PUNTO DI ORIGINE

Tre ponti avea il Mar Abisso, e diciotto bocche da foco montava d’ogni lato; le vele cupree, nerissime, come notte senz’aurora.

Fu scorto a largo d’Estra, alla deriva, sbandato e muto: né issava segno d’uomo, né esibiva vessillo di reame.

L’equipaggio, fiaccato oltre il dire, tacea come anime spente, ché le lingue loro parean frante contra scogliere d’ultima speme.

L’Ammiraglio Orban, di fama legnosa tra le ciurme, qual Bardo de’ Mari per le sue rime da barile, d’un cervello fradicio di spirito, tenea lo sguardo fitto al pelago, nello strumento del veder lontano.

Cercava – oh sì – uno scampo.

O, al peggio, un fine.

Per svio d’intento, doppiato avean l’isola di Cardoa, fiaccati alle calcagna dalla flotta del Mirabò, quando un flutto spettrale, un alito avverso del mar, li ghermì con forza d’ineluttabile fato.

Le vele, sebben ammainate, enfie non d’aere parean, ma d’un volere occulto e cieco.

Il galeone procedea come tratto da gomena, celata sotto il volto placido dell’onde e, giunti ch’eran alla foce, d’aprir labbro niuno ancor ebbe core.

Nel fiume, sì largo che il lor passo non vietasse, quiete sinistra e cupa allignava, quasi che l’acque stesse fosser pensose.

«È cosa contra natura,» s’accorò Joaquin, nostromo di sperienza, mirando i flutti salsi che movean verso monte.

Il timoniere tentò virata: la ruota ricacciava ogni consiglio.

Calate furon l’ancore, ma alcun fondo più era da mordere.

Sol acqua.

E più acqua.

E sotto, abissi senz’orlo.

«Rimontiam la corrente,» osservò l’Ammiraglio, deposto il tricorno al parapetto.

«Come fossimo inghiottiti. Sin alla sorgen­te.»

«E poi, mio Capitano?» osò il quartierma­stro.

Col silenzio replicò l’altro, in un ruminar di tabacco.

Nell’angustia delle ore a venire, Orban non cessò di vergar memorie, con polso incerto e cuor gravido d’ombre.

Risaliam da ormai tre dì, scrivea l’Ammiraglio nel libro di viaggio, e la corrente ancor ci mena quali foglie tra i flutti.

Come strega ebbra danza la bussola, allorché il sole par morir due volte, e ciascuna notte si fa l’ultima, tanto sentiam l’approssimarsi del niente.

Il cuoco traccia nomi che mai furon, sul desco di coperta, nomi di ciurma levata puramente nel suo ingegno.

Il mozzo sperto ha dato addio al verbo; mentre lo sguattero dimanda sovente si lassù – ove il fiume ha il suo principio – dimori Iddio, o pur sia solo altra foce, che all’inverso scenda.

Io, Orban, cesello versi sul tergo di carte nautiche, sì da affidarli al vento per non ammatti­re.

Eppur stamane la follia batté più forte: selve immani, difatti, scorgemmo sfilar sulle sponde; colonne maestose e vegetali, che parean rifratte l’una nell’altra, gemelle nel fusto e nella fronda, quasi l’alveo fosse lama secante due perfette metà d’un medesimo frutto.

Una bruma perenne, greve come lana, serpeggia da allora sulla rotta.

Dolce è l’acqua, eppur raspa in gola qual vino guasto.

Non sostien né uomo né vascello: ogni cosa, salvo il Mar Abisso, sprofonda in essa come pietra gittata.

Niuno, fra noi, anela più al ritorno.

C’incontriam cogli occhi, e già sappiamo: il fiume non acconsentirà.

Sol Booth, capo d’arme e uomo pratico, mormorò iersera, scorato e a mezza voce: “C’assottiliam colla corrente, via via che s’approssima la fonte. Non già il prospetto ci s’amplifica d’intorno, quanto noi, noi che in strettezza regrediamo, sin a farci petre, e poi petruzze, indi grani, e al fin pulviscolo. 

È un nascer all’inverso, senza conforto d’un naufragio. Supplicio di perenne consunzione.”

Il Mar Abisso intanto sale.

E ancora sale. 

In dispetto alla ragione.

Ma in cotal fiume non v’è ragione.

Né logica alcuna.

Soltanto abbandono.

Avete messo Mi Piace3 apprezzamentiPubblicato in Narrativa

Discussioni

  1. Un bel pezzo. Una narrazione dal colore antico che rende ancor più suggestiva la misteriosa avventura che avvolge i personaggi. L’ho letta come una leggenda del mare, una di quelle che narrano la sconfitta di uomini coraggiosi, che non fecero ritorno. Grazie per la lettura

  2. Bello questo racconto che sembra narrato proprio da un bardo dell’epoca (credo XVI/XVII secolo). Quasi una pagina di un poema di Torquato Tasso. L’ho immaginato recitato da Vittorio Gassman. Al di là di questi aspetti, mi ha commosso immaginare questi poveri marinai che vanno incontro alla morte (quasi sicura) contro corrente.

    1. Ciao Concetta! Grazie mille per la lettura e per il bellissimo commento🙏🏻 Felice di essere riuscito a evocare immagini utilizzando questo stile così distante da quello che, solitamente, riconosco come mio. È stato un esperimento piacevole 🤗

  3. Ah, tu l’hai fatto di nuovo! Sei pervenuto a destare in me cotesto mio appetito, ch’è tra incanto e surrealismo. E l’hai condito il tutto con una assai pregevole elezione di stile. Fu sì una lettura dilettevole, benché di quando in quando non afferrai il senno d’alcuni vocaboli.
    Ho io una quistione che mi punge: vi fu alcuno scritto o alcuna visione che t’abbia spirato in cotesta tua opera?

    1. Ciao Marco😄! Grazie della lettura e del bellissimo commento!🙏🏻 Credo che l’idea derivi da un libro di Michele Mari (solo l’idea, non lo stile). Ricordo che mentre leggevo quel romanzo (una vicenda ambientato su un vascello) avevo creduto per un attimo che la storia avrebbe preso la piega di questo mio raccontino. Sbagliavo, però ormai l’idea era arrivata🤗

  4. Per un attimo ho avuto l’impressione di leggere la Divina Commedia, tanto da poter quasi sentire l’accento fiorentino di Dante in certe espressioni che hai usato 😁 Bello, è stato divertente leggere questo testo a voce alta!

  5. Beh, che dire , la tua prosa è limpida, curata, forbita, elegante, fiorita e ampollosa… e mi azzardo a dire alla stregua di quella del Cicerone, di Machiavelli e di Manzoni. Bravo. 🙂