
Buoni propositi
Serie: Il solo modo che conosco
- Episodio 1: Cambiamenti
- Episodio 2: Il rivolo sottile
- Episodio 3: Sfide
- Episodio 4: Quei paesi che finiscono per ATE
- Episodio 5: Punti di osservazione
- Episodio 6: Nessuna ragione per non farlo
- Episodio 7: Qualcosa in comune
- Episodio 8: Non oggi
- Episodio 9: Svolte
- Episodio 10: Per la prima volta
- Episodio 1: Coriandoli
- Episodio 2: Privilegi
- Episodio 3: Finestre
- Episodio 4: Il cerchio intorno alla preda
- Episodio 5: Impronte
- Episodio 6: Equilibrio
- Episodio 7: Abitudini
- Episodio 8: La bottiglia vuota
- Episodio 9: Fotografie
- Episodio 10: Non dirlo a nessuno
- Episodio 1: Uno che scrive
- Episodio 2: La finestra sul cortile
- Episodio 3: Inciampi
- Episodio 4: Il corredo delle mie insicurezze
- Episodio 5: Buoni propositi
STAGIONE 1
STAGIONE 2
STAGIONE 3
La stanza mansardata dell’hotel mi ha ricordato le camere di quando da bambino i miei genitori, sfiniti dalle mie insistenze, si arrendevano ed acconsentivano a farmi passare un paio di giorni nella casa di campagna di qualche amichetto.
Arredata con un mobilio semplice fatto di legno chiaro che mal si addiceva a quello di un albergo, Il letto, la scrivania, l’armadio e tutto il resto sembravano presi in prestito dall’appartamento di qualcuno in là con gli anni.
Attraverso la finestra dalla forma allungata che terminava ad altezza occhi, là dove finiva la parete ed iniziava la pendenza del soffitto spiovente, la cornice di montagne sulle quali tornava a mostrarsi la neve sembrava messa lì di proposito a formare l’ostacolo che avrei affrontato il giorno successivo. Per ora la sola cosa di cui occuparmi era trovare un posto in cui cenare.
Reutte ha rappresentato alla perfezione il mio immaginario più concreto di tappa intermedia. Delle dimensioni di un apostrofo che si perde fra sassi appuntiti e fiumi che lavorano per levigarli, niente nella vita avrebbe fatto presupporre che un giorno mi sarei trovato qua a disattendere quella supposizione, tra gente che si riversa dentro edifici di vetro moderni e costruzioni storiche nel piccolo nucleo del paese.
Sul piazzale in cui poco prima avevo aspettato che qualcuno mi facesse entrare nella struttura, mi sono perso a guardare striature grigie e sottili allungarsi come capelli di una vecchia e scendere dal profilo delle montagne in direzione del centro abitato. Mi sono mosso alla loro volta spinto dalla curiosità ingenua di chi vive in una località di mare e non ha sufficiente esperienza per comprendere che quelle che sta guardando non sono i disegni bizzarri della foschia che sale verso l’alto in uno spazio vastissimo ma scrosci violenti di pioggia in avvicinamento, di cui mi sono accorto quando era ormai troppo tardi, in mezzo all’unica strada che tagliava in due un ampio appezzamento di terreno verde smeraldo, con l’albergo alle mie spalle troppo distante per pensare che potesse valere la pena tornare indietro.
Senza nemmeno la protezione di un ombrellino né di una giacchetta impermeabile, ho corso in maniche di camicia sotto goccioloni densi e pesanti che si frantumavano sulla cute glabra della mia testa, fino a raggiungere un pugno di abitazioni indipendenti provviste di una tettoia sotto la quale trovare riparo; in tempo per vedere quelle gocce trasformarsi in chicchi di grandine e frantumarsi sull’asfalto, producendo lo stesso rumore di sassi scagliati a terra dall’ultimo piano di un palazzo.
Nell’attesa che l’apocalisse facesse il suo corso, ho sentito su di me gli occhi di tutte le persone che, affacciate alle finestre, mi osservavano con comprensibile diffidenza, io immobile davanti alla serranda di un garage a sperare non dovesse uscire nessuno proprio in quel momento, sprovvisto di invito ad accedere alla proprietà altrui. Del resto, difficile dargli torto. Chi lo vorrebbe un italiano sotto casa?
Mi sono mosso solo una volta che il manto bianco a terra si è trasformato in un lago e quello stesso lago è defluito all’interno dei tombini ai bordi della strada. Allora, sotto un cielo mitigato ma non placato del tutto, ho ripreso a correre finché non ho raggiunto il cuore del paese.
Già rassegnato all’idea che di martedì sera avrei trovato aperta solo qualche squallida pizzeria d’asporto, nel punto in cui inizia la zona pedonale della città ho visto un albergo dall’insegna vagamente retrò pubblicizzare al di fuori della porta d’ingresso, su una lavagnetta poggiata a terra, un servizio ristorante aperto indistintamente ad ospiti e non.
Infilarmi lì dentro è stata una delle idee più vincenti dell’intero viaggio. In quel ristorante, seduto ad un tavolo di fianco alle vetrate che davano direttamente sulla via libera dalle auto, ho mangiato una fra le bistecche panate più buone mai assaggiate, preceduta da una porzione di formaggio fritto che con la pioggia nuovamente copiosa sembrava sposarsi alla perfezione, buttando giù tra un morso e l’altro generosi sorsi di birra la cui compagnia è stata più che apprezzata da uno stomaco vuoto sin dalla mattina.
Osservando le persone camminare indifferenti, incuranti dell’inclemenza del tempo, origliando i discorsi di un ascoltatore ospitato da una radio locale che raccontava di una vicissitudine occorsagli uscendo dal lavoro, mentre acquistava striscioni per una festa di compleanno, ho potuto constatare senza ombra di dubbio quanto Reutte, effettivamente, esista. Lei per me e, da oggi, anche io per lei.
***
Quando ho alzato la serranda e sono entrato a controllare se Greta si sentisse riposata per il viaggio che ci attendeva, ho notato una macchia scura in via di formazione esattamente sotto il motore, nel punto in cui in certi modelli il lubrificante in eccesso spurga. Solo che qua non si trattava di una goccia ma di un laghetto in miniatura che si stava allargando. Mi sono accucciato e ho visto che dalla coppa dell’olio continuava a scendere lentamente del liquido che non sapevo come fermare. Niente di buono.
Nella zona carburatori la situazione non era migliore; dalla guarnizione esterna in gomma se ne uscivano indifferenti al mio sconcerto due inequivocabili rivoletti, non olio ma benzina. Qualcosa che non sarebbe dovuta accadere visto che il rubinetto del carburante era girato in posizione di chiusura come faccio sempre. Tant’è, come dicono gli inglesi, la merda succede.
Mi sono alzato per andare a controllare il carburatore sull’altro lato della moto e come temevo la situazione era più o meno la stessa. La mazzata finale me l’ha data la marmitta, quando passando da dietro ho visto che anche da lì gocciolava un liquido scuro che a prima vista avrebbe potuto sembrare Coca Cola. Ma che cazzo.
È nel momento in cui sono iniziati i bruciori di stomaco che ho tirato un sospiro di sollievo. Ho sgranato gli occhi, ho guardato il telefono. Le 02:15. Ho sistemato il cuscino e mi sono rigirato dall’altra parte, ripromettendomi la prossima volta di limitarmi; o il formaggio fritto o la cotoletta. Tutt’e due no, che poi guarda cosa succede.
Eppure ci avevo mangiato sopra pure un’insalatina.

Serie: Il solo modo che conosco
- Episodio 1: Uno che scrive
- Episodio 2: La finestra sul cortile
- Episodio 3: Inciampi
- Episodio 4: Il corredo delle mie insicurezze
- Episodio 5: Buoni propositi
Bellissimo il finale, di quelli che spiazzano, quando ci caschi in pieno in ciò che sembrava. Ecco perché non amo i finali aperti: non ti danno il gusto di questi epiloghi ad effetto. Bravo Roberto.😘
Descrizione meticolosa e coinvolgente del luogo, talmente minuziosa da avere la sensazione di trovarsi ivi.
Ho avuto la sensazione che la battuta sulla diffidenza contro l’italiano straniero sia una salace ironica frecciata contro l’istintiva, ed ottusa, diffidenza nei contro gli stranieri