Quigodi 

Il nano sandwich che pubblicizza l’evento si dà un gran da fare per farsi notare: sparge puzzolenti petali di girasole creando il vuoto intorno a sé, in modo che la folla lo possa vedere. Ride di gusto e indica l’entrata del Quigodi, spazio autogestito.

La fila è un serpentone di persone disponibili e smaniose di comunicare. Gli articoli per la sopravvivenza sono stati lasciati all’ingresso, ciascuno ha depositato sulla soglia antivirus la paura e la diffidenza. Si potrà ritirare il tutto all’uscita, digitando il proprio codice personale.

Un buttadentro smista in due colonne: «A destra spioni, a sinistra esibizionisti. Sono trenta, gente, trenta denari di compassione.»

Un anziano signore paga il biglietto e decide che andrà a sistemarsi in una delle cabine di destra. “Benvenuto “Al Quigodi” visitatore n. 5.541.875.111.349 nei tuoi dieci minuti di comunicazione passiva. Vedrai, continuerai a raccontartela anche quando dormi.” Così attiva la connessione e sceglie l’opzione “fumetto esistenziale”.

“Hei ma ciao! Io sono Serena e scrivo poesie”.

Una giovane donna scrive formule sulla parete di uno specchio deformante.

“Sai, la realtà mi delude e se qualcuno mi chiede se è solo paura di vivere, rispondo che mi fa paura una domanda idiota. Sostengo che non puoi scrivere un rigo se non ami. E io amo. Ok?

Ciao sono Serena, e sono una sana depravata con un salutare gusto dell’orrido e oggi amo te, shock estremamente eccitante.”

Serena ha movimenti sempre più spediti, mette un punto e va a capo.

“Mi chiedi l’amore per sempre?-  la domanda è corredata da un virgolettato scenografico – ma l’amore per sempre è soltanto una via d’uscita che illumina un vicolo cieco. Io vivo l’amore stupefacente, velocità e potenza ingoiano il singhiozzo e la pista è una linea ininterrotta da asfaltare. Distanze e ostacoli si annullano e si trasformano in scintille di combustibile: adrenalina pura. E non importa se consumi l’ira di dio, se non fai in tempo a sgasare che la spia ti segnala l’ultima goccia. Non importa se, a motore spento, trascinarsi fino alla pompa successiva è una fatica.

Mi chiedi perché? Ma perché l’amore è una poesia recitata tutta d’un fiato.

Ciao sono Serena, facciamo un giro, vuoi?”

Il visitatore n. 5.541.875.111.349 va oltre Serena e si sintonizza su un tipo in mutande, coperto di tatuaggi; ha in testa un casco antinfortunistico con la scritta “persona qualunque”.

“Ciao chiunque tu sia. Ti piace la mia tappezzeria? Ogni tatuaggio rappresenta una tappa della mia vita. Ho già fatto il collaudo e sono regolare. Ho un lavoro quasi sicuro, anche se in ditta suonano una musica strana. Pare vogliano venderci ai cinesi, significherebbe tornare alla paga base e lavarsi la rogna con l’ammorbidente. Nuovi padroni e nuovi contratti.

“E la lotta a lingua armata per i diritti acquisiti? Eh? Rispondi? Ah ecco…

Si brinda alle attuali strategie aziendali, col rosso vivo prelevato direttamente dalle mie vene. Nei cessi della mensa ho creato un murale di numeri telefonici con dedica e relativa vignetta… e già … Poi, come farlo apposta, ci lascio il muso sulla sagoma stropicciata del mio sindacalista ottimista che mi spaccia fumo e mi fa lo sconto con le rassicurazioni. Mi dice: stiamo lavorando per te. Gli sorrido con le labbra che si baciano e che trattengono i vaffanculo, ma lo splendido non afferra il concetto e mi parla di ulteriori rivendicazioni sindacali, con l’entusiasmo del contrabbandiere che ha fregato i finanzieri alla dogana. Lo lascio sul posto in decomposizione lenta e vado a fare un altro gioco al tavolo degli scacchi. Ogni anno organizziamo un torneo e chi arriva in finale può vincere un mese di fancazzismo. Pedina d’oro vince l’esenzione dal lavoro rognoso. Perché, amico mio, avere le prove della propria intelligenza è fondamentale.”

Con un movimento improvviso, la “persona qualunque” si volta su un fianco e gli mostra una faccia tatuata su una natica. “La vedi questa? È del mio sindacalista. Il mio sindacalista dice che è grazie a lui che mi hanno concesso l’ipoteca sull’esistenza a una percentuale ragionevole. Gli pianterei un virus in fronte e poi gli sparerei, per non farlo soffrire, perché non mi si dica che sono un insensibile.”

Il suono metallico di un’invasione è uno strappo violento, una lama digitale fa nero lo schermo e oscura il punto di vista della persona qualunque.

L’anziano visitatore n.5.541.875.111.349 ha finito il tempo a sua disposizione, esce dal fumetto e va a ritirare gli effetti personali.

“Ehi, pss… – si sente sussurrare a un orecchio – è un inferno ma se hai abbastanza aria nei polmoni da soffiarti intorno, puoi farlo diventare un purgatorio tollerabile.” Il nano sandwich gli sorride e gli dà da fumare: “Toh, respira ossigeno senza filtro”. L’anziano visitatore ringrazia. I suoi semini profumano d’incenso.

Ma non fa in tempo a gustarsi il regalo che, dal distributore di caramelle filosofiche, un’intervistatrice lo blocca e tenta di molestarlo: lo informa che la felicità è la condizione di chi ha o crede di avere tutto ciò che si può desiderare ed è pienamente soddisfatto. E con lo sguardo interrogativo di chi pretende, con urgenza, una risposta intelligente, gli chiede se ha desideri per cui valga la pena illudersi e compiacersi per averli meritati… bla bla.

Il visitatore n 5.541.875.111.349 la ignora.

Sta già puntando il tentacolo monco del polipo aggrovigliato nella rete.

Il suo prossimo evento.

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