Qui giace la colpa 

Serie: Desideri


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Qui giace la colpa, sentimento aberrante e principale nemico delle donne. La mia è sempre sveglia, accucciata dietro la porta, pronta a mordermi le caviglie quando torno a casa. Ho cinquant’anni e nessuno a cui raccontarlo. Divorziata, senza figli, con troppe notti vuote alle spalle. Non bevo, non fumo, non ballo. Guardo. È la mia malattia segreta: spiare.

La finestra del soggiorno è la mia trincea. Dall’altra parte del cortile, al terzo piano, c’è una coppia che non tira mai le tende. Lei snella, capelli corti. Lui un po’ più grosso, barba scura. Non hanno pudore. O forse sanno di me e giocano. Io accendo una lampada fioca, abbasso le tapparelle fino a lasciare una fessura. Poi mi siedo e aspetto.

Quando si spogliano, il sangue mi batte nelle tempie. Non è solo desiderio: è la vergogna a eccitarmi, la sensazione di essere un insetto che non dovrebbe esserci. Lei si piega, ride, lo bacia. Io stringo i braccioli della poltrona. Mi dico che è solo uno sfogo innocuo, ma la colpa si infila ovunque: nella bocca, nel ventre, nel respiro che non riesco a trattenere.

Per mesi è stato così. Un rito solitario, sempre uguale. Fino a una notte diversa.

Lei ha alzato lo sguardo. Non di sfuggita: mi ha fissata. Ho sentito il gelo nelle ossa, poi un calore improvviso. Non mi sono nascosta. Troppo tardi. Lei non ha distolto gli occhi, anzi ha sorriso. E con una lentezza disarmante ha alzato la mano, accennando un saluto.

Il giorno dopo ho trovato un biglietto infilato sotto la porta. Nessun nome, solo poche parole:

Non guardare soltanto. Vieni.

Sono rimasta ore a fissarlo. Sapevano. Da quanto? Mi sentivo smascherata, sporca, lurida. Ma anche attesa.

La sera ho attraversato il cortile. Le gambe tremavano, la colpa mi teneva per il collo. Ho suonato il campanello con la certezza che mi avrebbero derisa, forse denunciata. Invece mi hanno aperto. Lei sorrideva, lui mi osservava con calma. Mi hanno fatto entrare.

L’appartamento era caldo, profumato di incenso e vino. Sul tavolo tre bicchieri già pronti. Io non riuscivo a parlare. Sentivo la mia età come un marchio, il corpo appesantito, la pelle che non poteva competere con la loro.

«Siediti» ha detto lei. La voce limpida, ferma. Ho obbedito.

Abbiamo bevuto. Poi lui si è avvicinato e ha posato la mano sulla sua schiena, carezzandola fino ai fianchi. Non si sono fermati per me, anzi. Hanno cominciato davanti ai miei occhi, senza più vetri né distanze. Io stringevo il bicchiere.

«Non devi guardare soltanto» ha detto lei. Si è chinata e ha sfiorato la mia mano. Un brivido lungo il braccio, il cuore che martellava. Ho cercato di tirarmi indietro, ma lei mi ha tenuta. «Siamo qui» ha sussurrato.

Ho chiuso gli occhi. Per la prima volta, non ero invisibile. Non ero un’ombra nascosta dietro le tapparelle. Ero dentro la scena. Il suo respiro mi ha colpito la guancia, le labbra hanno trovato le mie. Un bacio vero, caldo, che mi ha fatto tremare.

La colpa ha urlato. Ma non aveva più la forza di fermarmi.

Le mani si sono intrecciate. Ho sentito il corpo di lui avvicinarsi, la sua presenza forte alle mie spalle. Non c’era violenza, solo un invito a lasciarmi andare. E io mi sono abbandonata.

Il tempo è svanito. Non c’erano più i cinquant’anni, il divorzio, la solitudine. Non c’era più neanche la parola malattia. C’erano pelle, calore, mani, bocche. E un senso di libertà feroce, quasi rabbiosa, che mi ha spaccata dentro.

Quando tutto è finito, eravamo sdraiati sul tappeto. Lei rideva piano, lui versava ancora del vino. Io respiravo a fondo, con il corpo bagnato di sudore e di una vita che credevo perduta.

La colpa non c’era più. O forse sì, ma era muta, addormentata, ridotta a un cane stanco. Al suo posto, un piacere mai provato. Una sensazione di rinascita.

Ho pensato: Ecco, sto vivendo.

Non so se li rivedrò ancora. Non so se domani tornerò dietro la finestra. Ma questa volta non è più lo stesso. Non sono più soltanto spettatrice. Ho attraversato il vetro.

E mentre me ne andavo, ho ripetuto sottovoce la mia frase preferita, come un epitaffio al contrario:

Qui giace la colpa. Qui comincia la vita.

Continua...

Serie: Desideri


Avete messo Mi Piace1 apprezzamentiPubblicato in Narrativa

Discussioni

  1. Questo racconto un po’ mi ricorda il film “La finestra di fronte” del grande regista Ferzan Ozpetek. La tua é comunque un’altra storia, con una narrazione é piú frizzante e concentrata. In un breve testo di 1000 parole circa, hai condensato anni di frustrazione, desiderio e passione della protagonista, misti a senso di colpa superato, almeno in parte, nella scena liberatoria del piacere appagato. Un tocco da maestro del cinema soft-hard.

  2. Il tema della ‘colpa’ mi interessa e mi affascina. Credo lo si possa affrontare da svariati punti di vista. Tu ne hai scelto uno, dei tanti, uno in particolare e ci hai costruito un buon racconto. Potrebbe, il tema in sé, diventare una serie, magari un progetto condiviso. Così, un’idea.

  3. Mi è piaciuto molto questo episodio. Scene che inizialmente sembrano inquadrature di un cortometraggio di Hitchcock. Una svolta inattesa nella clemenza di sospendere il giudizio, e un finale liberatorio che anima una riflessione sulle perversioni che, talvolta, siamo portati a giudicare con severità e il rigore imposti da cultura e convenzioni. Grazie per la lettura