Il Cavaliere Zoppicante
Serie: A piedi controcorrente - Cronache semiserie di un fuggitivo pandemico -
- Episodio 1: Il primo passo è il più scemo
- Episodio 2: Animali in gabbia e pellegrini smarriti
- Episodio 3: Il cielo dietro gli abeti
- Episodio 4: Il portone socchiuso
- Episodio 5: Venti Centimetri di Cielo
- Episodio 6: Risveglio e nuove luci
- Episodio 7: Gli Dei contro di me (spoiler: ho vinto io)
- Episodio 8: Il cancello che non porta a niente
- Episodio 9: L’incrocio Nero
- Episodio 10: La Città nella Bolla
- Episodio 1: Il Cavaliere Zoppicante
STAGIONE 1
STAGIONE 2
Quello che mi trovai davanti una volta entrato era una rampa di scale che sembrava più portare su una torre di un castello medievale. Stretta e ripida.
Il ginocchio, avendo percepito anche lui la difficoltà del percorso che lo aspettava, iniziò a lamentarsi di nuovo. Il fastidio si era trasformato in fitte pungenti e improvvise che mi facevano quasi cedere quando facevo il passo con quella gamba.
Non mi avevano avvertito i simpaticoni al citofono.
Con la speranza che fosse solo una, o al massimo due rampe di scale, iniziai la scalata verso la cima della torre. Dove avrei trovato anche una bella principessa che io, prode cavaliere zoppicante, dovevo salvare.
In realtà le rampe di scale si rivelarono tre, scalate con quattro soste sul percorso, non previste.
Giuro che il ginocchio, a metà scalata, a un certo punto mi parlò dicendomi:
“Te lo dico. Ora mi stacco del tutto, così la facciamo finita e smetto di soffrire. Che dici?”
Ma in qualche modo era riuscito a portarmi in cima e anche lì, oltre a nessuna principessa ad attendermi, trovai solo un corridoio vuoto.
Il corridoio era illuminato dalla luce che entrava dall’unico finestrone posizionato in fondo, al centro. Sotto c’era una scrivania con opuscoli vari: eventi, sagre, spettacoli teatrali, consigli sui ristoranti o sulle pizzerie dove mangiare.
Alle mie spalle il corridoio era stretto, con moquette rosso porpora, pareti blu scuro e cinque porte di colore verde. Non si erano impegnati troppo nella scelta dei colori o dell’arredamento. E si notava.
A parte quella scrivania non c’era niente.
Una delle porte era socchiusa e si riusciva a intravedere cosa ci fosse all’interno. La curiosità di aprirla del tutto e vedere cosa nascondesse si fece forte. Così diedi un’ultima occhiata intorno e, scaltro come una faina, diedi una spinta alla porta, aprendola completamente.
Con un allungamento del collo possibile fino a quel momento solo al mitico Dottor Gadget, riuscii a sbirciare dentro.
Ma sul più bello sentii:
“Eccoci, quella è proprio la sua stanza, caro il mio pellegrino.”
Mi girai talmente veloce che mancò poco mi prendesse uno strappo al collo. E, nell’appoggiare indietro di scatto il piede della gamba con il ginocchio dolorante, sentii una fitta che mi stava facendo accartocciare come carta stagnola.
“Mi scusi, la porta era aperta e ho pensato di affacciarmi per dare un’occhiata,” gli dissi, mezzo piegato dal dolore.
Lui era un uomo sulla cinquantina, bassino, con baffi folti stile Baffo Moretti, quello della birra. Indossava un grembiule bianco più da cuoco che da gestore di un B&B e aveva uno sguardo che ti faceva sentire in compagnia di un vecchio zio.
Uno di quelli a cui vuoi misteriosamente bene.
Mi guardò e disse:
“Ti fa male il ginocchio, per caso?”
“Sì, effettivamente è da quando sono arrivato qui vicino al portone che ha iniziato a farmi male. Ho fatto le scale a fatica, sinceramente.”
“Eh, effettivamente sono belle ripide,” rispose. “Infatti io e mia moglie Maria, da circa quattro anni a questa parte, ci siamo presi una stanza qui invece dell’appartamento che abbiamo al secondo piano. Sa, è più comodo. Almeno mia moglie, che pulisce le camere e i bagni, non deve fare le scale tutte le volte, e io, che ho anche il ristorante giù al piano terra, salgo e scendo meno.”
Quella persona dai modi così gentili mi aveva totalmente conquistato.
Sembrava uno di quei personaggi secondari di un film natalizio dolce, con una storia triste alle spalle che spiega il suo sorriso malinconico.
Mi aveva colpito così tanto che non avevo nemmeno fatto caso a un dettaglio: aveva i baffi scoperti. Era senza mascherina.
“Comunque venga, entri pure,” disse facendomi cenno verso la stanza.
E aggiunse: “Questa è la camera. L’ha pulita mia moglie oggi, quando ha saputo che un matto si era avviato a piedi per la Francigena.”
Si interruppe un attimo, poi riprese:
“Scusi per il ‘matto’, ma per noi, a parte che questa cosa ci fa comodo anche a livello economico, personaggi così ci sono sempre stati e in qualche modo ci sono simpatici.”
Mi guardò, fece un sorriso e mi indicò di nuovo di entrare.
“Eccomi,” dissi.
Feci un passo in avanti e il ginocchio, mentre dal mio campo visivo spariva la faccia simpatica dello zio per lasciare spazio al rosso porpora del pavimento, lo sentii chiaramente dire:
“Io te lo avevo detto.”
Subito dopo ero per terra, disteso, con lo zaino ancora in spalla sul pavimento rosso.
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- Episodio 1: Il Cavaliere Zoppicante
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