La casa maledetta

Leonard Myers aveva soltanto diciotto anni quando ricevette la lettera che avrebbe cambiato il suo destino.

La Juilliard School lo accoglieva con una borsa di studio completa, finanziata da un misterioso mecenate, il magnate della finanza Alexander Schneider, che sceglieva personalmente un solo talento ogni anno.

Il ragazzo non riusciva a crederci: lui, figlio di un operaio e di una sarta, ammesso nella scuola dei sogni di ogni musicista, senza nemmeno aver dovuto fare un’audizione.

Leonard studiava fino a notte fonda, il violino sempre tra le mani.

Non usciva quasi mai, non beveva, non sprecava tempo.

Eppure, nonostante la disciplina, era gentile con tutti: aiutava le vecchiette ad attraversare la strada, si offriva di portare la spesa o carichi pesanti se qualcuno ne aveva bisogno, faceva la carità, portava il caffè ai compagni di corso, aiutava i più giovani, regalava piccole melodie scritte su foglietti ripiegati e varie altre cose.

Una sera, tornando da una lezione, trovò una gattina randagia, che riuscì a salvare giusto in tempo da un investimento rischiando la sua stessa vita.

La portò con sé, la curò, la chiamò Selina; aveva il pelo completamente nero e gli occhi dorati.

Da quel giorno, lei divenne la sua unica confidente, il suo silenzioso conforto nelle notti di studio.

Durante un concerto privato, Leonard conobbe Claire, la figlia del suo mecenate.

Era bella, affascinante, e sembrava vedere in lui qualcosa di puro, di autentico.

Lui, lusingato, si lasciò trascinare in quell’amore elegante e fragile, che presto si trasformò in una prigione.

Claire era possessiva, gelosa di ogni sguardo, di ogni applauso che non fosse per lei.

Leonard, che aveva sempre vissuto per la libertà della musica, si ritrovò soffocato, come un uccello in gabbia d’oro.

Dopo mesi di silenzi, discussioni e lacrime, decise di lasciarla.

Non sopportava più New York, con le sue luci violente e il rumore che non conosceva tregua.

Si trasferì in una piccola casa fuori città, circondata da boschi. Da quel momento avrebbe fatto il pendolare, andando in bicicletta, per giungere a lezione ogni mattina e poi rientrare a casa nel tardo pomeriggio o, a volte, di sera.

L’affitto era inspiegabilmente basso: la gente del posto diceva che quella casa era maledetta — lì, pochi anni prima, una giovane donna era stata uccisa dal fidanzato, accecato da una gelosia immotivata.

Leonard sorrise amaramente: “La gelosia sembra non morire mai” pensò. E firmò il contratto.

I primi giorni furono tranquilli.

Leonard compose, studiò, accarezzò Selina e fu come se imparasse di nuovo a respirare, libero com’era da quel rapporto tossico.

Di notte, la casa sembrava viva.

A volte, quando suonava, sentiva un leggero profumo di gelsomino.

Le corde del violino vibravano anche quando taceva.

Lui non lo sapeva, ma non era solo

C’era Elisa, il fantasma della donna uccisa.

Da anni intrappolata tra quelle mura, vedeva il mondo scorrere senza poterlo toccare.

Ma da quando Leonard era arrivato, tutto era cambiato: finalmente qualcosa — qualcuno — riportava luce in quella casa.

Lei lo osservava mentre dormiva, studiava il suo sorriso, ascoltava le melodie che riempivano le stanze.

Lentamente, senza volerlo, si innamorò perdutamente di lui.

Un pomeriggio d’inverno, Elisa si accorse che il giovane non tornava. L’orologio scandiva ore vuote. Lo sentiva: qualcosa non andava. Per la prima volta da quando era morta, la paura la spinse fuori dalla casa. Un miracolo o forse un dono dell’amore. Attraversò la strada, la nebbia, i lampioni accesi.

Camminò finché non vide le luci di un ospedale.

Lo trovò in un letto, pallido, immobile.

Stavolta era davvero stato investito, per salvare una persona non un gatto.

In quel momento, tra la vita e la morte, Leonard la vide.

«Chi sei?» sussurrò.

«Sono colei che ti ascolta ogni notte,» rispose lei, con voce di vento.

«Mi chiamo Elisa.»

Rimasero insieme in quella specie di sogno sospeso finché lui non tornò alla vita.

Quando Leonard tornò alla casa, tutto gli sembrò diverso. Sul pavimento, Selina dormiva tranquilla, e il violino lo aspettava sul tavolo.

Un pomeriggio, per caso o forse per una volontà superiore, un vecchio scrittoio attirò la sua attenzione: in particolare un cassetto chiuso a chiave.

Dentro c’era un diario, rilegato in cuoio scuro.

Era di Elisa Sanders.

Leonard lesse tutto: la sua infanzia, l’amore sbagliato, la paura, la notte dell’omicidio, e infine le pagine scritte dopo, come se la sua anima avesse continuato a raccontare.

Scoprì così la sua vera essenza — dolce, sensibile, ironica, piena di vita.

Ogni pagina era un petalo della sua anima. E capì di amarla.

Per giorni fu combattuto. Se le avesse confessato il suo amore, lei avrebbe avuto un motivo per restare, condannandosi ancora.

Se invece l’avesse aiutata a passare oltre, lei sarebbe finalmente libera ma lui sarebbe rimasto solo.

Una sera, le disse:

«Elisa, io so tutto. Ho letto il tuo diario.»

Lei lo fissò, tremando.

«Allora sai anche ciò che provo per te.»

Lui annuì, le lacrime negli occhi. «So che dovrei lasciarti andare, ma non posso. Ti amo. E voglio restare con te, in qualunque forma, in qualunque tempo.»

Elisa sorrise e, per la prima volta da tanto tempo, una lacrima le rigò il viso.

Lo baciò — e in quell’istante la luce della stanza cambiò: non più fredda e spettrale, ma calda, viva.

La casa, che per anni era stata prigione, divenne rifugio. Da quel giorno, Elisa non fu più solo un fantasma.

Fu presenza, voce, ispirazione e amore.

Gli anni passarono. Leonard Myers divenne primo violino della Boston Symphony Orchestra, realizzando il suo sogno.

Ogni concerto era dedicato a Elisa e quando il pubblico taceva, lui avrebbe giurato di sentire accanto a sé un soffio di gelsomino e una carezza lieve sulle dita. Selina, ormai vecchia, dormiva ai suoi piedi durante le prove. Ogni notte, tornato a casa, Leonard prendeva il violino e sussurrava:

«Suoniamo ancora, amore mio.»

La casa, piena di luce, rispondeva con un’eco di pianoforte lontano, come un battito d’ali tra due mondi.

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