Mi riesce facile e mi diverte un mondo – rispose costui e canticchiando trotterellò via.
La creatura aveva tutte e cinque le sue appendici impegnate a trattenere il sogno e per questo si chiese come avrebbe potuto fare ciò che più le piaceva. Pensò allora di lasciarlo volare via, di nuovo. Ci provò, sì. Ma non ci riuscì. Ci fu qualcosa in lei che fece resistenza e quel qualcosa la fece riflettere. Era come se avesse ottenuto il possesso di un oggetto di gran valore. Eppure, la creatura aveva spesso agguantato cose luccicanti, cose fruscianti, cose tintinnanti, cose che, a dirla tutta, erano di gran lunga più preziose. Si prese del tempo per portarlo a spasso, quel sogno.
Quando incrociò la strada di un corvo, questo la vide e rimase ammirato. Saltellò sulle zampette.
– Che bel sogno hai lì! Bellino, bellino!
Il sogno galleggiava, facendosi beatamente i fatti suoi. La creatura fece per proseguire, ma il corvo gli si parò davanti.
– L’hai fatto tu? – chiese, con gli angoli del becco tirati all’insù.
La creatura avrebbe risposto che no, non era opera sua. Se fosse nato da lei, quel sogno sarebbe stato di certo più grande, meno colorato e avrebbe avuto l’aspetto di un diamante o magari di un panino. Sì, anche di un panino sarebbe stato perfetto!
– Allora?! Non mi rispondi? Sei spocchiosa! – gracchiò il corvo, spazientito.
– Non è poi così speciale quel sogno che hai lì. Anzi, a dirla tutta, è ridicolo!
E detto ciò, come una freccia scoccata dalla rabbia, il rapace si avventó fulmineo sul sogno indifeso.
La creatura ovvio, non rimase a guardare. Cercò di difenderlo, con lunghe corna da ariete, ma quel corvaccio chiamò alla ribalta i suoi amici. Questi iniziarono a sbatacchiare becco e ali attorno al sogno, nel tentativo di distruggerlo.
Ci fu un gran trambusto, una pioggia di piume nere e qualche brutta parola, che non si può trascrivere, per educazione.
Dunque, quando la situazione sembrò farsi disperata, arrivò in soccorso alla creatura… un comodino. Già, era proprio un comodino! Con una gamba sola e due braccia rigide, una testa da spaventapasseri e un cappello schiacciato, bucato e ammuffito.
– Salta! Salta! Salta! – gridava.
E così riuscì a mandar via tutti i corvi.
– Ehi tu! – fece poi, apostrofando la creatura con una certa veemenza. La bocca gli era stata montata un po’ storta, perciò le parole gli uscivano biascicate.
– Ti sei ammattita? Sei uscita fuori di zucca, sì! Non c’è altra spiegazione. Ti manca una rotella!
Saltellò con poca grazia finché fu a pochi passi dalla creatura.
– Non lo sai che i sogni non vanno portati in giro così?! Vanno nascosti, sì! Ti faccio vedere.
Ed ecco, quella specie di spaventa-corvi, senza vergogna aprì della sua pancia il primo cassetto. Ne vennero fuori alcune farfalline scure e uno sbuffo di polvere.
– Eccoli, sì! Sono felici così, i sogni. Al sicuro e al calduccio, sì!
La creatura non sapeva se i sogni soffrissero il freddo, né se quei sogni in particolare fossero davvero al caldo, lì dentro. Sta di fatto che a vederli così, sgonfi e ripiegati, gli diedero l’impressione che fossero un tantino infelici.
Lo spaventa-corvi aggiunse:
– Ho un idea! Una idea fantastica, sì! Dai a me il tuo sogno, così io sì, io te lo terrò al sicuro.
– Non starlo a sentire, cara – intervenne una voce. Sarebbe potuta essere quella di una nonnina, proprio come quelle che la leggenda vuole, si fanno accompagnare sotto braccio per attraversare la strada. Tuttavia, quando la creatura si girò, trovò davanti a sé un tirannosauro rex. Un tirannosauro rex? Che assurdità! E la cosa risulta ancora più ridicola se pensate che la bestia portava uno scialle di lana e una bombetta rosa, in precario equilibrio sul suo testone.
– I sogni non sono fatti per stare in cassetti polverosi – disse, elargendo la sua immensa saggezza con un artiglio sollevato. Continuò: – Così si estingueranno, proprio come ho fatto io! Se invece tutti i giorni ti preoccuperai di nutrirlo e lucidarlo, lui crescerà, crescerà e crescerà. Allora diventerà abbastanza grande da sollevarti. Grazie a lui potresti volare!
La creatura pensò che non era una gran cosa: lei sapeva già volare. Però era lo stesso un informazione interessante.
Nella lingua dei segni, che era la sua lingua, chiese alla nonnina-sauro di cosa si nutrivano i sogni.
– Mi sorprende che proprio tu me lo chieda – rispose costei.
Il perché della creatura arrivò presto spontaneo.
– Oh cara, perché tu stesso sei un sogno! Non era chiaro, questo?
Ora è doveroso spiegare ciò che, senza alcuna malizia, è stato omesso al principio di questa storia. Spiegazione sarebbe questa: la creatura apparteneva, e tutt’ora appartiene, ad un uomo. E questo uomo ha per moglie una comunissima donna, che tuttavia diventa un vero prodigio ai fornelli. Non per giustificare l’ingordigia dell’uomo, ma quello che è accaduto si può considerare la reazione di una innocente e per nulla premeditata azione. Perciò, se da tutto questo dovessimo ricavare una lezione per i gentili lettori, potremmo suggerire di non fare come l’ideatore di questa storia. Non è bene infatti, mangiare pesante poco prima di coricarsi per la notte. Si rischierebbe di incontrare comodini spevanta-corvi e dinosauri in strane vesti, per l’appunto.
Serie: Figlie dell'ironia
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Bellissimo questo tuo sogno! (tutte le storie, forse non lo sono?). Confesso di aver amato particolarmente nonna-Rex, spero compaia ancora.
Sono i bocconi più duri ad essere digeriti o che non verranno digeriti mai che ci fanno esorcizzare la realtà per gercare di non essere ingranaggi sociali destinati a gripparsi.
Trovo interessantissima questa nuova serie, e che inizio! Un vero e proprio sogno 😉
Geniali le personificazioni del comodino e del t-rex. Sono felice che tu stia nutrendo il tuo, di sogno, condividendolo con altri sognatori
Spero di riuscire a concepire qualcosa che sia all’altezza delle aspettative che io stessa mi sono creata per questa serie, Gabriele. Lungi da me deludere anche voi! Purtroppo ho molto su cui lavorare, ma confido in una ispirazione divina, per così dire, che mi suggerisca il prossimo passo. Certo, Gabriele, condividere il mio sogno con voi è ciò che mi consola nelle mie giornate più tristi.
complimenti per l’originalità, mi ha ricordato quei miti giapponesi tipo Wukong o gli hulijing però con una percezione occidentale, simile alla nostra. mi sento di dire che è un bel valore aggiunto, e vale la pena di esplorarlo
David ho constatato che tu sei un commentatore schietto, anticonvenzionale al positivo. Perciò mi ritengo davvero lusingata dai tuoi complimenti. I miti giapponesi di cui parli non li conosco, ma ora mi hai posto una certa curiosità, che è un po’ come un prurito. Grazie.
Ricordo quando la lettura ironica e divertente era considerata minore, a meno che non venisse da autori maggiori.
Quale scempio.
Grazie, Rita. Bellissimo.
Hai proprio ragione Giancarlo. Grazie comunque per averla apprezzata.
Robért ha ragione da vendere. Quando ho ricevuto la notifica della tua pubblicazione, non vedevo l’ora di tornare a casa e leggere ciò che avevi scritto armato di qualcosa da sgranocchiare, un bicchiere riempito con la bevanda preferita e l’atmosfera adatta per immergermi nei tuoi mondi così vividi e accoglienti.
Tanto vividi, che mi era venuta voglia di cucinarmi un bel piatto di sugo di salsiccia con pancetta e cotenne… Magari anche io sarei riuscito a creare un sogno tentacolare amichevole e gentile, accompagnato da un Ulughbegsaurus uzbekistanensis con ombrello e cilindro. Ormai non so più come dirti quanto io adori ogni tuo scritto.
Emiliano il tuo humor è sempre apprezzatissimo! Grazie per la costanza con cui mi segui e anche per la fiducia.
Ah! Ti prego, per il tuo bene, desisti! Il sugo di salsiccia con pancetta e cotenna sarebbe una buona idea solo se volessi ottenere una epica indigestione.
Non posso far mancare il mio apprezzamento, pur con la certezza che diverrà scontato. Vorrei evitare di stupirmi ancora laddove, a differenza delle improbabili digressioni intellettuali, filosofiche, delle biografie spiattellate e chi più ne ha più ne metta, mi trovo poi di fronte al racconto di pura invenzione, di una leggerezza (leggasi soavità) disarmante.
Credo eppure di avere sufficiente competenza per scorgervi il gran lavorio, l’estrema cura, la finezza nel cesellare ogni immagine. Per questo e altri motivi che non sto qui ad aggiungere, io penso a questa autrice come alla giovane acrobata che, sorprendendo i preoccupati spettatori, sorride camminando sul filo come fosse la cosa più facile del mondo. Facile come mettere una bombetta sulla romantica testa di un T-Rex: parola mia, l’ho visto davanti ai miei occhi con il suo bel sorriso rassicurante.
Credo che lo stile sia impeccabile. Elegante, appropriato. Davvero una scrittura accattivante di chi, provo a indovinare, ha una cultura classica alle spalle.
E questa nuova serie in cui appare un’ironia positiva, semplice, tanto lontana dal sarcasmo moderno, non può che promettere grandi cose.
Mi sia consentita un’incursione personale: provo un pizzico d’invidia per il buongustaio che, mi pare, paghi un prezzo davvero irrisorio per tanta delizia.
Credo sia chiaro ormai, quanto io mi senta più a mio agio nell’affrontare tematiche leggere, caro Robért. Certo, è divertente aggiungere qua e là qualche digressione intellettuale, filosofia, per parafrasare le tue parole. È il bello della comunicazione. Puoi nascondere messaggi profondi dentro storielle divertenti, oppure accuse in rime baciate. Puoi creare un mondo che abbracci la tua solitudine o la tua sofferenza. Tuttavia, le parole scritte diventano magiche solo quando trovi qualcuno che le legge con il giusto tono.
E comunque, i tuoi apprezzamenti non sono mai scontati Robért. Grazie per la considerazione che sempre mi riservi.