
Quattordici anni dopo
Serie: IL TRENO DELLE ANIME
- Episodio 1: Il piano – 1
- Episodio 2: Il piano – 2
- Episodio 3: Sabato 29 marzo
- Episodio 4: L’incontro con la madre
- Episodio 5: Il processo e il carcere
- Episodio 6: Mario
- Episodio 7: Lo scarafaggio
- Episodio 8: La proposta
- Episodio 9: La prova
- Episodio 10: Il concerto
- Episodio 1: Il sogno
- Episodio 2: Sara
- Episodio 3: Il Santo Graal
- Episodio 4: Michele
- Episodio 5: Il professore
- Episodio 6: L’incontro con Gigi
- Episodio 7: L’inquisitore
- Episodio 8: La rabbia di Nico
- Episodio 9: La lupa
- Episodio 10: Gorka
- Episodio 1: Marie
- Episodio 2: La chiromante
- Episodio 3: La pergamena
- Episodio 4: L’ultima notte
- Episodio 5: Tonio
- Episodio 6: L’epilogo della storia di Nico e la storia di Manuel
- Episodio 7: Alex
- Episodio 8: Conchiglie e sassolini
- Episodio 9: La roulette russa
- Episodio 10: Il racconto della vecchia signora
- Episodio 1: Katia
- Episodio 2: In viaggio verso l’Italia
- Episodio 3: Il Cavaliere senza Croce
- Episodio 4: Rien ne va plus
- Episodio 5: Il padre di Manuel
- Episodio 6: La tempesta
- Episodio 7: L’alfabeto colorato
- Episodio 8: Quattordici anni dopo
- Episodio 9: L’interno 8
STAGIONE 1
STAGIONE 2
STAGIONE 3
STAGIONE 4
Con il tempo, Katia e Manuel non pensarono più a quello che era successo e si convinsero che forse lei avesse dimenticato l’incontro con il pescatore e che tutto il resto fosse solo una strana coincidenza. Concentrati sulla loro vita, si sposarono con il rito religioso, con Alex che faceva da paggetto. Katia diventò insegnante di ruolo in un liceo linguistico e Manuel ottenne la mansione di responsabile del personale e capo officina della “Greppi Srl” nella sede di Milano. Comprarono anche una casa più grande con un piccolo giardino in periferia e Manuel si sottopose a un intervento per guarire la sua zoppia. Adesso le aspettative erano tutte rivolte ad Alex, che si era diplomato con il massimo dei voti e sembrava aver ereditato dal padre la passione per la meccanica.
In un pomeriggio di fine luglio del 2038, Tommaso chiamò Manuel nel suo ufficio per una comunicazione importante.
«Siediti, Manuel.»
«È successo qualcosa? Problemi con le consegne?»
«No, va tutto bene, è proprio di questo che volevo parlarti.»
«Non capisco.»
«A-aah, fammi parlare e stai zitto. Io non ho figli e neanche parenti prossimi e non ho nessuna intenzione di lasciare tutto questo a chi neanche si ricorda che esisto. Certo, potrei fare testamento a favore di un ente di beneficenza, ma chi mi assicura che tutto arrivi a destinazione? E poi io amo questa officina… è la mia vita. Non voglio che venga venduta con il rischio che trenta dipendenti perdano il lavoro. Ho fatto testamento: un 50% andrà al direttore amministrativo e l’altro 50%… a te.»
Manuel restò senza parole, ma i suoi occhi brillavano.
«Che succede, non sei contento? Volevi tutto tu?»
«Ci mancherebbe, ma come mai hai pensato a me e non…»
«A chi? A qualcun altro che aggiusta auto con lo stesso spirito con cui affetterebbe un salame? Con precisione, per carità, ma senza passione. Tu, invece, sei come me, ami il tuo lavoro e farai crescere questa azienda.»
«Ma non ti sembra troppo presto per fare testamento? Mi fai preoccupare.»
«Se è per questo, il testamento è stato redatto 5 anni fa, così evitiamo gli immancabili avvoltoi che direbbero che qualcuno ha circuito il vecchio rimbambito. Per il resto, sto benissimo.»
«Grazie, Tommaso, mi hai lasciato senza parole, farò del mio meglio per non deluderti.»
«Non c’è niente da ringraziare, non posso portarmi l’officina all’altro mondo. E poi diciamoci la verità: ti conosco da quando eri un bambino, ti ho visto crescere… eri poco più di un adolescente quando hai fatto l’apprendistato con me. Mi sembra di rivederti a mezzogiorno, addentare il tuo panino… poi arrivavano gli altri due e…»
Manuel si era estraniato da tutto e Tommaso se ne accorse.
«Scusa, Manuel, sono un vecchio coglione.»
«Non ti scusare, come si fa a dimenticare…»
«Cambiamo discorso. Ho saputo che Alex si è diplomato. Pensa di continuare con gli studi?»
«Sì, forse farà ingegneria degli autoveicoli.»
«Voilà, farà parte dei nostri?»
Manuel adesso sorrideva con orgoglio.
«Pare proprio di sì.»
«Bene, allora, salutami il ragazzo e Katia e a domani.»
Manuel salutò.
Attraversò l’officina per uscire e si soffermò a guardare un gruppetto di operai che ridevano e scherzavano spintonando con forza l’uno verso l’altro il più giovane di loro. Era più che chiaro che si trattava di un gioco e il primo a divertirsi era proprio quello che veniva, in modo bonario, preso in giro, ma Manuel sentì crescere in lui una forte ansia.
«Ma siete impazziti? Lasciatelo stare.»
«Ma signor Manuel, domani Luca si sposa, gli abbiamo preparato anche la festa al celibato.»
«Va bene, allora, tu, porta i confetti e andate a giocare in cortile… qui potreste farvi male, ci sono troppi attrezzi da lavoro.»
Manuel salì in auto ma non partì subito. Guardò in lontananza quei meccanici che ripresero a scherzare.
«Ma che cazzo mi è preso… sto diventando vecchio.»
Accese una sigaretta con fatica: le sue mani tremavano e si perse nei ricordi.
Vedeva nitidamente tre ragazzi seduti sui gradini dell’officina che mangiavano e ridevano: due con la tuta blu e il terzo con un gilet e un berretto arancione.
«Eravamo complementari in tutto… anche nei colori.»
Manuel rise amaramente, poi diede un ultimo tiro alla sigaretta e chiuse a pugno la mano intorno al mozzicone ancora acceso.

Quella sera non ritornò subito a casa, sentiva il bisogno di stare solo con i suoi pensieri. Parcheggiò e si diresse verso i navigli. La notizia che aveva ricevuto non poteva che farlo felice, però quella frase interrotta di Tommaso e quegli operai che scherzavano nell’officina avevano spalancato una porta sul suo passato che in mille modi aveva cercato di chiudere, ma una fessura restava sempre aperta, lasciando passare ombre che restavano alle sue spalle. Qualcosa, però, non gli era chiaro: perché aveva provato tanta paura alla vista di quella innocente presa in giro? La probabilità che i ragazzi si facessero male era minima e anche nella sua vita non era mai successo che un gioco finisse in tragedia. Era l’identica sensazione di panico e impotenza che l’aveva assalito a Garda, anni prima, quando un mendicante scivolando si era aggrappato a lui per sorreggersi.
Passò qualche giorno e un mattino, Manuel, mentre faceva colazione insieme a Katia e Alex, pensò di parlare al ragazzo per proporgli di iscriversi all’università. Sperava che il figlio scegliesse una facoltà attinente alla meccanica, così, una volta laureato, avrebbe potuto aiutarlo nella gestione della “Greppi”, ma soprattutto desiderava che fosse competente, non come lui, che senza un titolo di studio, per guadagnarsi la fiducia e il rispetto di capi e dipendenti aveva faticato il doppio. Alex era sempre stato d’accordo, adesso, però, sembrava prendere tempo ed evitare l’argomento.
«Alex, che dici se dopo facciamo un salto all’università per chiedere della prassi, dei test e altro?»
Alex fece finta di non sentire e continuò a spalmare la crema alla nocciola sul cornetto.
«Alex, ma mi senti? A cosa stai pensando?»
«Papà… io ci ho pensato e…»
«E cosa?»
«Ho deciso, voglio studiare al Politecnico di Torino. Sono grande e voglio provare a essere un po’ più indipendente, stare lontano da casa… non sono più un bambino… voglio sentirmi più libero.»
«Ma chi ti lega? Se vuoi andare a vivere da solo lo puoi fare anche qui a Milano. Prendiamo un appartamentino e fai quello che vuoi tu…»
«E dagli, ancora? Io non voglio sentirmi controllato… fosse pure per affetto. Non ti chiederò niente. Mi troverò un lavoro.»
«Perché tu pensi che con i lavori del cazzo di oggi, ti paghi le spese? Sai a me quanto me ne fotte di darti quello che ti serve? Ma poi che male c’è se io e mamma vogliamo vederti una volta in più?»
«E dov’è il problema? Non vado mica in America? Vado a stare a Torino. Poi sarò in compagnia, dividerò la casa con Davide, Sergio, Marco e Roby.»
«Ma chi? Le future speranze della musica?»
«E basta, pa’… e che rottura, sono stufo! O vado con loro o rinuncio all’università.»
Katia, stanca della discussione, intervenne.
«Basta, lo dico io. Sei un maleducato a parlare così a tuo padre. Vuoi andare a Torino? Vacci. Se proprio ti diamo tanto fastidio… e non ti preoccupare che non verremo a farti visita.»
«Vabbè, ho capito… buona giornata, ci vediamo stasera.»
Alex bevve l’ultimo sorso di cappuccino e scappò via.
Katia appoggiò le mani sulle spalle di Manuel che fissava il posto vuoto di Alex.
«Manuel, lascialo perdere, è fiato sprecato. A quell’età, più gli dici che non sei d’accordo e più si intestardiscono… è stato sempre così… anche noi eravamo ribelli. In fondo ha ragione anche lui, vuole fare le sue esperienze, e il Politecnico non è da meno della Bocconi… poi non sarà solo, hai sentito? Andranno anche quei suoi amici.»
«Ecco, a me sono proprio i quattro musicanti del Brera che mi preoccupano di più.»
«Ma sono bravi ragazzi, dai!»
«So per esperienza che le peggiori idee vengono proprio dai bravi ragazzi.»
Katia rise e abbracciò il marito.
«D’accordo, hai ragione tu… come sempre, ma guarda che io sono la madre, l’ho partorito io, pensi veramente che non mi preoccupi? Non sei l’unico genitore.»
Padre e figlio non tornarono più sulla questione ma l’ultimo sabato d’agosto Alex parlò ai genitori.
«Volevo dirvi che… lunedì parto, abbiamo trovato un appartamentino ammobiliato in periferia.»
«Abbiamo? Con chi hai trovato? In periferia? Di quale città?»
«Papà, te l’ho detto l’altra volta. Insieme ai miei amici a Torino.»
«Va bene, vai, se hai bisogno chiama tu.»
«Papà, io non ti capisco, ma se abitavamo in una cittadina di provincia non dovevo spostarmi?»
«Sì, è vero, ma in quel caso non c’era alternativa… così invece è una fuga da noi.»
«Ma papà che dici, io voglio bene a te e alla mamma.»
«Hai detto tu che non vuoi essere controllato.»
«Sì, ma l’altra volta ho esagerato e ho detto cose che non penso davvero, però non capisco: dovreste aiutarmi a crescere, e invece, soprattutto tu, mi fai sentire come se stessi facendo un delitto.»
«Ma è quello che voglio fare: starti vicino, consigliarti.»
«Non mi aiuti così. Io devo imparare a stare da solo a non avere paura.»
«E allora cosa devo fare?»
«Lasciarmi andare, dirmi che non c’è niente di cui avere paura. Perché non mi insegni ad essere forte come te, eh? Perché non mi dici come si fa? E se non imparo dammi un calcio in culo e fammi volare dalla finestra.»
Alex andò a chiudersi in camera sua. Katia e Manuel lo sentirono piangere.
«Ho sbagliato tutto. Non volevo essere come mio padre e ho fatto peggio. Io mi sentivo solo perché ero solo e mio figlio ha paura di restare solo perché non lo è mai stato. Vuoi vedere che mio padre aveva capito tutto?»
«Se hai sbagliato tu, Manuel, ho sbagliato anch’io. Il fatto è che con i figli non si indovina mai. Bisognerebbe avere una connessione diretta con il loro cervello ed essere onnipotenti.»
Manuel pensò a quello che aveva detto il figlio. Aspettò che Alex si calmasse e poi bussò alla porta della sua stanza.
«Posso entrare?»
«Sì.»
Alex era già a letto e Manuel si sedette accanto a lui.
«Io non sono forte e non sono neanche coraggioso, fingo di esserlo all’occorrenza. Tu non devi avere paura ma neanche forzarti a fare l’eroe… cambiare la propria natura può essere pericoloso. Hai ragione, devi vivere la tua vita, non sei più il bambino che portavo a cavalluccio, d’ora in poi ti parlerò come si parla a un uomo, anche se sentirò sempre sulle mie spalle quelle piccole gambine… e quando piangi non chiudere la porta… non stai facendo pipì.»
Alex abbracciò il padre e il lunedì partì con i suoi amici.
Passarono due mesi. Un sabato mattina, caldo e assolato, Manuel si svegliò con il proposito di dedicare l’intera giornata al riposo e allo svago. Pensava di trovare un posticino tranquillo dove pranzare con Katia, e magari la sera, dopo cena, andare a teatro o al cinema. Sorseggiava il suo caffè tranquillo e soddisfatto mentre Katia dormiva ancora. Squillò il cellulare, era Alex. Il ragazzo telefonava solo il sabato o la domenica, gli altri giorni si limitava a inviare messaggi e i genitori, per non pressarlo, si limitavano a rispondere e ad aspettare con ansia le sue chiamate. Quindi, Manuel esultò quando sul display del suo cellulare vide apparire il nome del figlio.
«Pronto, Alex.»
Seguì un attimo di silenzio.
«Mi senti, Alex?»
«…Buongiorno, signor Manuel… mi chiamo Davide… sono un amico di Alex… volevo dir-»
«Oddio, dov’è Alex? Perché non ha risposto lui? Cos’è successo?»
«Tranquillo, signor Manuel… Alex sta bene… però…»
«Però cosa? Sto perdendo la pazienza, parla.»
«È che Alex è da qualche giorno che la notte si alza, gira al buio in casa, senza dire una parola… e al mattino… è assente, ha lo sguardo vuoto, non mangia, non parla… la prego… venga qui… noi non sappiamo cosa fare…»
«E questo lo chiami stare bene? Mandami subito un messaggio con l’indirizzo.»
Manuel si vestì in fretta e, per non spaventare Katia, disse che doveva partire per un imprevisto di lavoro.
Fece il pieno all’auto, il POS del distributore era guasto. Pagò con le banconote ma la macchinetta non dava il resto.
«Vaffanculo, tieniti tutto e crepaci.»
Manuel faceva di tutto per arrivare nel minor tempo possibile e, appena fu sulla A4, schiacciò sull’acceleratore. Viaggiava oltre il limite consentito e dopo poco più di mezz’ora aveva coperto la distanza tra Milano e Torino. All’uscita dell’autostrada, imboccò la statale e raggiunse l’indirizzo indicato dall’amico del figlio.
«Dio mio, perché mi hai riportato qui?»
Manuel sentì il cuore salirgli in gola in un solo colpo.
La casa che avevano preso in affitto Alex e i suoi amici era al terzo piano, l’ascensore era guasto e a Manuel, con l’ansia che gli toglieva il respiro, sembrò di scalare una montagna.
Sul pianerottolo c’erano tre porte, l’amico del figlio aveva detto che l’interno era il numero 8: quello di fronte alla scala.
Manuel notò che la targhetta del numero della porta aveva perso una vite e adesso quell’otto era in posizione orizzontale. Ebbe un presentimento.
Bussò, gli venne ad aprire Davide.
«È il padre di Alex, vero?»
«Sì, certo.»
«Io sono Davide… venga… Alex è di là.»
Davide indicò una camera.
Manuel entrò e vide il figlio che fissava il sole come rapito. Con un balzo gli si parò davanti.
«Alex, ma che fai? Non devi fissare il sole. Che hai, figlio mio?»
Manuel prese il viso del ragazzo tra le sue mani, vide che aveva le occhiaie profonde e le pupille, nei suoi occhi chiarissimi, con la luce del sole erano due spilli.
«Alex, rispondi, sono papà, non mi riconosci?»
«Ciao papà, sai? La mamma si è arrabbiata perché non ho fatto colazione.»
«Quando e dove hai parlato con mamma?»
«Stamattina, qui… in casa.»
Manuel abbracciò il figlio e guardò i suoi amici con rabbia.
«Che cazzo vi siete presi per sballarvi? Gli avete fuso il cervello.»
Davide cercò di calmarlo.
«Si sbaglia, noi siamo giovani, ma responsabili… al massimo un paio di birre alla sera.»
«Voi a me non la date a bere, io conosco tutte le merde del pianeta.»
Davide fece l’ultimo tentativo per convincerlo.
«La prego, mi creda, noi non c’entriamo niente.»
«Va bene, va bene, può darsi, però adesso trovatevi un altro alloggio e lasciatemi solo con mio figlio… ecco, questi sono 6.000 euro, possono bastare… se avete ancora bisogno chiamate.»
Manuel infilò i soldi nelle tasche dei ragazzi.
«Ma non era necessario… possiamo dormire nell’altra stanza.»
«Basta… toglietevi dalle palle!»
Manuel spinse gli amici di Alex fuori da casa e sbatté la porta.
I ragazzi scesero in fretta le scale commentando a bassa voce.
«Diu bun, che caratteraccio.»
«Sì, la metà basta.»
«Povero Alex con un padre così.»
Serie: IL TRENO DELLE ANIME
- Episodio 1: Katia
- Episodio 2: In viaggio verso l’Italia
- Episodio 3: Il Cavaliere senza Croce
- Episodio 4: Rien ne va plus
- Episodio 5: Il padre di Manuel
- Episodio 6: La tempesta
- Episodio 7: L’alfabeto colorato
- Episodio 8: Quattordici anni dopo
- Episodio 9: L’interno 8
Wow, questo salto temporale non me l’aspettavo. È comprensibile l’esigenza di Alex di allontanarsi dai genitori, come dargli torto? Specialmente alla sua età.
Alex ha perfettamente ragione, solo che nel prossimo capitolo anche lui sarà assorbito da un vortice strano. Grazie di cuore per il commento, Arianna😘
Cara Concetta, ho avuto il piacere di leggere questo racconto e come sempre son rimasto soddisfatto dalla storia. Bravissima!! P.S: Lo so, devo recuperare anche gli altri racconti ahah, ma lo farò!!
Grazie ancora e non ti preoccupare: leggi solo se e quando avrai voglia🙂
“Io non sono forte e non sono neanche coraggioso, fingo di esserlo all’occorrenza. Tu non devi avere paura ma neanche forzarti a fare l’eroe… cambiare la propria natura può essere pericoloso.”
Bella questa frase!
Grazie di cuore per il tuo commento, Alfredo!
Che botta, Concetta! 😧 Sto ancora metabolizzando il finale. In questo episodio sono successe una miriade di cose. Ho l’impressione che tu abbia spostato l’attenzione su Alex perché è lui, in realtà, la vera “chiave di volta” che svelerà il mistero dietro le vicende dei templari. Alla fine, è il comune denominatore tra le vicende dei vari protagonisti. 🤔 Vedremo…
Eh sì, Alex è cresciuto e avrà un ruolo importante nella storia. Grazie per i tuoi sempre graditi commenti, Tiziana❤️❤️❤️
Dal testamento alla scena in officina, fino alla corsa a Torino, senti il passato che morde il presente. L’ultima immagine di Alex, occhi a spillo davanti al sole, è un pugno: vuoi voltare pagina subito per sapere dove li porta.
Hai colto il senso: il passato che morde il presente e non solo. Grazie per il gradito commento, Paolo.
LINOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOO!
Scusaaa, Linooo, ho detto a tutti i fumatori della famiglia di usare la mia testa come posacenere🥺
Alex ha 18 anni, Manuel 56 e Katia ha più o meno l’età del marito. Come hai ben intuito, adesso l’attenzione si sposta su Alex. Il ragazzo ha problemi, ma non sono solo problematiche adolescenziali; tuttavia, c’è dell’altro, come anche per Manuel. Grazie per il gradito commento, Paolo.
Ciao Concetta, con un salto temporale, apri una nuova situazione e pare, come in una saga famigliare, che tu voglia spostare la figura del protagonista sul figlio (quanto meno allargare il ruolo). Laddove le controversie tipiche dell’età potrebbero bastare, s’intravede all’orizzonte qualcosa di diverso… che riaccende la curiosità. Mi sono un po’ perso la situazione anagrafica, Alex credo appena maggiorenne, ma il buon Manuel (e Katia) quanti anni hanno a questo punto della storia? Grazie per la lettura e a presto