Prosa poetica

Serie: Panchine


« C’era una volta un poeta a tal punto innamorato dello spazio

 della sua stanza che sedeva tutto il giorno nella poltrona

 e covava le pareti che stavano dinanzi ai suoi occhi »

(R. Walser, Storie)

Fu visto entrare come di soppiatto, o forse silenziosamente soltanto, come per una sorta di rispetto dovuto ai luoghi sacri, come probabilmente giusto, o un certo imbarazzo pur evidentemente ingiusto, come per l’accesso ad un luogo esclusivo, cui non sentiva di avere diritto, fosse per nascita o educazione; ma più semplicemente per timidezza, fu detto, che fosse congenita o indotta, nella figura comune o classica, esile e scarna di un adolescente in cerca, scossa da un’eccitazione timorosa, presa in un tremore febbricitante.

Entrò in libreria quasi di nascosto, o solo con certa riservatezza, per dirigersi senza incertezza nella saletta adiacente l’ingresso a sinistra, appartata come una dépendance riservata ai libri cosiddetti tascabili, ovvero economici, ma capaci di far girare la testa come intorno al globo, e di aprirsi al vasto mondo attraverso gli scaffali, con la letteratura dei vari paesi; entrò dunque con sicurezza svelta nella stanzetta, deciso a esercitare la sua autonomia di scelta, direttamente allo scaffale aperto, con le proposte messe in evidenza, senza dover chiedere informazioni, quasi segretamente, senza voler domandare niente a nessun altro; come per qualcosa di cui vergognarsi, pur patologicamente, ancora una volta, o come se la lettura appartenesse ad una dimensione tutta privata, fruibile in solitudine solamente.

Era un lettore ancora giovane e acerbo, del resto, e come tutti gli adolescenti affamati di senso e bisognosi di espressione, che gettavano quotidianamente parole ardenti in forma di verso, sul taccuino che portavano sempre appresso, era in cerca di quei poeti che potevano trasmettere quasi a lui stesso soltanto i loro segreti, nel rapporto privilegiato instaurato con la lettura individuale e silenziosa, con il corpo del libro sorretto armoniosamente in grembo, come le proprie membra ben sostenute dallo schienale lievemente inclinato della panchina o della poltrona, per ascoltare la voce intensa delle righe che andavano a capo più frequentemente.

Fu quindi visto uscire velocemente, pagato il volume disponibile in quel momento o soltanto perché lì esposto, con la sensazione comunque compiuta di aver tra le mani qualcosa di importante: un piccolo tesoro in copertina rossa, l’immagine del corvo nero ben in vista, la carta corposa delle pagine interne: lieto di offrire al proprio lettore i Fiori del male … tradotti in prosa, da “uno dei più raffinati poeti contemporanei: A.B.”

Ma sarà solo a distanza di anni, nella piena attenzione di un lettore ormai adulto e maturo, ben capace peraltro di identificare il nome completo celato nelle misteriose iniziali, del resto svelato in edizioni ulteriori, quando il libro riemergerà alla luce, come sotto la spinta di un rimosso, dalle profondità degli scaffali più remoti della propria biblioteca personale, che quella interessante decisione editoriale, e quella scelta di acquisto così indipendente, ritroverà tutto il suo senso ambiguo, ed il suo fascino particolare, sotto la pressione del rimorso, magari, di aver conosciuto soltanto in prosa le poesie ritenute essenziali per la propria formazione giovanile.

Serie: Panchine


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