PROLOGO

Serie: Le Venti Clessidre


NELLA PUNTATA PRECEDENTE: Racconto informale, ironico, ambientato nell'Antico Egitto con giochi di parole, battute, accostamenti a canzoni e all'attualità, con protagonista un egiziano scaltro e spregiudicato. Non mancano complotti, tradimenti, sesso (senza amore), faraoni, visir, sacerdoti, generali, schiavisti e oligarchi.

Era una torrida giornata d’estate e lungo le rive del Nilo il tempo scorreva lento, il fiume discorreva del più e del meno, e Neferneferuaton era quasi pronto per iniziare una nuova giornata di lavoro. 

Neferneferuaton portava un nome importante ma non gliene importava niente, era sì il nome di un faraone ma troppo lungo; quando doveva firmare per esteso, il nome portava via troppo spazio sul papiro, e il papiro costava; lui nelle vene aveva anche qualche goccia di sangue ebreo. 

“Ay, potevano chiamarmi Ay, come il successore del faraone Tutankhamon” lo ripeteva spesso Neferneferuaton quando qualcuno, facendo quella classica faccia da ebete, glielo faceva ripetere: “NefernefCHÉ?!?!” 

Lui non lo sapeva ma il nome del faraone Ay per intero era Kheperkheperura Ay, e Ay era solo per gli amici: peccato che Kheperkheperura Ay non ne avesse mai avuti di amici; un faraone era un Dio e non si poteva avere un Dio per amico – oggi al massimo una donna per amico – (L. Battisti). 

Nell’antico Egitto tutto era del faraone, anche il tempo. Ogni suo desiderio era un ordine e doveva essere esaudito in tempo. Il faraone Ramses II era ossessionato dal tempo, voleva essere informato dell’ora esatta – minuto più, minuto meno – anche quando percorreva la strada verso la Necropoli di Giza dove svettavano le piramidi di Cheope, Chefren e Micerino.

La distanza tra il palazzo del faraone e la Necropoli era di circa “diecimila leghe sopra il deserto”, un tragitto che percorreva in poco più di un’ora. Così il visir, il primo ministro del faraone, per mantenere ben salda la testa sul collo, si ruppe la testa per una notte intera per cercare una soluzione. Costruire dei campanili a distanza ravvicinata ogni mille metri non poteva essere la soluzione perché il tempo, a quei tempi, non veniva scandito dal rintocco delle campane (i campanari erano introvabili come le campane), e per questo l’idea venne scartata. Allora il visir – quello con dieci dita, da non confondere con quello ottomano del Gran visir – pensò di utilizzare una macchina del tempo meno futurista e la clessidra era la soluzione: la tecnologia era collaudata, e la materia prima, la sabbia finissima, era di facile reperibilità, come anche il vetro. 

Una squadra di clessidrari istituita ad Hoc – in una cittadina sorta per l’occasione, Hoc distava ad hocchio e croce pochi chilometri dall’oasi di Sansone, detta l’Oasi del Gelato – venne incaricata di costruire le venti clessidre nel più breve tempo possibile; l’ordine era chiaro: bisognava fare l’impossibile e in tempo. 

Il progetto prevedeva il posizionamento di una clessidra ogni chilometro lungo il bordo della strada, le clessidre dovevano essere ben visibili ad occhio nudo e, pertanto, di dimensioni gigantesche; in Egitto tutto era elefantiaco, anche gli elefanti, solo le miniature non lo erano perché mini, e un elefante in una mini, si sa, non ci sta. Le clessidre erano in vetro, come quelle odierne e con la classica forma a clessidra, erano formate da due vasi comunicanti fra loro per i vertici, con una fessura interna dove della sabbia finissima veniva lasciata cadere dalla parte superiore a quella inferiore. Sul vetro sei tacche distanziate indicavano le ore mentre altre undici più piccole, intermedie, segnavano i multipli di cinque minuti. 

Se non sono stato chiaro vuole dire che siete all’oscuro di tutto, e se siete all’oscuro accendete una lampada, magari sfregandola, non si sa mai che qualche vostro desiderio venga esaudito. 

Le clessidre sono notoriamente silenziose, il filo di sabbia che cade costantemente all’interno di una clessidra emette un sibilo impercettibile all’orecchio umano; lo si può sentire solo avvicinando la clessidra al padiglione auricolare; volendo, si può anche avvicinare il padiglione auricolare alla clessidra, se più comodo, tanto il risultato non cambia. Se non siete d’accordo vuol dire che avvertite ogni minima sottigliezza sibillina – sibilina se la facciamo derivare dal sibilo. 

Le clessidre in questione invece emettevano un sibilo forte, fastidioso, simile a quello di tanti serpenti a sonagli, senza i sonagli per l’esattezza. Tutto sommato era un piccolo inconveniente, gli egiziani erani abituati ai serpenti, un po’ come noi con i cinghiali nelle città. Adoravano Apofi, il Dio Serpente, che era il principale antagonista di Ra, la divinità solare, e la vittoria del Dio Serpente sul Dragone rappresentava metaforicamente il quotidiano sorgere del sole. Invece la battaglia quotidiana contro i cinghiali oggi non so cosa stia a rappresentare o forse sì: la sconfitta di una ex sindaca con la “V”, non di Vittoria, di Roma capitale e dei quartieri di periferia situati nei suoi paRaggi. 

Il faraone impiegava poco più di un’ora per coprire il tragitto dal centro città alla spianata di Giza dove era in costruzione una grande piramide. Il palazzo del faraone si trovava nella piazza centrale, piazza dei faraoni di Capri, così chiamata per due enormi faraglioni rubati a Capri da due faraoni qualche secolo prima: Esthàtomon e Ànckheton che non bisognava mai nominare pena la morte, e questo nella migliore delle ipotesi ipotizzabili. Le altre pene erano descritte in una stele, la stele dei delitti e delle pene di Beccariuaton, che è stata conservata dalla moglie Rosetta nella sua cantinetta. “È stata una bella scoperta” così commentò l’egittologo capitato e capitano Pierre-François Bouchard nella campagna d’Egitto del 1799 davanti a Napoleone; non è chiaro se si riferisse alla stele o alla cantinetta “par dieu!”. 

Nell’antico Egitto, ma anche nel medio, la storia millenaria dei faraoni era scandita da un lento count down. Il fenomeno era curioso: gli egiziani, ma anche le egiziane, ad ogni capodanno festeggiavano l’anno che verrà (veniva) Dalla parte più vasta a ovest del Nilo e anche da quella più limitata a est, con grandi festeggiamenti perché il nuovo anno era percepito come un anno migliore, che porterà una trasformazione e tutti quanti stiamo già aspettando. Per fare un esempio dal 31 dicembre del 2859 si passava al 1° gennaio del 2858: era passato un anno, ma per il calendario egiziano era un anno in meno, ma si invecchiava egualmente (anche quella volta non mancavano le fregature, quelle che non terminano mai la domenica, ce lo sentiamo ripetere come un mantra stando comodamente seduti sulle nostre poltrone e sofà mentre cerchiamo di cambiare canale più velocemente possibile). 

Il mistero degli anni calanti è uno dei tanti misteri irrisolti dell’antico e medio Egitto che la Sfinge custodisce gelosamente da tanti secoli con quell’espressione un po’ ambigua, tanto cara anche alla Monna Lisa di Leonardo da Vinci. 

Il mistero della luna calante, invece, era stato studiato e risolto dagli egiziani; al tempo le potenti lobby degli astronomi e degli astrologi erano seconde solo a quella dei militari che il faraone favoriva primariamente con lauti emolumenti e benefit, e a quella dei sacerdoti che non si facevano pregare ma passavano all’incasso di gabelle e tributi (e quindi gli astronomi e astrologi erano terzi ex aequo).

I militari erano una casta potentissima che gestiva ingenti risorse finanziarie. Non tutto veniva destinato alla difesa, gran parte veniva dirottato su conti cifrati accesi nelle banche degli Emirati Arabi (non ancora uniti); più che conti cifrati erano conti indecifrabili alla finanza nonostante i numeri arabi.

Ci fu una guerra ebraico-egiziana detta dei 6 giorni, il settimo si riposarono; fu una guerra lampo per la proverbiale tirchieria degli ebrei che mal digerivano il prolungamento delle ostilità, non per risparmiare sulle vittime civili ma sui costi militari.

Costi ben sopportati ai giorni nostri da una ex armata invincibile finanziata soprattutto dal nemico che vuole così dimostrare di non essere tanto nemico ma neanche tanto amico; siamo a “Nemici quasi amici” il sequel di “Quasi amici”. 

I generali egiziani mal S’ADATtarono alla sconfitta, temevano che il loro potere si sfariNASSER e per questo che ci furono purghe a tutti i livelli. Lo scontro continuò con una guerra combattuta proprio durante un’importante festa religiosa ebraica. Ecco le parole di fuoco di un generale dell’esercito ebraico: “VigliaKI PPUR di vincere la guerra ci attaccano all’improvviso, proprio quando siamo in festa”. 

Serie: Le Venti Clessidre


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Discussioni

  1. “Se non sono stato chiaro vuole dire che siete all’oscuro di tutto, e se siete all’oscuro accendete una lampada, magari sfregandola, non si sa mai che qualche vostro desiderio venga esaudito” credo che me la rivenderò nelle conversazioni con i miei amici 😀

  2. 10 episodi in 20 giorni sono stati un tour de force per completare la serie; ti posso assicurare che anche scrivere cose “leggere” diventa pesante, ancor di più in una lunga serie. Il problema ora è che non sono riuscito a far partire il primo episodio nell’ambito di una serie risultando come singolo. Spero di sistemare l’inconveniente prima di pubblicare il secondo. Non farti troppe aspettative sulla serie; l’importante è che ti diverta. Grazie di tutto.

  3. Finalmente rieccoti! L’attesa ne è valsa la pena. Stupendo racconto sull’antico Egitto con il tuo stile ironico e pungente che strizza l’occhio con una satira sui giorni nostri. Aspetto con ansia il prossimo episodio, per il momento: BRAVO!

  4. As-salam’alaykum, Fabius. Non potevo andare a letto senza prima aver letto questo tuo episodio sull’ Egitto, di clessidre in progetto.
    Prima considerazione: meno male non hai abbandonato il tuo stile giocoso. Ho temuto, dopo aver a lungo atteso, che fossi diventato un po’ troppo serioso. Seconda considerazione: ho come l’ impressione che ci sia un bel po’ di preparazione, degna di una grande lezione, in questa narrazione sulla suddetta antica nazione. Terza considerazione: ci riserverà molte sorprese, è la mia sensazione, questa serie, tra storia antica e attuale situazione.